2021-09-11
«Vi racconto il mio 11 settembre dalla centrale del 9-1-1»
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John Lightsey e i pompieri all'opera l'11 settembre 2001 (Getty Images-courtesy J. Lightsey)
John Lightsey, operatore del numero di emergenza dei Vigili del fuoco di New York, parla di come fu gestito il disastro delle torri gemelle, degli amici perduti, della sua vita prima e dopo quel giorno che cambiò il mondo per sempre. In Italia erano quasi le 3 del pomeriggio di martedì 11 settembre 2001, quando sugli schermi dei computer e delle televisioni arrivarono le prime immagini agghiaccianti dal World Trade Center di Manhattan. Una delle due torri gemelle, tra i simboli più famosi di New York e dell'America era in fiamme. Le prime confuse notizie parlarono di un aereo dalle caratteristiche ancora ignote che avrebbe centrato uno dei grattacieli dopo essere finito fuori rotta. A causa del sovraccarico sulle linee internet di vent'anni fa, appena dopo aver dato la notizia i maggiori siti di informazione finirono in "crash". Il peggio, però, sarebbe arrivato pochi minuti dopo quando un secondo velivolo, visto da molti testimoni e riconosciuto chiaramente come un jet di linea, colpì la seconda torre. Una coincidenza di due tragedie a distanza di poco più di un quarto d'ora l'una dall'altra era impossibile. Era chiaro che il mondo si trovava a vivere il più grave attacco terroristico dal dopoguerra. Mentre il mondo si fermava di fronte alle schermate fisse dei pc, alle edizioni straordinarie dei telegiornali e alla voce delle radio, a centinaia di miglia attraverso l'oceano Atlantico l'orologio segnava le 8:46 ora di New York, quando il primo jet si schiantò contro la torre Nord. Si trattava del volo American Airlines 11 Boston-Los Angeles, un Boeing 767 pieno di carburante dirottato e pilotato dai terroristi di Al-Qaeda. A bordo c'erano 76 passeggeri, 9 membri dell'equipaggio e 5 dirottatori. L'impatto fu devastante. L'aereo colpì il grattacielo a circa 790 Km/h tra il 93°e il 99° piano disintegrandosi all'interno dell'edificio. L'onda d'urto attraversò tutta la torre fino a terra, tranciando di netto le scale interne, uccidendo sul colpo gli occupanti dei piani e dell'aereo e isolando irrimediabilmente gli occupanti dei piani più alti, incalzati dall'incendio divampato nell'impatto.In questi istanti che parvero infiniti l'operatore del numero unico di emergenza americano 9-1-1, il pompiere John Lightsey, era di turno alla centrale operativa gestita dal Fire Department of New York City (FDNY) che nel 2001 gestiva 205 compagnie autopompa, 133 compagnie autoscala, 5 compagnie soccorso, 450 ambulanze e diverse unità di intervento speciale. Le unità erano dislocate sul territorio di New York divise nei diversi "boroughs" (o quartieri). John era un operatore esperto, con 19 anni di servizio alle spalle. Non immaginava, in quel mattino di routine, che quella giornata avrebbe cambiato per sempre la sua vita diventando quel "giorno zero" che cambiò il corso della storia mondiale. Il primo allarme lo sentì arrivare dal Battalion 1 di Manhattan, che si trovava a poca distanza dalle Twin Towers. La comunicazione con la centrale parlava chiaramente di un aereo che si era schiantato contro la Torre Nord. La dinamica era tutt'altro che chiara ai primi soccorritori, totalmente ignari dell'origine terroristica dell'evento. Proprio i membri del Batallion 1 furono testimoni diretti del primo schianto, trovandosi in quel momento su un servizio all'incrocio tra Church e Lispenard Street proprio a pochi isolati dal World Trade Center, mentre ai telefoni del 9-1-1 erano già giunte le voci disperate di alcuni passeggeri del volo American Airlines 11 in mano ai dirottatori. Tra le prime unità a giungere sul posto e a rendersi conto dell'accaduto furono, l'autoscala 11, e le autopompe 211, 44, 22, 53 e 40. Le coordinava il comandante del Batallion 1, Joe Pfeiffer, che successivamente perse il fratello Kevin, in servizio con lui in quella drammatica mattina.Abbiamo raggiunto John Lightsey alla vigilia del ventesimo anniversario dell'attacco alle Twin Towers, rivolgendogli alcune domande sulla gestione di quella maxi-emergenza piombata all'improvviso dal cielo di New York. E' evidente nelle parole del pompiere, rimasto in servizio con il NYFD per altri 12 anni, quanto ancora oggi a distanza di due decenni sia doloroso per lui ricordare quei momenti e le drammatiche conseguenze dell'11 settembre su di sé e sulla vita di tanti colleghi che prestarono servizio alle Twin Towers, dei quali ben 343 non faranno mai più ritorno.John: spostando le lancette dell'orologio indietro di vent'anni, tu eri in servizio quella mattina come operatore della centrale del 9-1-1 gestita dall'NYFD. Quando hai realizzato di essere di fronte ad un'emergenza senza precedenti come quella dell'11 settembre 2001?«In realtà io e i miei colleghi non ci rendemmo del tutto conto della dimensione reale di quanto stesse accadendo, almeno fino a quando il secondo aereo pilotato dai terroristi si schiantò contro la torre Sud appena 17 minuti dopo il primo impatto con la torre Nord. Qui capimmo senza ombra di dubbio che non eravamo di fronte ad un fatale incidente di volo di un piccolo aereo finito fuori rotta, ma che si trattava di un duplice attacco terroristico di portata molto maggiore. Le telefonate continuavano a giungere come un fiume in piena ed i 7 operatori della centrale di Manhattan di turno, tra cui il sottoscritto, in quel momento lavoravano con entrambe le mani per cercare di distribuire le soverchianti richieste di aiuto. Poco dopo accendemmo la televisione per renderci davvero conto di cosa stesse accadendo al World Trade Center. Come noi, lo stesso fecero gli operatori di tutti e 5 i distretti cittadini (Boroughs) del 9-1-1».Ricordi l'atmosfera alla centrale operativa del 9-1-1 quando scattò l'allarme all'indirizzo 2, World Trade Center?«All'inizio l'atmosfera in generale della sala operativa era calma. Ma con il passare del tempo il passo accelerò talmente in fretta che divenne veramente difficile per tutti gli operatori del 9-1-1 gestire la situazione. I colleghi erano sconvolti mentre rispondevano alle chiamate e le passavano ai mezzi di soccorso in una manciata di secondi, oppure quando ascoltavano le voci disperate delle persone intrappolate sopra il 99° piano per le quali già sapevano non vi fosse più alcuna speranza di salvezza».Solo una manciata di minuti più tardi quando già era chiara a John Lightsey e ai colleghi soccorritori la dimensione della tragedia, il secondo aereo dirottato dai terroristi colpì la Torre Sud alle 9:03, appena 17 minuti dopo il primo impatto. Il volo United Airlines 175, un altro 767 con a bordo 65 persone inclusi 9 membri dell'equipaggio e 5 dirottatori, si schiantava all'altezza del 77°piano della seconda torre a oltre 960 Km/h, replicando la tragedia di pochi minuti prima nel momento in cui i soccorritori si trovavano sotto la Torre Nord. I danni strutturali provocati dal secondo aereo furono ancora più gravi di quelli causati alla prima delle due torri. La situazione da affrontare diventava ingestibile ed estremamente pericolosa per le centinaia di pompieri, poliziotti e paramedici presenti sul posto sin dal dal primo allarme.Come avete fatto tu e i tuoi colleghi a gestire un'emergenza di tale portata?«Beh, non è stato affatto semplice. Per tutta la durata delle operazioni abbiamo ricevuto allarmi di 5° grado. Secondo i protocolli in atto negli Stati Uniti ed In Canada, si tratta del massimo grado di gravità nella gestione di una maxiemergenza. Prevede l'invio di 21 compagnie autopompa, 11 compagnie autoscala, 6 unità comando oltre a diverse unità specializzate, unità comunicazione, posti avanzati di soccorso, supporto aereo. Tuttavia, nonostante lo sforzo necessario a far fronte a ripetute richieste di allarme di 5° grado, nessun protocollo applicabile avrebbe potuto far fronte ad un emergenza di questa portata, in particolare modo quando la seconda torre fu colpita, raddoppiando di fatto le necessità di intervento portando con sé gravi problemi di comunicazione radio. Fu così che da qual momento lavorammo incessantemente navigando a vista, cioè cercando di tenere il passo il più possibile inchiodati alla postazione e sperando di aver dato il massimo supporto per il coordinamento degli interventi. A quel punto unità di soccorso da tutta New York stavano cercando di raggiungere il luogo della tragedia. Una volta giunte sul posto (tenendo conto dell'ingorgo creato dal traffico totalmente bloccato nelle strade adiacenti) le forze venivano coordinate da unità speciali adibite alla maxiemergenza che riportavano alla centrale operativa di Manhattan l'andamento delle operazioni, la situazione dell'incendio e delle operazioni di soccorso alle persone intrappolate nelle torri. Da qui partivano anche le richieste di supporto medico e di altre unità specializzate. Alle chiamate delle persone presenti negli edifici, rispondevamo comunicando al posto avanzato quante fossero, la loro posizione, la presenza di fumo o feriti. Ma quello che colpiva maggiormente me ed i miei colleghi erano le chiamate dai piani sopra l'incendio causato dall'impatto per le quali ben sapevamo che non ci sarebbe stato nulla da fare, e che non sarebbero mai uscite vive da quell'inferno».Già dal racconto di John Lightsey si può comprendere l'entità della tragedia. Ma qualcosa di molto più grave sarebbe accaduto di lì a poco. La torre Sud, la seconda ad essere colpita in modo più grave rispetto alla gemella, crollò all'improvviso alle 9:59, 56 minuti dopo l'impatto del volo UA175. All'interno almeno 600 occupanti del grattacielo trovarono la morte. Con loro morirono 186 soccorritori, molti dei quali colleghi di John. La sala operativa, al primo crollo, piombò in un silenzio irreale. La scena si ripeterà una manciata di minuti dopo, coprendo la zona poi nominata "Ground Zero" di un sudario di polvere e detriti che spense la luce del sole di una mattina limpida di fine estate. Sotto le macerie, altre centinaia di vittime giacevano sotto le migliaia di tonnellate di cemento armato piombate improvvisamente a terra. I soccorritori che persero la vita sul colpo sotto la torre Nord furono 102 su un totale di oltre 1.400 morti nel secondo crollo.La tragedia dell'11 settembre ha cambiato la tua vita? E il tuo modo di vivere il lavoro? All'indomani degli attacchi hai sentito la città cambiata come se vi fosse stato un "prima" e un "dopo"?«L' 11 settembre ha stravolto completamente la mia vita, umana e professionale. Ho continuato a prestare servizio da quei giorni che parvero interminabili perché non lasciai per molte ore successive la il servizio e mi precipitai a dare una mano ai colleghi distrutti da quell'esperienza. Ma in seguito, quando si trattò di passare nuovamente le chiamate nella routine, mi accorsi di aver problemi a mandare fuori le unità e a svolgere il mio lavoro serenamente e correttamente. Spesso mi capitava di arrabbiarmi con le persone che mi circondavano, come se avesse smesso di importarmi di chiunque da quel giorno. Ho perso tanti amici, quel dannato 11 settembre. Alcuni di loro mi chiesero di intervenire, io li mandai sul luogo del disastro e non fecero mai ritorno a casa. Sento il senso di colpa per aver mandato tanti ragazzi a morire. Come se avessi scelto inconsciamente chi avrebbe dovuto vivere e chi avrebbe invece perso la vita, e per questo la mia esistenza ne é uscita stravolta. Anche soltanto l'uscire di casa, affrontare la folla nei negozi, portare a termine anche le cose più semplici era diventato un ostacolo pesante. Non c'era giorno che non mi sentissi in colpa per quello che avevo fatto e per anni ho avuto gravi problemi di insonnia. Sentivo ancora le voci dei bambini che chiamavano disperati per giorni, per sapere che fine avessero fatto i genitori. O le urla disperate di mogli che non sapevano più nulla dei loro mariti. E non sapere che cosa rispondere era anche peggio. Questa esperienza fu talmente scioccante che nei mesi seguenti rimasi irascibile in ogni occasione. Non riuscivo più a fare nuove amicizie, anche perché quelli che erano stati i miei veri amici se ne erano andati inghiottiti dalle macerie. New York è cambiata molto dall'11 settembre 2001. Personalmente non riesco più a viverla come casa mia».John Lightsey è rimasto in servizio al New York Fire Department fino al 2013. Da allora vive in Florida. Sposato, ha avuto tre figlie, sette nipoti e tre pronipoti. Ha anche un figliastro in servizio nell'Esercito. Ma anche da pensionato, John non ha mai smesso di fare parte dei vigili del fuoco, nonostante tutto quello che gli è toccato in sorte di vivere quell'orribile martedì di 20 anni fa, ed ha prestato servizio nel corpo dei pompieri locali della sua nuova cittadina d'adozione. E oggi, anche se ha dovuto lasciare per sempre il servizio attivo per problemi di salute, riesce sempre a rendersi utile prendendo parte alle attività del corpo dei pompieri, della comunità e del 9-1-1. Che è lo stesso numero da dove John udì tutte le voci, i suoni, le urla e i pianti della tragedia più grave degli ultimi decenni, rimasti ben scolpiti nella sua mente come fossero incisi. D'altra parte le cifre impressionanti di quell'attacco all'Occidente giustificano l'effetto su chi come John, ha vissuto in prima persona quelle due grandi ondate di morte e distruzione. I dati ufficiali sulle vittime dell'11 settembre parlano di un totale di 2152 cittadini morti durante l'attacco alle torri gemelle, 184 al Pentagono e 40 sul quarto aereo dirottato che si schiantò in un campo della Pennsylvania. 343 pompieri, 37 membri della New York Port Authority, 27 agenti della Polizia di New York (NYPD). Ventiquattro corpi non furono mai ritrovati. Sulla scena operarono più di 1.000 soccorritori. Il 63% delle autopompe ed il 47% delle autoscale disponibili fu mandata al World Trade Center. Queste cifre impressionanti parlano da sole quando pensiamo al lavoro che John e i suoi colleghi furono chiamati a svolgere dalle sale operative del 9-1-1. Inoltre, dovettero far fronte anche alle altre emergenze di un giorno come altri in una metropoli con milioni di abitanti.Per questo John Lightsey oggi porta avanti forse la più importante delle missioni. Come fosse ancora insieme ai suoi amici e ai colleghi persi vent'anni fa, ci chiede solamente di ricordare per sempre il loro sacrificio.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)