2021-07-16
Il governo in ostaggio dei «no telefonino»: rischiamo più antenne e un 5G scarsissimo
Si attende il voto in Aula per aumentare le frequenze. Le attuali norme ostacolano gli investimenti a fronte di più inquinamento. A chi non sarà capitato almeno una volta di lamentarsi della bassa connessione del proprio cellulare. E a chi non sarà venuto in mente di prendersela con il nostro Paese, accusato spesso senza cognizione di causa di essere più indietro rispetto al resto del mondo. I problemi di connessione non riguardano però una mancanza di tecnologie all'avanguardia, di cui l'Italia è dotata, bensì un eccesso di normative e cautele per la realizzazione di reti elettromagnetiche. Negli ultimi 20 anni si è creato infatti un imbuto giuridico che non permette agli operatori telefonici di alzare le emissioni elettromagnetiche, come nel resto d'Europa e del mondo. Ma allo stesso tempo ha costretto le compagnie telefoniche a tappezzare il territorio italiano di antenne per superare questo tipo di problemi, creando così maggior inquinamento di anidride carbonica. Ora la situazione potrebbe cambiare, in attesa di un parere «sanitario» del Mise e in vista del voto del 22 luglio quando il parlamentto si esprimerà su un emendamento all'attuazione del Pnnr.Gran parte di questi cavilli giuridici sono eredità dei governi di centrosinistra di Prodi, di Verdi e movimenti ambientalisti contro le emissioni elettromagnetiche. Quelle leggi, figlie di governi di una sinistra che si professa da sempre europeista, ci hanno di fatto posto fuori dal perimetro dall'Europa. L'Italia è oggi il Paese europeo con il più basso limite di emissioni elettromagnetiche: 6 V/m e 0,1 Watt/mq. Il limite massimo nel nostro Paese è in pratica di 6 Volt per metro, a fronte di una media europea fra i 41 e i 58 V/m, molto al di sotto di Paesi come gli Stati Uniti, dove è fissato a 61 V/m, e ancor più restrittivo rispetto alle linee guida internazionali recepite dall'Unione europea che già incorporano il rispetto del cosiddetto principio di prudenza. Queste normative sono state validate anche dall'Oms, l'Organizzazione mondiale per la sanità insieme con l'Icnirp (International commission on non-ionizing radiation protection). Già dal 1996 l'Oms ha istituito il Progetto internazionale campi elettromagnetici (Emf), per valutare le prove scientifiche di eventuali possibili effetti avversi sulla salute derivanti dai campi elettromagnetici. Si raccomanda le linee guida Icnirp per la radioprotezione della popolazione e monitora continuamente gli studi sul tema. Nel luglio 2019 nel rapporto Istisan, l'Iss (Istituto Superiore di Sanità) ha fatto il punto sugli studi finora esistenti sulla correlazione tra radiazioni elettromagnetiche e tumori. E si spiega «che l'uso comune del cellulare non sia associato all'aumento del rischio di alcun tipo di tumore cerebrale». Nelle conclusioni si afferma che «non è vero che non sappiamo cosa succede (più di 50 anni di studi), che non è vero che non si conoscono i meccanismi o che l'esposizione è incontrollata, soprattutto non è vero che il 5G crea problematiche nuove».Nel nostro Paese queste soglie hanno portato paradossalmente più inquinamento di prima. Perché negli ultimi anni sono dovute aumentare siti di trasmissione e antenne distribuite su tutto il territorio, con un aumento di produzione di anidride carbonica. Non a caso, secondo un'analisi interna recente sullo sviluppo della rete 5G di Windtre, si ipotizza che se restassero in vigore gli attuali limiti si dovranno realizzare 6.000 nuovi siti di trasmissione ex novo, quindi nuove antenne. Tradotto in impatto ambientale, «6.000 nuovi impianti assorbirebbero energia elettrica per 162 GWh/anno, che corrispondono a quasi 45.000 tonnellate di CO2/anno. Quindi, per realizzare la rete 5G - e soddisfare le crescenti esigenze degli utenti e delle imprese - in assenza di una armonizzazione dei limiti italiani alla normativa europea, sarà necessario un aggravio delle emissioni inquinanti per il 20% del totale».Il punto è che oltre a piazzarci come fanalino di coda nel vecchio continente, lacci e lacciuoli sull'elettromagnetismo rischiano di tagliarci fuori appunto dalla tecnologia 5G. In vista dell'approvazione del Pnnr, l'Italia si era impegnata ad allinearsi al resto dei paesi europei. C'è tempo fino alla prossima settimana. Ma tra governo, ministeri e Parlamento tutto sembra bloccato, forse anche per non scontentare quella sinistra ambientalista e grillina che in parte sostiene l'esecutivo. Eppure adesso ci sarebbe la possibilità davvero di cambiare la situazione. Certo, chi dice che a giovarne sarebbero le compagnie telefoniche non sbaglia. Ma alzare i limiti consentirebbe anche di arginare la proliferazione di antenne su tutto il territorio italiano. Come ha evidenziato Asstel (Assotelecomunicazioni), nell'audizione svolta alla Camera dei deputati il 9 aprile 2019, «il mancato allineamento della disciplina italiana a quella europea sui limiti di esposizione all'emissione elettromagnetica ha fatto sì che gli operatori nazionali siano stati fortemente penalizzati rispetto ai competitor degli altri Paesi Ue. Infatti, limiti più bassi richiedono l'installazione di più impianti e impediscono di posizionare le antenne e gli impianti di nuova tecnologia». Ancora oggi Legambiente sostiene questa battaglia, citando studi sperimentali ed epidemiologici sulle frequenze. Peccato che Oms e Iss dicano il contrario.