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2019-03-23
Mattarella spiazza i fan. Uomo Usa? Mica vero, è lui che ha aperto ai cinesi
Ansa
Quanti diversi Sergio Mattarella esistono per i mainstream media italiani? E - soprattutto - quante semplificazioni, quanti schemini interpretativi troppo rigidi sono stati messi in campo da molti commentatori in questi mesi, rischiando di allontanare dalla comprensione, di rendere più difficile una lettura realistica ed equilibrata delle cose? Proprio la complicata - e non sempre chiarissima - vicenda del Memorandum of Understanding tra Cina e Italia che sarà firmato oggi si è incaricata di mettere in crisi molte «narrazioni» ufficiali. Proviamo a mettere a fuoco sei nodi, sei punti da provare a sviscerare in modo non banale.
1 Da molte settimane, alcuni descrivono l'intesa tra Pechino e Roma come il frutto di una fuga in avanti dell'iperattivo sottosegretario Michele Geraci. Si ricorda il suo viaggetto cinese con Luigi Di Maio (quello reso noto dalla tarantella mediatica sul volo in economy), più una raffica di interviste, e un intenso lavorio, si evince tutt'altro che sgradito alla Cina, dove peraltro Geraci ha lavorato per ben dieci anni. Ma, con tutto il rispetto per il sottosegretario – economista e sinofilo – che ieri mattina cantava vittoria sulle colonne del Financial Times, solo gli ingenui possono credere che abbia fatto tutto da sé, senza che altri se ne accorgessero. Vasti settori istituzionali – a seconda dei punti di vista: purtroppo o per fortuna – hanno concorso alla scelta, o l'hanno avallata. Lo stesso vertice al Quirinale del 13 marzo scorso, quando Sergio Mattarella convocò mezzo governo (il premier Conte, i due vicepremier Salvini e Di Maio, svariati ministri a partire dal titolare della Farnesina Moavero) fu presentato dai media schiacciati sul Quirinale (cioè quasi tutti) come un'occasione in cui il Capo dello Stato aveva posto dei «paletti», aveva «transennato» l'accordo, quasi come un preside costretto a richiamare gli alunni troppo precipitosi. La sensazione è che non sia andata così: quel vertice - più che un freno - fu un avallo del Colle, un timbro del Quirinale all'intesa.
2 Per mesi, i soliti giornaloni hanno descritto il presidente Mattarella come un campione di atlantismo, come il titolare di un filodiretto con Washington. Anche qui, una lettura sfocata: semmai, Mattarella appartiene a una tradizione di sinistra Dc che, almeno da Vittorino Colombo in poi, ha sempre subìto una fascinazione filo-Pechino. Per non dire dell'attenzione democristiana al Vaticano, oggi lanciato in una strategia di intesa con la Cina, anche sacrificando – questa è l'opinione di molti – la libertà religiosa dei cattolici cinesi. È a quelle filiere che Mattarella sembra richiamarsi: e non a caso, nei suoi discorsi dell'altro ieri e di ieri, si è esposto moltissimo a favore della Cina. Tutte cose – è da immaginare – che a Washington non saranno piaciute.
3 Chi in modo ingenuo, chi in modo sincero, molti leader politici italiani tentano da giorni di derubricare la valenza dell'accordo, di presentarlo come occasione commerciale, senza grande valenza geopolitica. Ma due giorni fa ci ha pensato proprio il presidente cinese Xi, dalla prima pagina del Corriere della Sera, a smentirli, affermando la portata strategica dell'intesa. E le immagini di ieri e di oggi avranno (viste da Washington) una forza simbolica: con Pechino che fa intendere a Trump di «essere entrata in casa» del paese ritenuto più amico dell'attuale amministrazione Usa.
4 Guai a sottovalutare le reazioni americane. L'amministrazione Trump ha aperto un ombrello di amicizia verso l'Italia in questi mesi: sia sulla Libia (rispetto alle ambizioni francesi), sia nella dura trattativa con Bruxelles sulla legge di bilancio, sia alimentando fiducia verso i nostri titoli del debito pubblico. Si tratta di cose che tutti – non solo il governo – dovrebbero considerare.
5 La sinistra ha ben pochi motivi per pontificare. Proprio La Verità ha ricordato in questi giorni che cinque anni fa furono Renzi e Padoan (gran cerimoniere l'allora presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini) a celebrare la cessione al gigante di stato cinese China State Grid del 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti che si occupa delle reti (rete elettrica, rete gas, ecc), cioè l'asset forse in assoluto più strategico.
6 Attenzione al tema telecomunicazioni e 5G. Da giorni, gli attori italiani si sbracciano per dire che il tema è di fatto escluso dall'intesa. Ma proprio Xi, sempre dalla prima del Corriere, ha esplicitamente scritto il contrario, smentendo clamorosamente la controparte italiana. E le dichiarazioni del Quirinale dell'altro ieri («I nuovi strumenti di scienza e tecnologia siano utilizzati e regolati insieme, per la collaborazione e non per competizione e predominio, con cui ciascuno ne riceverebbe minor beneficio») non sono parse granché convincenti: davvero qualcuno è convinto di poter indurre Pechino a decidere pariteticamente con l'Italia?
«Fra i nostri Paesi nessun conflitto»
Il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato ieri, al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accompagnato dalla moglie, il leader cinese si è recato al Colle: sono stati suonati gli inni nazionali italiano e cinese ed è stata issata anche la bandiera della Repubblica Popolare. Successivamente, i due capi di Stato sono entrati nel palazzo per dare inizio al loro incontro.
«La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha dichiarato Mattarella dopo il colloquio con il leader cinese. «La firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi» e - ha proseguito - la Via della seta «è una strada a doppio senso». «Il 2020 sarà l'anno culturale e del turismo tra Italia e Cina», ha continuato il capo dello Stato, per poi ribadire l'auspicio di «rimuovere le barriere per i prodotti italiani». Mattarella si è poi augurato che Roma e Pechino possano avviare un dialogo dedicato alla spinosa questione dei diritti umani.
Il presidente cinese, dal canto suo, è apparso soddisfatto, definendo quello con Mattarella un «incontro fruttuoso». La Cina «vuole uno scambio commerciale a due sensi», ha affermato Xi Jinping. Pechino e Roma «sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo», ha proseguito il presidente cinese, per poi dichiarare: «I rapporti tra Cina e Ue sono molto importanti, guardiamo con favore a una Unione Europea unita, stabile, aperta e prospera», sottolineando di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno dell'Europa» e di essere «ottimista» che i problemi potranno essere superati, dal momento che la direzione intrapresa è quella «giusta». Il presidente cinese - raccogliendo l'invito di Mattarella - si è inoltre detto disponibile a dialogare con l'Unione Europea in materia di diritti umani. «Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c'è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte», ha affermato Xi Jinping incontrando - insieme al presidente italiano - i rappresentanti del Business forum, del Forum culturale e del Forum sulla cooperazione nei Paesi terzi. Il leader cinese ha quindi affermato che Cina e Italia «dovrebbero mantenere scambi ad alto livello» dando inoltre «il benvenuto al presidente Mattarella perché visiti ancora la Cina».
Successivamente Xi si è recato al Senato, dove ha incontrato il presidente, Maria Elisabetta Casellati, la quale - nel corso del colloquio - ha dichiarato: «La sua visita qui è un segno di grande attenzione e vicinanza alle istituzioni parlamentari, che sottolinea l'amicizia e il rispetto che legano i nostri Paesi". In particolare, l'incontro si è concentrato sullo scambio culturale tra le due nazioni, nell'auspicio di una sempre crescente cooperazione. Il leader cinese ha infine incontrato il presidente della Camera Roberto Fico, il quale ha evidenziato come «dal Parlamento italiano» ci sia «grande interesse ai rapporti con la Cina, come dimostra il dibattito alla Camera di pochi giorni fa con il presidente del Consiglio». Per poi aggiungere: «Siamo pronti a riattivare il protocollo di collaborazione parlamentare fra Camera dei deputati e Assemblea nazionale del popolo cinese inaugurato nel 2001».
L'intensa giornata del presidente cinese si è quindi conclusa con una cena al Quirinale alla presenza di centosessanta ospiti.
Dagli appalti al fisco: i punti del patto
Il Memorandum of Understanding tra Roma e Pechino si avvia ad essere firmato oggi. Italia e Cina si impegneranno così a collaborare nel più ampio contesto della Belt and road initiative: un'iniziativa strategica, annunciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, per espandere l'influenza del Dragone nella regione euroasiatica. Un impegno importante che ha visto la Repubblica popolare investire, sino ad oggi, settecento miliardi di dollari in sessantacinque Paesi.
In quest'ottica, l'accordo quadro dovrebbe comportare un generale rafforzamento dei legami commerciali e delle relazioni politico-diplomatiche tra i due partner. Più nello specifico, uno degli obiettivi del memorandum è quello di incrementare il libero scambio tra i due Paesi: Roma e Pechino puntano infatti ad aumentare gli investimenti bilaterali, la cooperazione nel settore industriale, oltre che a promuovere una maggiore integrazione tra i rispettivi mercati. Sotto questo aspetto, una particolare attenzione sarà riservata agli appalti e alla questione della proprietà intellettuale. Nella fattispecie, l'accordo intende «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all'unilateralismo e al protezionismo», Inoltre, al di là delle mere dinamiche commerciali, un altro punto fondamentale dell'accordo si rivelerà la finanza: verrà infatti istituito un coordinamento bilaterale sulle politiche fiscali e sulle riforme strutturali. Il tutto, rinsaldando la collaborazione tra le istituzioni finanziarie italiane e cinesi.
Una notevole importanza verrà poi conferita agli scambi culturali: l'accordo mira infatti a «sviluppare la rete di gemellaggio tra le città, e a sfruttare appieno la piattaforma dei Meccanismi di cooperazione culturale tra l'Italia e la Cina per portare a termine il gemellaggio tra i siti Unesco dei rispettivi Paesi, allo scopo di promuovere la collaborazione su istruzione, cultura, scienze, innovazione, salute, turismo e benessere pubblico tra le rispettive amministrazioni». Tutto questo, auspicando l'incremento delle collaborazioni tra i think tank e le università.
Infine, il memorandum si trova ad affrontare la questione dell'ambiente: Roma e Pechino si impegnano a «sostenere pienamente l'obiettivo di sviluppare la connettività tramite un approccio sostenibile ed ecologico, promuovendo attivamente la tendenza globale verso lo sviluppo ecologico, circolare e a basse emissioni di carbonio». Sotto questo profilo, i due Paesi dichiarano di voler agire nel rispetto degli accordi di Parigi, con l'obiettivo di contrastare l'inquinamento e il cambiamento climatico. Nelle prossime ore, nel contesto di questo accordo quadro saranno siglate una serie di specifiche intese economiche e istituzionali: nel dettaglio si parla di trenta accordi (undici fra enti privati e diciannove istituzionali) tra aziende italiane e cinesi per un valore globale di almeno sette miliardi di euro. Si tratta di accordi che mireranno evidentemente a rafforzare i legami già esistenti tra Pechino e Roma.
Si pensi che, nel 2018, i rapporti commerciali tra Italia e Cina hanno raggiunto un valore di circa quarantaquattro miliardi di euro: di questi, il 40% afferirebbe alla sola Lombardia per un giro d'affari da 17,6 miliardi di euro. Senza poi trascurare che, secondo la Fondazione Italia-Cina, le imprese cinesi a partecipazione italiana risulterebbero più di 1.700, per un volume d'affari complessivo di ventidue miliardi di euro.
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Riduci
Indicato come il padre severo che richiama i monelli del governo alla fedeltà atlantica, in realtà il presidente si è esposto moltissimo in favore dell'accordo.Xi Jinping ha incontrato il capo dello Stato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati e ha chiarito di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno della Ue».Nel Memorandum, i due Stati si impegnano a «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli squilibri dell'unilateralismo».Lo speciale contiene tre articoli.Quanti diversi Sergio Mattarella esistono per i mainstream media italiani? E - soprattutto - quante semplificazioni, quanti schemini interpretativi troppo rigidi sono stati messi in campo da molti commentatori in questi mesi, rischiando di allontanare dalla comprensione, di rendere più difficile una lettura realistica ed equilibrata delle cose? Proprio la complicata - e non sempre chiarissima - vicenda del Memorandum of Understanding tra Cina e Italia che sarà firmato oggi si è incaricata di mettere in crisi molte «narrazioni» ufficiali. Proviamo a mettere a fuoco sei nodi, sei punti da provare a sviscerare in modo non banale. 1 Da molte settimane, alcuni descrivono l'intesa tra Pechino e Roma come il frutto di una fuga in avanti dell'iperattivo sottosegretario Michele Geraci. Si ricorda il suo viaggetto cinese con Luigi Di Maio (quello reso noto dalla tarantella mediatica sul volo in economy), più una raffica di interviste, e un intenso lavorio, si evince tutt'altro che sgradito alla Cina, dove peraltro Geraci ha lavorato per ben dieci anni. Ma, con tutto il rispetto per il sottosegretario – economista e sinofilo – che ieri mattina cantava vittoria sulle colonne del Financial Times, solo gli ingenui possono credere che abbia fatto tutto da sé, senza che altri se ne accorgessero. Vasti settori istituzionali – a seconda dei punti di vista: purtroppo o per fortuna – hanno concorso alla scelta, o l'hanno avallata. Lo stesso vertice al Quirinale del 13 marzo scorso, quando Sergio Mattarella convocò mezzo governo (il premier Conte, i due vicepremier Salvini e Di Maio, svariati ministri a partire dal titolare della Farnesina Moavero) fu presentato dai media schiacciati sul Quirinale (cioè quasi tutti) come un'occasione in cui il Capo dello Stato aveva posto dei «paletti», aveva «transennato» l'accordo, quasi come un preside costretto a richiamare gli alunni troppo precipitosi. La sensazione è che non sia andata così: quel vertice - più che un freno - fu un avallo del Colle, un timbro del Quirinale all'intesa.2 Per mesi, i soliti giornaloni hanno descritto il presidente Mattarella come un campione di atlantismo, come il titolare di un filodiretto con Washington. Anche qui, una lettura sfocata: semmai, Mattarella appartiene a una tradizione di sinistra Dc che, almeno da Vittorino Colombo in poi, ha sempre subìto una fascinazione filo-Pechino. Per non dire dell'attenzione democristiana al Vaticano, oggi lanciato in una strategia di intesa con la Cina, anche sacrificando – questa è l'opinione di molti – la libertà religiosa dei cattolici cinesi. È a quelle filiere che Mattarella sembra richiamarsi: e non a caso, nei suoi discorsi dell'altro ieri e di ieri, si è esposto moltissimo a favore della Cina. Tutte cose – è da immaginare – che a Washington non saranno piaciute. 3 Chi in modo ingenuo, chi in modo sincero, molti leader politici italiani tentano da giorni di derubricare la valenza dell'accordo, di presentarlo come occasione commerciale, senza grande valenza geopolitica. Ma due giorni fa ci ha pensato proprio il presidente cinese Xi, dalla prima pagina del Corriere della Sera, a smentirli, affermando la portata strategica dell'intesa. E le immagini di ieri e di oggi avranno (viste da Washington) una forza simbolica: con Pechino che fa intendere a Trump di «essere entrata in casa» del paese ritenuto più amico dell'attuale amministrazione Usa. 4 Guai a sottovalutare le reazioni americane. L'amministrazione Trump ha aperto un ombrello di amicizia verso l'Italia in questi mesi: sia sulla Libia (rispetto alle ambizioni francesi), sia nella dura trattativa con Bruxelles sulla legge di bilancio, sia alimentando fiducia verso i nostri titoli del debito pubblico. Si tratta di cose che tutti – non solo il governo – dovrebbero considerare.5 La sinistra ha ben pochi motivi per pontificare. Proprio La Verità ha ricordato in questi giorni che cinque anni fa furono Renzi e Padoan (gran cerimoniere l'allora presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini) a celebrare la cessione al gigante di stato cinese China State Grid del 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti che si occupa delle reti (rete elettrica, rete gas, ecc), cioè l'asset forse in assoluto più strategico.6 Attenzione al tema telecomunicazioni e 5G. Da giorni, gli attori italiani si sbracciano per dire che il tema è di fatto escluso dall'intesa. Ma proprio Xi, sempre dalla prima del Corriere, ha esplicitamente scritto il contrario, smentendo clamorosamente la controparte italiana. E le dichiarazioni del Quirinale dell'altro ieri («I nuovi strumenti di scienza e tecnologia siano utilizzati e regolati insieme, per la collaborazione e non per competizione e predominio, con cui ciascuno ne riceverebbe minor beneficio») non sono parse granché convincenti: davvero qualcuno è convinto di poter indurre Pechino a decidere pariteticamente con l'Italia? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/52pt-mattarella-spiazza-i-fan-uomo-usa-mica-vero-e-lui-che-ha-aperto-ai-cinesi-2632498760.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fra-i-nostri-paesi-nessun-conflitto" data-post-id="2632498760" data-published-at="1765453422" data-use-pagination="False"> «Fra i nostri Paesi nessun conflitto» Il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato ieri, al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accompagnato dalla moglie, il leader cinese si è recato al Colle: sono stati suonati gli inni nazionali italiano e cinese ed è stata issata anche la bandiera della Repubblica Popolare. Successivamente, i due capi di Stato sono entrati nel palazzo per dare inizio al loro incontro. «La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha dichiarato Mattarella dopo il colloquio con il leader cinese. «La firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi» e - ha proseguito - la Via della seta «è una strada a doppio senso». «Il 2020 sarà l'anno culturale e del turismo tra Italia e Cina», ha continuato il capo dello Stato, per poi ribadire l'auspicio di «rimuovere le barriere per i prodotti italiani». Mattarella si è poi augurato che Roma e Pechino possano avviare un dialogo dedicato alla spinosa questione dei diritti umani. Il presidente cinese, dal canto suo, è apparso soddisfatto, definendo quello con Mattarella un «incontro fruttuoso». La Cina «vuole uno scambio commerciale a due sensi», ha affermato Xi Jinping. Pechino e Roma «sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo», ha proseguito il presidente cinese, per poi dichiarare: «I rapporti tra Cina e Ue sono molto importanti, guardiamo con favore a una Unione Europea unita, stabile, aperta e prospera», sottolineando di «guardare con rispetto al dibattito in corso all'interno dell'Europa» e di essere «ottimista» che i problemi potranno essere superati, dal momento che la direzione intrapresa è quella «giusta». Il presidente cinese - raccogliendo l'invito di Mattarella - si è inoltre detto disponibile a dialogare con l'Unione Europea in materia di diritti umani. «Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c'è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte», ha affermato Xi Jinping incontrando - insieme al presidente italiano - i rappresentanti del Business forum, del Forum culturale e del Forum sulla cooperazione nei Paesi terzi. Il leader cinese ha quindi affermato che Cina e Italia «dovrebbero mantenere scambi ad alto livello» dando inoltre «il benvenuto al presidente Mattarella perché visiti ancora la Cina». Successivamente Xi si è recato al Senato, dove ha incontrato il presidente, Maria Elisabetta Casellati, la quale - nel corso del colloquio - ha dichiarato: «La sua visita qui è un segno di grande attenzione e vicinanza alle istituzioni parlamentari, che sottolinea l'amicizia e il rispetto che legano i nostri Paesi". In particolare, l'incontro si è concentrato sullo scambio culturale tra le due nazioni, nell'auspicio di una sempre crescente cooperazione. Il leader cinese ha infine incontrato il presidente della Camera Roberto Fico, il quale ha evidenziato come «dal Parlamento italiano» ci sia «grande interesse ai rapporti con la Cina, come dimostra il dibattito alla Camera di pochi giorni fa con il presidente del Consiglio». Per poi aggiungere: «Siamo pronti a riattivare il protocollo di collaborazione parlamentare fra Camera dei deputati e Assemblea nazionale del popolo cinese inaugurato nel 2001». L'intensa giornata del presidente cinese si è quindi conclusa con una cena al Quirinale alla presenza di centosessanta ospiti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/52pt-mattarella-spiazza-i-fan-uomo-usa-mica-vero-e-lui-che-ha-aperto-ai-cinesi-2632498760.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="dagli-appalti-al-fisco-i-punti-del-patto" data-post-id="2632498760" data-published-at="1765453422" data-use-pagination="False"> Dagli appalti al fisco: i punti del patto Il Memorandum of Understanding tra Roma e Pechino si avvia ad essere firmato oggi. Italia e Cina si impegneranno così a collaborare nel più ampio contesto della Belt and road initiative: un'iniziativa strategica, annunciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, per espandere l'influenza del Dragone nella regione euroasiatica. Un impegno importante che ha visto la Repubblica popolare investire, sino ad oggi, settecento miliardi di dollari in sessantacinque Paesi. In quest'ottica, l'accordo quadro dovrebbe comportare un generale rafforzamento dei legami commerciali e delle relazioni politico-diplomatiche tra i due partner. Più nello specifico, uno degli obiettivi del memorandum è quello di incrementare il libero scambio tra i due Paesi: Roma e Pechino puntano infatti ad aumentare gli investimenti bilaterali, la cooperazione nel settore industriale, oltre che a promuovere una maggiore integrazione tra i rispettivi mercati. Sotto questo aspetto, una particolare attenzione sarà riservata agli appalti e alla questione della proprietà intellettuale. Nella fattispecie, l'accordo intende «realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all'unilateralismo e al protezionismo», Inoltre, al di là delle mere dinamiche commerciali, un altro punto fondamentale dell'accordo si rivelerà la finanza: verrà infatti istituito un coordinamento bilaterale sulle politiche fiscali e sulle riforme strutturali. Il tutto, rinsaldando la collaborazione tra le istituzioni finanziarie italiane e cinesi. Una notevole importanza verrà poi conferita agli scambi culturali: l'accordo mira infatti a «sviluppare la rete di gemellaggio tra le città, e a sfruttare appieno la piattaforma dei Meccanismi di cooperazione culturale tra l'Italia e la Cina per portare a termine il gemellaggio tra i siti Unesco dei rispettivi Paesi, allo scopo di promuovere la collaborazione su istruzione, cultura, scienze, innovazione, salute, turismo e benessere pubblico tra le rispettive amministrazioni». Tutto questo, auspicando l'incremento delle collaborazioni tra i think tank e le università. Infine, il memorandum si trova ad affrontare la questione dell'ambiente: Roma e Pechino si impegnano a «sostenere pienamente l'obiettivo di sviluppare la connettività tramite un approccio sostenibile ed ecologico, promuovendo attivamente la tendenza globale verso lo sviluppo ecologico, circolare e a basse emissioni di carbonio». Sotto questo profilo, i due Paesi dichiarano di voler agire nel rispetto degli accordi di Parigi, con l'obiettivo di contrastare l'inquinamento e il cambiamento climatico. Nelle prossime ore, nel contesto di questo accordo quadro saranno siglate una serie di specifiche intese economiche e istituzionali: nel dettaglio si parla di trenta accordi (undici fra enti privati e diciannove istituzionali) tra aziende italiane e cinesi per un valore globale di almeno sette miliardi di euro. Si tratta di accordi che mireranno evidentemente a rafforzare i legami già esistenti tra Pechino e Roma. Si pensi che, nel 2018, i rapporti commerciali tra Italia e Cina hanno raggiunto un valore di circa quarantaquattro miliardi di euro: di questi, il 40% afferirebbe alla sola Lombardia per un giro d'affari da 17,6 miliardi di euro. Senza poi trascurare che, secondo la Fondazione Italia-Cina, le imprese cinesi a partecipazione italiana risulterebbero più di 1.700, per un volume d'affari complessivo di ventidue miliardi di euro.
A dirlo è l’Unctad (United nations conference on trade and development), l’organismo dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo, secondo cui le misure tariffarie e le politiche industriali stanno cambiando la geografia degli scambi più di quanto ne stiano riducendo l’ammontare complessivo.
Il 2024 ha rappresentato, infatti, un punto di svolta dopo la debolezza del 2023. L’organizzazione della Nazioni Unite ha registrato per il 2024 un valore record di circa 33 trilioni di dollari di scambi globali di beni e servizi, con una crescita intorno al 3,7% (circa +1,2 trilioni). La componente servizi ha guidato l’espansione: +9% nell’anno, con un contributo di circa 700 miliardi, pari a quasi il 60% della crescita totale; i beni sono saliti di circa il 2% (+500 miliardi).
Il 2025, inoltre, consolida il quadro. Nell’aggiornamento di dicembre, Unctad stima che il commercio mondiale supererà per la prima volta i 35 trilioni di dollari, con un aumento di circa 2,2 trilioni, ossia circa il 7% in più rispetto al 2024. Di questa crescita, circa 1,5 trilioni verrebbero dai beni e circa 750 miliardi dai servizi, attesi in aumento vicino al 9%. Per il quarto trimestre 2025, la crescita rimane positiva ma più moderata: circa lo 0,5% in più per i beni e il 2% per i servizi. Nel 2026, invece, la stima è di un rallentamento causato da tensioni geopolitiche, conflitti e costi crescenti (tra cui i dazi).
Ma come i dazi hanno allora influenzato i commerci mondiali? Unctad osserva che la frammentazione geopolitica sta rimodellando i flussi e che friendshoring (delocalizzazione verso Paesi considerati amici) e nearshoring (spostamento verso Stati vicini a quello di origine) stanno rafforzandosi.
In parallelo, la crescita dei servizi rende il sistema meno vulnerabile alle tariffe sui beni. I servizi digitali, professionali e legati alle catene manifatturiere avanzate sono più scalabili, spesso regolati da standard e da norme di mercato più che da dazi doganali, e trovano domanda in fasi del ciclo economico diverse rispetto alle merci tradizionali. L’aumento più rapido dei servizi nel 2024 e nel 2025 è coerente con questa trasformazione del mix commerciale.
Unctad segnala anche un passaggio dalla crescita «di prezzo» a una crescita più «di volume» verso fine 2025: dopo due trimestri sostenuti anche da prezzi più alti, le quotazioni dei beni scambiati dovrebbero calare, e l’espansione sarà trainata maggiormente dalle quantità effettivamente commerciate.
Un ulteriore elemento di tenuta è il protagonismo delle economie in via di sviluppo. Unctad evidenzia che nel 2024 le economie emergenti hanno sostenuto gran parte della dinamica e che gli scambi Sud-Sud hanno continuato a crescere. Nel 2025 questa tendenza si è rafforzata: Asia orientale e Africa risultano tra le principali aree commerciali, mentre gli scambi tra Paesi in via di sviluppo hanno mostrato un’espansione più rapida della media globale.
I dati Unctad, insomma, non raccontano la fine della globalizzazione, ma la sua ricalibrazione. La crescita degli scambi convive con dazi più alti perché il commercio si sta spostando a Oriente, incorporando una quota crescente di servizi.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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