2020-09-17
Ci è cascato anche il papa: «Non è pazzo, è clandestino»
Quando l'assassino è un immigrato, scatta la gara a scaricare le responsabilità su altri. Nel caso dell'omicidio di don Roberto Malgesini, hanno provato a buttarla sul «clima d'odio», poi è spuntata la pista fasulla della follia. Insomma, le provano tutte, tranne il rispetto delle norme.L'assassino deve per forza essere matto. Lo pretende il luogo comunismo che tira le fila del partito pro immigrazione. Dunque, anche se non c'è una perizia psichiatrica che lo confermi e nonostante fino al giorno prima l'omicida non abbia mai dato segni di squilibrio, l'uomo che a Como ha accoltellato un prete buono come don Roberto Malgesini deve necessariamente essere ritenuto folle. Lo avevamo capito fin da subito, nelle ore immediatamente successive al delitto. Infatti, prima ancora che si conoscesse lo status di clandestino dello straniero che ha colpito a morte il sacerdote, già in agenzia si potevano leggere le prime indicazioni sulle sue condizioni mentali. Ad aggredire l'uomo che gli tendeva la mano, offrendogli cibo e assistenza, sarebbe stato uno squilibrato. Non importa che nulla confermi questa tesi. E nemmeno conta che le sole segnalazioni di cui si abbia notizia descrivano l'omicida come una persona violenta, che già era stata allontanata dalla famiglia. Né pare avere grande peso che l'immigrato fosse stato raggiunto da due ordinanze di espulsione. No, la tesi del pensiero mainstream è che solo un pazzo possa aver colpito don Roberto e dunque il caso vada retrocesso a poco più di un incidente. Anzi, a tragica fatalità, magari addebitando al Comune la mancata assistenza psicologica del povero disagiato, il quale è stato lasciato solo a dibattersi con i suoi tarli mentali.Fallito infatti il tentativo di addossare agli italiani la colpa del delitto e di inquadrare l'aggressione come una reazione al clima d'odio che si registrerebbe nel nostro Paese, come ha provato a fare il direttore della Caritas diocesana, altro non restava che inventarsi la psicopatia a giustificazione di ciò che non è giustificabile. E nel gioco della falsa attestazione di instabilità mentale è caduto anche papa Francesco che ieri, parlando dell'assassinio di don Roberto, ha sposato proprio questa tesi. Ricordando il prete degli ultimi, Bergoglio ha definito l'uomo che lo ha accoltellato a morte «una persona bisognosa e malata di testa». Ma né l'una né l'altra tesi trovano appigli nell'inchiesta. Il tunisino era in Italia da molti anni e per un certo periodo era stato sposato. Ma in seguito, prima aveva perso il lavoro e poi la famiglia, con nel mezzo diverse denunce. Dalla questura aveva già ricevuto il foglio di via, anzi il decreto di espulsione, e da anni avrebbe dovuto tornare in Tunisia, ma purtroppo nessuno si era dato molta pena di rimandarcelo. E dunque era ancora in città ad attaccare briga. Il finale è quello scritto con il sangue della persona che ha provato ad aiutarlo.Ad armare la sua mano non è stato l'odio degli italiani, come dice il direttore della Caritas. Né, a meno che una perizia psichiatrica dimostri il contrario, la malattia mentale, come ora si vuole far credere. Il movente semmai ricorda molto quello dell'assassino di don Renzo Beretta, un altro sacerdote comasco ucciso da un immigrato più di vent'anni fa. Anche il parroco di Ponte Chiasso aiutava gli ultimi, i tossicodipendenti e i clandestini. Ma una sera di gennaio del 1999, un marocchino di 31 anni con precedenti lo pugnalò a morte: voleva soldi, ma avendo ricevuto un rifiuto ripagò a coltellate chi lo aveva sfamato. Il vescovo dell'epoca, Alessandro Maggiolini, un pastore d'anime che ho conosciuto e di cui ho pubblicato per lungo tempo gli articoli sul giornale che all'epoca dirigevo, disse parole molto più chiare di quelle che ho ascoltato in questi giorni per la morte di don Roberto: «I sacerdoti sono lasciati disarmati». Non intendeva chiedere il porto d'armi per parroci e curati. Semplicemente diceva che se questa era l'umanità che veniva lasciata in libertà, gli uomini di Chiesa non potevano che affrontarla con il Vangelo. Peccato che contro i criminali non sempre il Vangelo basti. In molti casi serve la legge. Quella che non si è vista l'altra mattina a Como.
Il valico di Rafah (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 15 ottobre con Flaminia Camilletti