2022-05-14
Washington telefona al ministro russo. Ma l’Ucraina incalza: «Il conflitto durerà»
Lloyd Austin (sx) e Sergei Shoigu (Ansa)
Kiev fa intendere che le ostilità proseguiranno: «Nuova fase». Il Pentagono sonda Mosca sulla possibilità di un cessate il fuoco. Il conflitto in Ucraina potrebbe prolungarsi. A riferirlo è stato ieri il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov: «Abbiamo costretto la Russia a ridurre la portata degli obiettivi al livello operativo e tattico. In questo contesto, stiamo entrando in una nuova, lunga fase della guerra. Per vincerla, dobbiamo pianificare attentamente le risorse, evitare errori e proiettare le nostre forze in modo che il nemico alla fine non regga». Kiev sembra prepararsi a un prolungamento della guerra. Questo nonostante il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si fosse detto pronto a un rilancio delle trattative diplomatiche: «Sono pronto a parlare con Putin, ma solo con lui. Senza nessuno dei suoi intermediari. E nel quadro del dialogo, non degli ultimatum», aveva detto, per poi tuttavia precisare: «È perché ogni giorno le piccole città vengono liberate e vediamo le tracce di molestie, torture, esecuzioni lasciate dai militari russi. Ecco perché la possibilità di colloqui si complica». Come vanno quindi interpretate le parole di Reznikov? Una possibilità è che si tratti di uno strumento di pressione volto a intimorire la Russia: viste le difficoltà militari che Mosca ha incontrato nell’invasione dell’Ucraina, gli ucraini potrebbero di ventilare l’ipotesi di un «pantano russo», per spingere Putin a una maggiore remissività al tavolo delle trattative. Una linea, questa, che avrebbe certamente un senso, sebbene vada tenuto presente che il presidente russo ben difficilmente farà un passo indietro senza un qualche risultato militare da rivendersi in politica interna. L’altra possibilità è che le parole di Reznikov e Zelensky esprimano indirettamente la complicata posizione delle varie potenze internazionali coinvolte: potenze che, in svariati casi, non sembrano attualmente troppo inclini a favorire una soluzione negoziale. La Cina, che spalleggia la Russia, parla tanto ma fa ben poco. Pechino ha del resto molto da guadagnare da questa invasione: punta a distogliere l’attenzione americana dall’Indo-Pacifico, a dividere la comunità transatlantica e ad assoggettare progressivamente Mosca dal punto di vista economico. Dall’altra parte, il Regno Unito - con Polonia e Paesi baltici - prosegue nel sostenere la linea dura verso Mosca, enfatizzando notevole scetticismo verso un rilancio dei negoziati. È del resto in quest’ottica che Downing Street ha stretto accordi di sicurezza con Svezia e Finlandia, emettendo inoltre ieri una dichiarazione congiunta con la Norvegia. Una posizione, quella britannica, ben lontana dai desiderata di Francia, Italia e Germania (che temono ripercussioni energetiche e geopolitiche da un prolungamento della crisi). Ieri il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha non a caso esortato telefonicamente Putin a dichiarare un cessate il fuoco, chiedendo inoltre una soluzione diplomatica. La stessa che è stata invocata anche da Mario Draghi nel suo recente viaggio a Washington. Nondimeno, le bizze della Turchia contro l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato vanno lette all’interno di questa linea politica. E qui arriviamo al punto. Che cosa faranno gli Stati Uniti? Si manterranno allineati alla postura severa di Londra come nell’ultimo mese o sceglieranno un ammorbidimento in stile italo-franco-tedesco? Non è facile rispondere visto che, da quando questa crisi iniziò a montare lo scorso dicembre, Joe Biden si è ripetutamente mostrato irresoluto e contraddittorio. Da parte americana sta tuttavia emergendo qualche segnale più distensivo. Ieri sera, dopo le dichiarazioni di Zelensky e Reznikov, è stata data la notizia di una telefonata tra il capo del Pentagono, Lloyd Austin, e l’omologo russo, Sergei Shoigu. In particolare, secondo Reuters, Austin «ha chiesto un cessate il fuoco immediato in Ucraina e ha sottolineato l’importanza di mantenere le linee di comunicazione. Entrambi i leader hanno avuto la possibilità di parlare tra loro, ma non entrerò maggiormente nel contesto», ha precisato il portavoce del Pentagono. Da rilevare che i due ministri non si parlavano dal 18 febbraio, cioè da prima dell’inizio dell’invasione. Inoltre, proprio mentre Draghi era a Washington, si era tenuto un colloquio tra l’ambasciatore americano a Mosca, John Sullivan, e il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov. Sia chiaro: tutto questo non implica necessariamente un cambio di rotta da parte della Casa Bianca. Ciononostante un tale scenario non è neppure del tutto escludibile. Gli effetti indiretti della crisi ucraina si fanno sentire anche negli Stati Uniti, con un’inflazione galoppante che rischia seriamente di danneggiare i democratici alle elezioni di metà mandato a novembre. L’amministrazione americana presenta inoltre delle divisioni interne sul dossier ucraino, mentre resta il fatto che Biden continua contraddittoriamente a negoziare con i russi, per rilanciare l’accordo sul nucleare con l’Iran. Tutti questi fattori avvicineranno la Casa Bianca alla linea morbida invocata dall’Europa occidentale? I prossimi giorni forse ce lo diranno.
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