I 15 Stati membri che sforeranno il Patto di stabilità per investire nella Difesa rappresentano il 21% dei redditi Ue. Impegnando l’1,5% del Pil per 4 anni, arriverebbero a poco più di un terzo della cifra sognata da von der Leyen. Che perciò studia nuove tasse.Ci sono le chiacchiere e ci sono i fatti. Alle prime appartiene l’annuncio di Ursula von der Leyen a inizio marzo, sugli ormai mitici 800 miliardi per la spesa per la difesa. Ai secondi appartiene la decisione del Consiglio Ecofin di martedì scorso che autorizza 15 Stati membri a sforare il Patto di stabilità (Sgp) solo e ancora per le spese del comparto difesa.Peccato che quei 15 Stati, eccezion fatta per la Polonia, singolarmente abbiano un Pil in molti casi inferiore a quello di una media Regione italiana. E collettivamente costituiscano appena il 21% del Pil dell’Ue: quindi i 650 miliardi complessivi di maggiore spesa, a oggi e alla prova dei fatti, si sono rivelati un miraggio. Un magro risultato che giustifica anche l’ultimo vertice di Roma sull’Ucraina, dove si sono fatte largo ipotesi di «finanza creativa», per colmare dei buchi sempre più evidenti nella ricerca di risorse da destinare al fronte russo-ucraino. Lo stesso affanno motiva due elementi raccontati ieri dalla Verità: la caccia a non proprio innovative tasse sul tabacco (peraltro sottratte agli erari statali, se la proposta fosse approvata) e l’eterno ritorno di discutibilissimi strumenti quali il Mes, riformato o meno che sia.Le decisioni del Consiglio in configurazione Ecofin riguardano infatti Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Sono solo questi gli Stati per i quali il Consiglio ha attivato, su loro richiesta, la clausola di salvaguardia nazionale nell’ambito del Patto di stabilità e crescita «al fine di facilitare la loro transizione verso un aumento della spesa per la difesa a livello nazionale, garantendo al contempo la sostenibilità del debito», parole testuali del Consiglio. Anche qualora, nella più rosea delle ipotesi per la von der Leyen, tutti quegli Stati spendessero per la difesa l’1,5% del Pil per quattro anni, arriveremmo a 223 miliardi. Anni luce lontani dai 650 ipotizzati dalla Commissione. Per non parlare dello scarso interesse ricevuto finora dai 150 miliardi dello strumento «Safe», che prevede la possibilità per gli Stati di indebitarsi con la Commissione sempre per sostenere spese per la difesa. Resta il fatto che, all’improvviso, dopo anni di «austerità espansiva» e lotta contro qualche «zero virgola» di deficit, il Consiglio ha deciso che «in questo momento critico, l’investimento nelle nostre capacità di difesa deve rimanere la nostra massima priorità» e, di conseguenza, il via libera all’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale consentirà agli Stati membri di incrementare la spesa per la difesa mantenendo finanze pubbliche sostenibili. Questa clausola copre un periodo di quattro anni e un massimo dell’1,5% del Pil in flessibilità. In pratica, questa attivazione significa che la Commissione e il Consiglio possono decidere di non avviare una nuova procedura per disavanzo eccessivo per questi 15 Stati membri, anche se superano il percorso massimo di spesa netta approvato dal Consiglio, a condizione che tale superamento sia dovuto a un aumento della spesa per la difesa. Per tutte le altre spese, gli Stati membri rimangono vincolati dalle regole di bilancio e devono continuare a impegnarsi nell’attuazione del quadro di governance economica rivisto, indipendentemente dall’attivazione della clausola. Ovviamente nulla che non fosse già presente nel Patto riformato, il quale consente agli Stati membri di utilizzare la flessibilità in circostanze eccezionali fuori dal loro controllo che abbiano un impatto significativo sulle loro finanze pubbliche, salvaguardando al contempo la sostenibilità fiscale a medio termine. Secondo la Commissione, la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e la sua minaccia alla sicurezza europea costituiscono tali circostanze eccezionali.Resta in bilico la posizione della Germania. Per la quale la richiesta potrà essere valutata una volta finalizzato il suo piano fiscale-strutturale a medio termine. Ancora più incerta è la sorte dell’Italia, per la quale, a proposito delle regole del Patto di stabilità riformato, il ministro Giancarlo Giorgetti ha parlato già a giugno di «regole stupide e senza senso». Il perché è presto spiegato. Oggi l’Italia, peraltro in buona compagnia di altri Paesi tra cui la Francia, è in procedura d’infrazione per deficit/Pil superiore al 3% e si è impegnata in un percorso di medio termine per il rientro al di sotto di tale soglia e la conseguente uscita dalla procedura d’infrazione. Ma, a causa di un cervellotico intreccio di norme tipico della burocrazia Ue, se l’Italia programmasse spese aggiuntive per la difesa, non conseguirebbe più l’obiettivo di rientro e non potrebbe uscire dalla procedura d’infrazione. Quindi, paradossalmente, chi è fuori procedura può spendere somme aggiuntive senza rientrare, ma chi è dentro non può spendere altrimenti resta in procedura, a meno di impopolari e suicidi tagli ad altri capitoli di spesa.Al fine di risolvere questo rebus, ha un senso il «pellegrinaggio» del Commissario all’Economia Valdis Dombrovskis a Roma in questi giorni. Qualcosa di simile ad una campagna acquisti. Perché senza la spesa aggiuntiva dell’Italia, l’obiettivo dei 650 miliardi resterà un miraggio. Al contempo Giorgetti, e con lui il presidente Giorgia Meloni, non vuole ritrovarsi a ritoccare spese di altra natura. Si sono susseguite così nelle ultime ore le ipotesi più fantasiose. Da lettere «interpretative» - come quella che prometteva che il Mes «pandemico» non avrebbe avuto condizioni, che non valevano nemmeno la carta su cui erano scritte - a improbabili modifiche normative, che richiederebbero tempi biblici. Il problema è che quel Patto di stabilità, pur riformato, è stato riscritto sotto dettatura dei «falchi tedeschi» e blindato in omaggio alla loro ortodossia, in un momento in cui ai tedeschi faceva comodo quell’assetto. Ora, in pochi mesi, le esigenze (dei tedeschi) sono cambiate ma nessuno ha le chiavi per rimuovere la blindatura.
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