2025-02-13
Zuppi snobba il fine vita e insiste «Più immigrati contro la denatalità»
Matteo Maria Zuppi (Imagoeconomica)
Il presidente della Cei non commenta la legge della Regione Toscana che apre all’eutanasia, in compenso torna a battere sul solito chiodo fisso: bisogna far entrare più stranieri per sopperire alla crisi delle culle.della denatalità abbiamo bisogno degli immigrati. Invece, non ci ha detto cosa ne pensa della legge sul fine vita approvata dalla Regione Toscana. Ce ne occupiamo perché il cardinale Matteo Maria Zuppi non è l’ultimo arrivato: è arcivescovo metropolita di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, è in strettissimi rapporti con papa Bergoglio e tante altre cose. Insomma, è uno che nella Chiesa di oggi conta e molto. C’è chi dice che ce lo potremo ritrovare anche un po’ più su nella Chiesa di domani, ma questi non sono fatti che ci riguardano ma che, si dice, riguardino direttamente lo Spirito Santo col quale non abbiamo, almeno noi della Verità, un filo diretto di comunicazione. Denatalità. In Italia, ogni anno, crescono le bare e diminuiscono le culle. Non è un fatto nuovo e l’assenza di politiche a favore della famiglia fa del nostro Paese uno dei più arretrati dell’Unione europea. La laicissima Francia ha fatto sempre molto di più della cattolicissima Italia, e pensare che al governo qui c’è stato, per tanti anni, un partito che, addirittura, si chiamava Democrazia cristiana. E questo già la dice lunga. Ma, venendo all’oggi, ci fa impressione che un cardinale affronti la questione così come la potrebbe affrontare un politico qualsiasi. Non si fanno più figli in Italia? Apriamo le porte a più immigrati e più accoglienza. Ma non è legittimo domandare a un principe della Chiesa come Zuppi, intervenuto ad un convegno del Movimento cristiano lavoratori ieri al Cnel, se questa crisi dei matrimoni e della natalità non dipenda anche da ragioni di perdita di quella cultura cristiana che ha fatto della famiglia il suo centro per qualche centinaio d’anni? Non è questo fenomeno da collegarsi al parallelo fenomeno dello svuotamento dei seminari e anche delle chiese? In altri termini, prima di passare agli immigrati come soluzione della denatalità, un cardinale così potente e influente (i media raccolgono anche i sospiri di Zuppi perché nella Chiesa bergogliana, Zuppi fa tendenza, forse è il maggior influencer bergogliano che abbiamo) non dovrebbe interrogarsi e interrogare la Chiesa italiana, essendo il presidente dei vescovi, sulla natura - direi spirituale - di questa crisi della natalità? «La crisi demografica deve essere risolta con un discorso molto concreto di accoglienza, cambiando alcuni paradigmi, per cui l’accoglienza è decisiva: non c’è futuro senza accoglienza. E riguarda l’integrazione di chi porta speranza. Ne abbiamo un bisogno enorme». Ma quella speranza di cui parla Zuppi non dovrebbe essere quella, prima di tutto, che porta la Chiesa stessa a chi crede o a coloro che possono convertirsi alla fede e scegliere la via del matrimonio e della conseguente natalità come scelta della propria vita? Non abbiamo bisogno di un cardinale che ci ricordi che in Italia le politiche per la famiglia e la mancanza di lavoro non invogliano le coppie a sposarsi e ad avere figli. Per questo non occorre la Cei, bastano l’Istat e il Censis dei quali, a quanto ci risulta, Zuppi non fa parte. Eminentissimo signor cardinale, queste cose noi le sappiamo già, le sanno anche le pietre, le sanno i giovani che vorrebbero figli ma non hanno i soldi per farli. Quello che molti di noi non sanno, anche chi potrebbe farli i figli, è quello che vorremmo sentire da lei e dal Papa di cui lei è il centurione primo, la questione della fede e della cultura cristiana delle quali parlate sempre meno a favore di argomenti sociali, ambientali, economici, occupandovi di finanziarie e altro. Per carità, e l’espressione è quanto mai indicata in questo caso, non abbiamo nulla da insegnare a nessuno ma qualche constatazione ci sarà pur dato di farla. Tra l’altro, sull’immigrazione papa Francesco, qualche tempo fa, esortò tutte le parrocchie italiane a farsi carico di almeno un immigrato. Ottimo, se non fosse che, a quanto sappiamo, all’esortazione non è seguita l’azione perché nulla o poco è successo in questo senso. E lo scriviamo non perché pensiamo che sia la Chiesa che debba risolvere i problemi che sono tipici dello Stato, tra i quali l’immigrazione, ma perché, evidentemente, alle indicazioni di chi comanda nella Chiesa poi non seguono reazioni coerenti a quei comandi da parte di chi, la Chiesa, la guida nelle piccole o grandi realtà parrocchiali. Tutto questo non dice nulla al capo dei vescovi italiani? Non gli suggerisce, come modestamente fa a noi, che quello di cui ragionano ai livelli alti poi, nella base, non viene recepito? E quali sono i motivi? Pratici, e cioè sul come fare, o di senso, e cioè sul perché farlo? Forse non tutti sono convinti di questa impostazione, altrimenti eseguirebbero in modo militaresco e con entusiasmo i comandi papali o, per essere più ecclesiologicamente precisi, le «esortazioni» papali ed episcopali. Interrogato sulla legge fine vita approvata in Regione Toscana, viceversa - manzonianamente -, il non-sventurato, al contrario della monaca di Monza, Gertrude, non rispose. E si tenne alla larga dalla questione con un «no comment». Ci sono tre ipotesi: o non ha risposto perché ancora non sa cosa dire (remotissima ipotesi), o deve ancora confrontarsi con gli altri vescovi e con il suo superiore, o non ritiene di intervenire su un argomento che è terreno politico e non ecclesiale. Ora, poiché si tratta di questioni bioetiche la Chiesa ritiene, come fanno alcuni partiti politici, di non prendere una posizione ufficiale ma di lasciare il tutto alla coscienza individuale personale? L’etica riguarda solo le questioni economiche, sociali ed ecologiche e non più anche quelle del campo della vita e cioè quelle bioetiche? Sull’immigrazione idee chiarissime e sul fine-vita libertà di pensiero? Che Chiesa strana. Difficile capirci qualcosa, difficile da interpretarsi o, forse, financo troppo facile. Il sociale prevale sullo spirituale.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)