2023-02-10
Cambia l’epoca, i valori sono identici. È il «1923»: ritorna la saga dei Dutton
Su Paramount+ il secondo prequel della fortunata «Yellowstone». Harrison Ford e Helen Mirren affrontano Grande depressione e tensioni sociali. Ma non tradiscono l’anima della serie tv basata su famiglia e tradizioni.Taylor Sheridan, l’ultimo cantastorie di frontiera, avrebbe potuto speculare su Yellowstone, la più vista fra le serie della televisione americana . Avrebbe potuto cercare una fortuna facile, usare il traino di quella saga e creare tanti spin-off quanti sono i personaggi dello show, per poi allargare il cerchio a zii e zie e nonni e figli e via verso l’infinito televisivo in cui la qualità è spesso sacrificata per la quantità.Invece, pur essendosi già avventurato in 1883, primo prequel di Yellowstone e primo approfondimento della genealogia dei Dutton, e pur avendo già annunciato 6666, sequel dello show ambientato in Texas, Taylor Sheridan ha scelto la misura. L’ordine. Quella cura narrativa che è diventata motivo di interesse per i grandi di Hollywood. 1883, andato in onda su Paramount+ tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, è finito, e con questo si è chiusa la Gilded Age dei Dutton, il loro tentativo di far fortuna all’indomani della Guerra di secessione.Lo sceneggiatore ha lasciato che 1883 fosse una miniserie, senza tirarla per le lunghe. Poi, ha annunciato 1923, un’altra serie, un’altra storia. E Harrison Ford, davanti a quella proposta, ha capitolato. L’attore, che fino ad oggi era riuscito a tenersi alla larga dagli impegni televisivi, evitando la sovrapposizione fra mezzi, ha deciso di fare il grande passo per Sheridan e l’epopea dei Dutton: trascurare - temporaneamente - il cinema e dedicarsi alla serialità televisiva.Helen Mirren ha scelto con lui. Sheridan, la cui 1923 è già stata rinnovata per una seconda stagione, si è sincerato di avere per sé una coppia d’impatto. Ed è palpabile la chimica fra i due in 1923, prequel di Yellowstone al debutto su Paramount+ domenica 12 febbraio.Harrison Ford e Helen Mirren, capaci da soli di sostenere e giustificare la visione dell’intera serie tv, sono Jacob e Cara Dutton nello show, pro-pro-pro zii del Dutton interpretato da Kevin Costner. Irlandese l’una, americano l’altro, vivono un’epoca di passaggio, stretta fra le due guerre mondiali e la Grande depressione, fra il Proibizionismo e l’insorgere della criminalità organizzata, fra Yellowstone e il suo primo prequel, 1883. Lo schema narrativo è vicino a quello che Sheridan ha usato per la sua serie madre.C’è un che di noto, in 1923. Eppure, l’effetto già-visto che spesso fagocita prequel e sequel e spin-off, manca. Non c’è la sensazione di aver di fronte un prodotto superfluo né una storia ridondante. 1923, trainato dalla performance di due giganti, Ford e Mirren, ha un’efficacia propria, una trama che potrebbe vivere senza Yellowstone, senza il presente, Kevin Costner, senza quel pubblico che negli anni è impazzito dietro la saga originale.È il Montana a tornare, il Yellowstone ranch. Jacob e Cara Dutton hanno diverse minacce cui fare fronte. C’è la siccità, una delle più dure con cui gli agricoltori abbiano avuto a che fare. C’è lo spettro della Grande depressione, che in Montana è stato ravvisato prima che nel resto degli Stati Uniti. C’è una pandemia e il Proibizionismo, il furto di bestiame, la concorrenza sleale di altri allevatori e il risentimento delle classi più povere verso i ricchi proprietari terrieri, verso i Dutton, le cui difficoltà a mantenere l’ordine somigliano a quelle patite dal Dutton di Costner. Più acute, però, perché come spiegato da Harrison Ford nel corso di un’intervista, «questi Dutton sono ricchi di terra, ma poveri di soldi. Tutto ciò che hanno viene investito nel ranch», punto fermo di una terra che Sheridan ha dimostrato di saper raccontare come nessun altro, senza retorica, senza giocare sugli stereotipi, senza abbandonarsi a facili moralismi.1923, dove preti e suore rinchiudono giovani nativi americani in istituti deputati a depredarli della propria cultura, è l’opposto logico di quello che la serialità moderna dovrebbe suggerire. È identitaria, non massificata. È la difesa spassionata di un nucleo familiare e delle sue gerarchie (patriarcali e conservatrici). All’universale, ancora preferisce il particolare e le formule usate per costruire successi a tavolino («L’algoritmo», lo chiamerebbero in Boris 4) le rifiuta, tutte. Non ci sono studi sull’inclusività o calcoli matematici finalizzati a dividere il cast in gruppi che siano rappresentativi delle minoranze. Non c’è niente. Solo, la volontà di raccontare l’America delle grandi pianure, la meno nota, la sua gente e la loro storia. Una storia che per Yellowstone si è tradotta in un successo senza pari, le cui puntate hanno raccolto un numero di spettatori che, di stagione in stagione, è riuscito a moltiplicarsi.1923, forse, non avrà dalla sua le stesse cifre, gli stessi record di visualizzazioni e pubblico dell’originale. Ma l’anima di Yellowstone, quella che emerge nella capacità di non tradire il territorio per paura e timore di non piacere alla gente che piace, quella ha saputo mantenerla intatta.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)