2024-08-14
Politica sui social? Solo se pro dem
Progressisti contro la piattaforma: «Va abbandonata, è un partito». Come tutti gli altri colossi digitali, che però spingono l’ideologia dominante e censurano le voci sgradite.«Andiamocene, X non ci merita», «Se torna Trump non c’è più spazio per noi». La reazione italiana all’intervista di Elon Musk a The Donald è come al solito da sciura Maria con borsa di Vuitton: indignazione, amarezza, voglia di mettere i guantoni come quella tipa testosteronica della boxe femminile. Riviste, siti, editorialisti sono in subbuglio dentro una Dunkerque senza Stukas nei dintorni; la chiamano «ritirata strategica dal social network sbagliato». Fra le coscienze inquiete a stipendio fisso (direbbe Carlo Emilio Gadda) si fa notare Antonio Polito, firma del Corriere della Sera, che lancia l’appello democratico più commovente: «Ecco perché bisogna uscire da X. Non è più una piattaforma, è un partito». Qui si apre il dibattito. Subito qualche buontempone gli spiega come fare per andarsene, consapevole che il progressista medio di schiatta italica è come il tenore all’opera: canta «Ora Vadooo» ma ha le scarpe incollate sul palco. Qualcun altro gli fa notare che se il precedente proprietario di Twitter, Jack Dorsey (ovviamente definito «filantropo» e non «squalo» secondo Wikipedia), avesse fatto lo stesso con Kamala Harris nessuno avrebbe battuto ciglio. Ma la sostanza è un’altra. La rivelazione evidenzia un’ingenuità o un’ipocrisia: secondo l’intellighenzia di sinistra le altre piattaforme siliconvalliche - che da anni sono graniticamente «partito» - possono continuare a esserlo in quanto reggono il moccolo alla meravigliosa galassia dem.Non è difficile ricordare come Facebook nel 2017 avesse tirato la volata a Hillary Clinton («Vincerà al 95%» ripetevano a nastro i suoi sondaggi). Come lo stesso Twitter avesse tolto l’account a Trump da inquilino della Casa Bianca e avesse censurato notizie sul figlio di Joe Biden dopo le pressioni dei vertici democratici. Come Google continui ad avvantaggiare nell’indicizzazione gli amici a dispetto dei nemici (oggi l’attentato allo stesso Trump è quasi scomparso). Come Mark Zuckerberg (Facebook, Instagram, Whatsapp), Jeff Bezos (Amazon), Tim Cook (Apple), Bill Gates (fondatore di Microsoft) abbiano tirato la volata a Barack Obama e seguitino a farlo con qualsivoglia pretendente in groppa all’asino blu. Com’è consolante definirsi «piattaforma» e poi scegliere chi far decollare e chi lasciare a terra.Con questa intervista Elon Musk ha bypassato il filtro compiacente (con gli amici) e antipatizzante (con i nemici) dei media mainstream. Ha strappato il sipario dell’ipocrisia, ha fatto cadere il velo dell’ambiguità che per troppo tempo ha dissimulato i vizi privati del mondo social. Uno degli uomini più potenti del mondo (Tesla, Starlink, X) parteggia per i conservatori senza indossare maschere da rapinatore californiano. E nel contempo difende i propri interessi. Come hanno fatto e fanno tutti gli altri dentro l’ortodossia dem. Lui si muove come, in ogni paese del mondo, editori e tycoon si sono sempre mossi. Con una novità: non si nasconde dietro il politicamente corretto, non crede nel woke, non regge la coda alle mode dei campus universitari, non tenta di soggiogare il popolo dolcemente, con la pretesa di salvarlo.Tutti i padroni del mondo in bermuda hanno creato partiti facendoci credere che fossero piattaforme. E lo hanno fatto grazie all’autorizzazione dell’establishment americano (Pentagono, Casa Bianca) che ha dato loro le chiavi per far correre i dati sulle autostrade digitali. Poi, quando si sono accorti che su quelle autostrade passavano anche notizie urticanti per loro, i big tech si sono inventati factcheckers di comodo per derubricarle, zittirle, annientarle. Oggi Facebook insegue privati cittadini in vacanza imponendo loro censure quotidiane anche su frasi innocue come «La tolleranza arriverà a un tale livello che alle persone intelligenti sarà vietato fare qualsiasi riflessione per non offendere gli imbecilli». Perché quel pensiero è considerato reazionario e «la citazione non è attribuibile a Fedor Dostoevskij». Il solito russo maledetto.Poiché il livello è questo e il pensiero unico dominante ha raggiunto un’aggressività tale da non concedere difformità, ben venga la faccia tosta di Musk che formula domande alla faccia tosta di Trump. Almeno lui, alla fine dell’intervista, ha annunciato di essere pronto a dare lo stesso spazio a Kamala Harris, non a bloccarla. Nel 2022 Polito scriveva su X: «Ho votato sì al referendum di Musk. Sostengo il free speach, anche di Trump». Oggi invita ad andarsene. Forse perché ha scoperto, buon ultimo, che il partito non è il suo.