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2019-03-23
Mattarella spiazza i fan. Uomo Usa? Mica vero, è lui che ha aperto ai cinesi
Ansa
Quanti diversi Sergio Mattarella esistono per i mainstream media italiani? E - soprattutto - quante semplificazioni, quanti schemini interpretativi troppo rigidi sono stati messi in campo da molti commentatori in questi mesi, rischiando di allontanare dalla comprensione, di rendere più difficile una lettura realistica ed equilibrata delle cose? Proprio la complicata - e non sempre chiarissima - vicenda del Memorandum of Understanding tra Cina e Italia che sarà firmato oggi si è incaricata di mettere in crisi molte «narrazioni» ufficiali. Proviamo a mettere a fuoco sei nodi, sei punti da provare a sviscerare in modo non banale.
1 Da molte settimane, alcuni descrivono l'intesa tra Pechino e Roma come il frutto di una fuga in avanti dell'iperattivo sottosegretario Michele Geraci. Si ricorda il suo viaggetto cinese con Luigi Di Maio (quello reso noto dalla tarantella mediatica sul volo in economy), più una raffica di interviste, e un intenso lavorio, si evince tutt'altro che sgradito alla Cina, dove peraltro Geraci ha lavorato per ben dieci anni. Ma, con tutto il rispetto per il sottosegretario – economista e sinofilo – che ieri mattina cantava vittoria sulle colonne del Financial Times, solo gli ingenui possono credere che abbia fatto tutto da sé, senza che altri se ne accorgessero. Vasti settori istituzionali – a seconda dei punti di vista: purtroppo o per fortuna – hanno concorso alla scelta, o l'hanno avallata. Lo stesso vertice al Quirinale del 13 marzo scorso, quando Sergio Mattarella convocò mezzo governo (il premier Conte, i due vicepremier Salvini e Di Maio, svariati ministri a partire dal titolare della Farnesina Moavero) fu presentato dai media schiacciati sul Quirinale (cioè quasi tutti) come un'occasione in cui il Capo dello Stato aveva posto dei «paletti», aveva «transennato» l'accordo, quasi come un preside costretto a richiamare gli alunni troppo precipitosi. La sensazione è che non sia andata così: quel vertice - più che un freno - fu un avallo del Colle, un timbro del Quirinale all'intesa.
2 Per mesi, i soliti giornaloni hanno descritto il presidente Mattarella come un campione di atlantismo, come il titolare di un filodiretto con Washington. Anche qui, una lettura sfocata: semmai, Mattarella appartiene a una tradizione di sinistra Dc che, almeno da Vittorino Colombo in poi, ha sempre subìto una fascinazione filo-Pechino. Per non dire dell'attenzione democristiana al Vaticano, oggi lanciato in una strategia di intesa con la Cina, anche sacrificando – questa è l'opinione di molti – la libertà religiosa dei cattolici cinesi. È a quelle filiere che Mattarella sembra richiamarsi: e non a caso, nei suoi discorsi dell'altro ieri e di ieri, si è esposto moltissimo a favore della Cina. Tutte cose – è da immaginare – che a Washington non saranno piaciute.
3 Chi in modo ingenuo, chi in modo sincero, molti leader politici italiani tentano da giorni di derubricare la valenza dell'accordo, di presentarlo come occasione commerciale, senza grande valenza geopolitica. Ma due giorni fa ci ha pensato proprio il presidente cinese Xi, dalla prima pagina del Corriere della Sera, a smentirli, affermando la portata strategica dell'intesa. E le immagini di ieri e di oggi avranno (viste da Washington) una forza simbolica: con Pechino che fa intendere a Trump di «essere entrata in casa» del paese ritenuto più amico dell'attuale amministrazione Usa.
4 Guai a sottovalutare le reazioni americane. L'amministrazione Trump ha aperto un ombrello di amicizia verso l'Italia in questi mesi: sia sulla Libia (rispetto alle ambizioni francesi), sia nella dura trattativa con Bruxelles sulla legge di bilancio, sia alimentando fiducia verso i nostri titoli del debito pubblico. Si tratta di cose che tutti – non solo il governo – dovrebbero considerare.
5 La sinistra ha ben pochi motivi per pontificare. Proprio La Verità ha ricordato in questi giorni che cinque anni fa furono Renzi e Padoan (gran cerimoniere l'allora presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini) a celebrare la cessione al gigante di stato cinese China State Grid del 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti che si occupa delle reti (rete elettrica, rete gas, ecc), cioè l'asset forse in assoluto più strategico.
6 Attenzione al tema telecomunicazioni e 5G. Da giorni, gli attori italiani si sbracciano per dire che il tema è di fatto escluso dall'intesa. Ma proprio Xi, sempre dalla prima del Corriere, ha esplicitamente scritto il contrario, smentendo clamorosamente la controparte italiana. E le dichiarazioni del Quirinale dell'altro ieri («I nuovi strumenti di scienza e tecnologia siano utilizzati e regolati insieme, per la collaborazione e non per competizione e predominio, con cui ciascuno ne riceverebbe minor beneficio») non sono parse granché convincenti: davvero qualcuno è convinto di poter indurre Pechino a decidere pariteticamente con l'Italia?
«Fra i nostri Paesi nessun conflitto»
Il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato ieri, al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accompagnato dalla moglie, il leader cinese si è recato al Colle: sono stati suonati gli inni nazionali italiano e cinese ed è stata issata anche la bandiera della Repubblica Popolare. Successivamente, i due capi di Stato sono entrati nel palazzo per dare inizio al loro incontro.
«La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha dichiarato Mattarella dopo il colloquio con il leader cinese. «La firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi» e - ha proseguito - la Via della seta «è una strada a doppio senso». «Il 2020 sarà l'anno culturale e del turismo tra Italia e Cina», ha continuato il capo dello Stato, per poi ribadire l'auspicio di «rimuovere le barriere per i prodotti italiani». Mattarella si è poi augurato che Roma e Pechino possano avviare un dialogo dedicato alla spinosa questione dei diritti umani.
Il presidente cinese, dal canto suo, è apparso soddisfatto, definendo quello con Mattarella un «incontro fruttuoso». La Cina «vuole uno scambio commerciale a due sensi», ha affermato Xi Jinping. Pechino e Roma «sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo», ha proseguito il presidente cinese, per poi dichiarare: «I rapporti tra Cina e Ue sono molto importanti, guardiamo con favore a una Unione Europea unita, stabile, aperta e prospera», sottolineando di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno dell'Europa» e di essere «ottimista» che i problemi potranno essere superati, dal momento che la direzione intrapresa è quella «giusta». Il presidente cinese - raccogliendo l'invito di Mattarella - si è inoltre detto disponibile a dialogare con l'Unione Europea in materia di diritti umani. «Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c'è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte», ha affermato Xi Jinping incontrando - insieme al presidente italiano - i rappresentanti del Business forum, del Forum culturale e del Forum sulla cooperazione nei Paesi terzi. Il leader cinese ha quindi affermato che Cina e Italia «dovrebbero mantenere scambi ad alto livello» dando inoltre «il benvenuto al presidente Mattarella perché visiti ancora la Cina».
Successivamente Xi si è recato al Senato, dove ha incontrato il presidente, Maria Elisabetta Casellati, la quale - nel corso del colloquio - ha dichiarato: «La sua visita qui è un segno di grande attenzione e vicinanza alle istituzioni parlamentari, che sottolinea l'amicizia e il rispetto che legano i nostri Paesi". In particolare, l'incontro si è concentrato sullo scambio culturale tra le due nazioni, nell'auspicio di una sempre crescente cooperazione. Il leader cinese ha infine incontrato il presidente della Camera Roberto Fico, il quale ha evidenziato come «dal Parlamento italiano» ci sia «grande interesse ai rapporti con la Cina, come dimostra il dibattito alla Camera di pochi giorni fa con il presidente del Consiglio». Per poi aggiungere: «Siamo pronti a riattivare il protocollo di collaborazione parlamentare fra Camera dei deputati e Assemblea nazionale del popolo cinese inaugurato nel 2001».
L'intensa giornata del presidente cinese si è quindi conclusa con una cena al Quirinale alla presenza di centosessanta ospiti.
Dagli appalti al fisco: i punti del patto
Il Memorandum of Understanding tra Roma e Pechino si avvia ad essere firmato oggi. Italia e Cina si impegneranno così a collaborare nel più ampio contesto della Belt and road initiative: un'iniziativa strategica, annunciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, per espandere l'influenza del Dragone nella regione euroasiatica. Un impegno importante che ha visto la Repubblica popolare investire, sino ad oggi, settecento miliardi di dollari in sessantacinque Paesi.
In quest'ottica, l'accordo quadro dovrebbe comportare un generale rafforzamento dei legami commerciali e delle relazioni politico-diplomatiche tra i due partner. Più nello specifico, uno degli obiettivi del memorandum è quello di incrementare il libero scambio tra i due Paesi: Roma e Pechino puntano infatti ad aumentare gli investimenti bilaterali, la cooperazione nel settore industriale, oltre che a promuovere una maggiore integrazione tra i rispettivi mercati. Sotto questo aspetto, una particolare attenzione sarà riservata agli appalti e alla questione della proprietà intellettuale. Nella fattispecie, l'accordo intende «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all'unilateralismo e al protezionismo», Inoltre, al di là delle mere dinamiche commerciali, un altro punto fondamentale dell'accordo si rivelerà la finanza: verrà infatti istituito un coordinamento bilaterale sulle politiche fiscali e sulle riforme strutturali. Il tutto, rinsaldando la collaborazione tra le istituzioni finanziarie italiane e cinesi.
Una notevole importanza verrà poi conferita agli scambi culturali: l'accordo mira infatti a «sviluppare la rete di gemellaggio tra le città, e a sfruttare appieno la piattaforma dei Meccanismi di cooperazione culturale tra l'Italia e la Cina per portare a termine il gemellaggio tra i siti Unesco dei rispettivi Paesi, allo scopo di promuovere la collaborazione su istruzione, cultura, scienze, innovazione, salute, turismo e benessere pubblico tra le rispettive amministrazioni». Tutto questo, auspicando l'incremento delle collaborazioni tra i think tank e le università.
Infine, il memorandum si trova ad affrontare la questione dell'ambiente: Roma e Pechino si impegnano a «sostenere pienamente l'obiettivo di sviluppare la connettività tramite un approccio sostenibile ed ecologico, promuovendo attivamente la tendenza globale verso lo sviluppo ecologico, circolare e a basse emissioni di carbonio». Sotto questo profilo, i due Paesi dichiarano di voler agire nel rispetto degli accordi di Parigi, con l'obiettivo di contrastare l'inquinamento e il cambiamento climatico. Nelle prossime ore, nel contesto di questo accordo quadro saranno siglate una serie di specifiche intese economiche e istituzionali: nel dettaglio si parla di trenta accordi (undici fra enti privati e diciannove istituzionali) tra aziende italiane e cinesi per un valore globale di almeno sette miliardi di euro. Si tratta di accordi che mireranno evidentemente a rafforzare i legami già esistenti tra Pechino e Roma.
Si pensi che, nel 2018, i rapporti commerciali tra Italia e Cina hanno raggiunto un valore di circa quarantaquattro miliardi di euro: di questi, il 40% afferirebbe alla sola Lombardia per un giro d'affari da 17,6 miliardi di euro. Senza poi trascurare che, secondo la Fondazione Italia-Cina, le imprese cinesi a partecipazione italiana risulterebbero più di 1.700, per un volume d'affari complessivo di ventidue miliardi di euro.
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Indicato come il padre severo che richiama i monelli del governo alla fedeltà atlantica, in realtà il presidente si è esposto moltissimo in favore dell'accordo.Xi Jinping ha incontrato il capo dello Stato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati e ha chiarito di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno della Ue».Nel Memorandum, i due Stati si impegnano a «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli squilibri dell'unilateralismo».Lo speciale contiene tre articoli.Quanti diversi Sergio Mattarella esistono per i mainstream media italiani? E - soprattutto - quante semplificazioni, quanti schemini interpretativi troppo rigidi sono stati messi in campo da molti commentatori in questi mesi, rischiando di allontanare dalla comprensione, di rendere più difficile una lettura realistica ed equilibrata delle cose? Proprio la complicata - e non sempre chiarissima - vicenda del Memorandum of Understanding tra Cina e Italia che sarà firmato oggi si è incaricata di mettere in crisi molte «narrazioni» ufficiali. Proviamo a mettere a fuoco sei nodi, sei punti da provare a sviscerare in modo non banale. 1 Da molte settimane, alcuni descrivono l'intesa tra Pechino e Roma come il frutto di una fuga in avanti dell'iperattivo sottosegretario Michele Geraci. Si ricorda il suo viaggetto cinese con Luigi Di Maio (quello reso noto dalla tarantella mediatica sul volo in economy), più una raffica di interviste, e un intenso lavorio, si evince tutt'altro che sgradito alla Cina, dove peraltro Geraci ha lavorato per ben dieci anni. Ma, con tutto il rispetto per il sottosegretario – economista e sinofilo – che ieri mattina cantava vittoria sulle colonne del Financial Times, solo gli ingenui possono credere che abbia fatto tutto da sé, senza che altri se ne accorgessero. Vasti settori istituzionali – a seconda dei punti di vista: purtroppo o per fortuna – hanno concorso alla scelta, o l'hanno avallata. Lo stesso vertice al Quirinale del 13 marzo scorso, quando Sergio Mattarella convocò mezzo governo (il premier Conte, i due vicepremier Salvini e Di Maio, svariati ministri a partire dal titolare della Farnesina Moavero) fu presentato dai media schiacciati sul Quirinale (cioè quasi tutti) come un'occasione in cui il Capo dello Stato aveva posto dei «paletti», aveva «transennato» l'accordo, quasi come un preside costretto a richiamare gli alunni troppo precipitosi. La sensazione è che non sia andata così: quel vertice - più che un freno - fu un avallo del Colle, un timbro del Quirinale all'intesa.2 Per mesi, i soliti giornaloni hanno descritto il presidente Mattarella come un campione di atlantismo, come il titolare di un filodiretto con Washington. Anche qui, una lettura sfocata: semmai, Mattarella appartiene a una tradizione di sinistra Dc che, almeno da Vittorino Colombo in poi, ha sempre subìto una fascinazione filo-Pechino. Per non dire dell'attenzione democristiana al Vaticano, oggi lanciato in una strategia di intesa con la Cina, anche sacrificando – questa è l'opinione di molti – la libertà religiosa dei cattolici cinesi. È a quelle filiere che Mattarella sembra richiamarsi: e non a caso, nei suoi discorsi dell'altro ieri e di ieri, si è esposto moltissimo a favore della Cina. Tutte cose – è da immaginare – che a Washington non saranno piaciute. 3 Chi in modo ingenuo, chi in modo sincero, molti leader politici italiani tentano da giorni di derubricare la valenza dell'accordo, di presentarlo come occasione commerciale, senza grande valenza geopolitica. Ma due giorni fa ci ha pensato proprio il presidente cinese Xi, dalla prima pagina del Corriere della Sera, a smentirli, affermando la portata strategica dell'intesa. E le immagini di ieri e di oggi avranno (viste da Washington) una forza simbolica: con Pechino che fa intendere a Trump di «essere entrata in casa» del paese ritenuto più amico dell'attuale amministrazione Usa. 4 Guai a sottovalutare le reazioni americane. L'amministrazione Trump ha aperto un ombrello di amicizia verso l'Italia in questi mesi: sia sulla Libia (rispetto alle ambizioni francesi), sia nella dura trattativa con Bruxelles sulla legge di bilancio, sia alimentando fiducia verso i nostri titoli del debito pubblico. Si tratta di cose che tutti – non solo il governo – dovrebbero considerare.5 La sinistra ha ben pochi motivi per pontificare. Proprio La Verità ha ricordato in questi giorni che cinque anni fa furono Renzi e Padoan (gran cerimoniere l'allora presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini) a celebrare la cessione al gigante di stato cinese China State Grid del 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti che si occupa delle reti (rete elettrica, rete gas, ecc), cioè l'asset forse in assoluto più strategico.6 Attenzione al tema telecomunicazioni e 5G. Da giorni, gli attori italiani si sbracciano per dire che il tema è di fatto escluso dall'intesa. Ma proprio Xi, sempre dalla prima del Corriere, ha esplicitamente scritto il contrario, smentendo clamorosamente la controparte italiana. E le dichiarazioni del Quirinale dell'altro ieri («I nuovi strumenti di scienza e tecnologia siano utilizzati e regolati insieme, per la collaborazione e non per competizione e predominio, con cui ciascuno ne riceverebbe minor beneficio») non sono parse granché convincenti: davvero qualcuno è convinto di poter indurre Pechino a decidere pariteticamente con l'Italia? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/52pt-mattarella-spiazza-i-fan-uomo-usa-mica-vero-e-lui-che-ha-aperto-ai-cinesi-2632498760.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fra-i-nostri-paesi-nessun-conflitto" data-post-id="2632498760" data-published-at="1765818053" data-use-pagination="False"> «Fra i nostri Paesi nessun conflitto» Il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato ieri, al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accompagnato dalla moglie, il leader cinese si è recato al Colle: sono stati suonati gli inni nazionali italiano e cinese ed è stata issata anche la bandiera della Repubblica Popolare. Successivamente, i due capi di Stato sono entrati nel palazzo per dare inizio al loro incontro. «La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha dichiarato Mattarella dopo il colloquio con il leader cinese. «La firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi» e - ha proseguito - la Via della seta «è una strada a doppio senso». «Il 2020 sarà l'anno culturale e del turismo tra Italia e Cina», ha continuato il capo dello Stato, per poi ribadire l'auspicio di «rimuovere le barriere per i prodotti italiani». Mattarella si è poi augurato che Roma e Pechino possano avviare un dialogo dedicato alla spinosa questione dei diritti umani. Il presidente cinese, dal canto suo, è apparso soddisfatto, definendo quello con Mattarella un «incontro fruttuoso». La Cina «vuole uno scambio commerciale a due sensi», ha affermato Xi Jinping. Pechino e Roma «sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo», ha proseguito il presidente cinese, per poi dichiarare: «I rapporti tra Cina e Ue sono molto importanti, guardiamo con favore a una Unione Europea unita, stabile, aperta e prospera», sottolineando di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno dell'Europa» e di essere «ottimista» che i problemi potranno essere superati, dal momento che la direzione intrapresa è quella «giusta». Il presidente cinese - raccogliendo l'invito di Mattarella - si è inoltre detto disponibile a dialogare con l'Unione Europea in materia di diritti umani. «Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c'è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte», ha affermato Xi Jinping incontrando - insieme al presidente italiano - i rappresentanti del Business forum, del Forum culturale e del Forum sulla cooperazione nei Paesi terzi. Il leader cinese ha quindi affermato che Cina e Italia «dovrebbero mantenere scambi ad alto livello» dando inoltre «il benvenuto al presidente Mattarella perché visiti ancora la Cina». Successivamente Xi si è recato al Senato, dove ha incontrato il presidente, Maria Elisabetta Casellati, la quale - nel corso del colloquio - ha dichiarato: «La sua visita qui è un segno di grande attenzione e vicinanza alle istituzioni parlamentari, che sottolinea l'amicizia e il rispetto che legano i nostri Paesi". In particolare, l'incontro si è concentrato sullo scambio culturale tra le due nazioni, nell'auspicio di una sempre crescente cooperazione. Il leader cinese ha infine incontrato il presidente della Camera Roberto Fico, il quale ha evidenziato come «dal Parlamento italiano» ci sia «grande interesse ai rapporti con la Cina, come dimostra il dibattito alla Camera di pochi giorni fa con il presidente del Consiglio». Per poi aggiungere: «Siamo pronti a riattivare il protocollo di collaborazione parlamentare fra Camera dei deputati e Assemblea nazionale del popolo cinese inaugurato nel 2001». L'intensa giornata del presidente cinese si è quindi conclusa con una cena al Quirinale alla presenza di centosessanta ospiti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/52pt-mattarella-spiazza-i-fan-uomo-usa-mica-vero-e-lui-che-ha-aperto-ai-cinesi-2632498760.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="dagli-appalti-al-fisco-i-punti-del-patto" data-post-id="2632498760" data-published-at="1765818053" data-use-pagination="False"> Dagli appalti al fisco: i punti del patto Il Memorandum of Understanding tra Roma e Pechino si avvia ad essere firmato oggi. Italia e Cina si impegneranno così a collaborare nel più ampio contesto della Belt and road initiative: un'iniziativa strategica, annunciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, per espandere l'influenza del Dragone nella regione euroasiatica. Un impegno importante che ha visto la Repubblica popolare investire, sino ad oggi, settecento miliardi di dollari in sessantacinque Paesi. In quest'ottica, l'accordo quadro dovrebbe comportare un generale rafforzamento dei legami commerciali e delle relazioni politico-diplomatiche tra i due partner. Più nello specifico, uno degli obiettivi del memorandum è quello di incrementare il libero scambio tra i due Paesi: Roma e Pechino puntano infatti ad aumentare gli investimenti bilaterali, la cooperazione nel settore industriale, oltre che a promuovere una maggiore integrazione tra i rispettivi mercati. Sotto questo aspetto, una particolare attenzione sarà riservata agli appalti e alla questione della proprietà intellettuale. Nella fattispecie, l'accordo intende «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all'unilateralismo e al protezionismo», Inoltre, al di là delle mere dinamiche commerciali, un altro punto fondamentale dell'accordo si rivelerà la finanza: verrà infatti istituito un coordinamento bilaterale sulle politiche fiscali e sulle riforme strutturali. Il tutto, rinsaldando la collaborazione tra le istituzioni finanziarie italiane e cinesi. Una notevole importanza verrà poi conferita agli scambi culturali: l'accordo mira infatti a «sviluppare la rete di gemellaggio tra le città, e a sfruttare appieno la piattaforma dei Meccanismi di cooperazione culturale tra l'Italia e la Cina per portare a termine il gemellaggio tra i siti Unesco dei rispettivi Paesi, allo scopo di promuovere la collaborazione su istruzione, cultura, scienze, innovazione, salute, turismo e benessere pubblico tra le rispettive amministrazioni». Tutto questo, auspicando l'incremento delle collaborazioni tra i think tank e le università. Infine, il memorandum si trova ad affrontare la questione dell'ambiente: Roma e Pechino si impegnano a «sostenere pienamente l'obiettivo di sviluppare la connettività tramite un approccio sostenibile ed ecologico, promuovendo attivamente la tendenza globale verso lo sviluppo ecologico, circolare e a basse emissioni di carbonio». Sotto questo profilo, i due Paesi dichiarano di voler agire nel rispetto degli accordi di Parigi, con l'obiettivo di contrastare l'inquinamento e il cambiamento climatico. Nelle prossime ore, nel contesto di questo accordo quadro saranno siglate una serie di specifiche intese economiche e istituzionali: nel dettaglio si parla di trenta accordi (undici fra enti privati e diciannove istituzionali) tra aziende italiane e cinesi per un valore globale di almeno sette miliardi di euro. Si tratta di accordi che mireranno evidentemente a rafforzare i legami già esistenti tra Pechino e Roma. Si pensi che, nel 2018, i rapporti commerciali tra Italia e Cina hanno raggiunto un valore di circa quarantaquattro miliardi di euro: di questi, il 40% afferirebbe alla sola Lombardia per un giro d'affari da 17,6 miliardi di euro. Senza poi trascurare che, secondo la Fondazione Italia-Cina, le imprese cinesi a partecipazione italiana risulterebbero più di 1.700, per un volume d'affari complessivo di ventidue miliardi di euro.
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
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