2020-02-11
Volevano affidare un bambino a un ex Br
Nelle centinaia di pagine di trascrizione delle conversazioni, i protagonisti di «Angeli e demoni» agivano a insaputa del giudice. I giudizi poco lusinghieri delle assistenti sociali su una toga: «È uno molto tonto». La paradossale controstoria dell'«Espresso».Un bambino potrebbe essere stato sottratto alla sua famiglia per finire affidato a un'ex brigatista. È l'ultima, sconcertante scoperta della Procura di Reggio Emilia: che scavando nelle sempre nuove appendici di «Angeli e demoni», l'inchiesta sui presunti affidi illeciti di Bibbiano, ora sospetta possa essere accaduto perfino questo. La scoperta arriva grazie al lavoro dei carabinieri, che analizzano i cellulari sequestrati agli indagati alla fine del giugno 2019, quando l'inchiesta è emersa con le misure cautelari disposte dal giudice delle indagini preliminari Luca Ramponi. Da uno di quei telefoni emerge una conversazione del maggio 2015, quindi in un'epoca precedente e diversa da quella fin qui passata al vaglio degli inquirenti reggiani. A parlarsi con messaggini sono due delle 26 indagate di «Angeli e demoni»: Federica Anghinolfi, all'epoca dirigente dei servizi sociali di Bibbiano e della Val d'Enza, e la psicologa Imelda Bonaretti. «Ohi, Fede», scrive quest'ultima, «ma poi chi glielo dice al giudice» che il bimbo «lo mandiamo all'ex brigatista?». La risposta è secca: «Mica lo sa. E la pena l'ha scontata».Il dialogo è uno fra i tanti analizzati dai carabinieri, e difatti le trascrizioni già riempiono centinaia di pagine. Questa conversazione, come molte altre, non riguarda nessuno dei dieci casi citati nell'ordinanza di fine giugno. Ogni volta che andando a ritroso nel tempo è spuntata un'ipotesi di reato, comunque, la pm Valentina Salvi ha disposto accertamenti, che a volte hanno condotto all'apertura di nuovi fascicoli. Nel caso della chat del giugno 2015, le indagini sono ancora in fase di approfondimento: non si sa né se l'affido del minore sia avvenuto davvero, né il nome dell'ex brigatista. Subito si è ipotizzato potesse trattarsi di Flavio Amico, condannato a 18 anni per complicità nel rapimento di Aldo Moro: nel 2013 era stato anche indagato per il maltrattamento di due minori ospitati nella casa famiglia che aveva fondato nove anni prima a Fidenza (Parma), e il processo s'era poi estinto per per prescrizione. In un'altra conversazione tra la psicologa Bonaretti e l'Anghinolfi (che meno di un mese fa è stata licenziata dai Servizi sociali della Val d'Enza) sembra emergere un altro tentativo d'ingannare uno dei 34 giudici del Tribunale dei minori di Bologna, per di più condita con un giudizio poco lusinghiero nei suoi confronti. Questo dialogo risale all'ottobre 2015. Si capisce che la psicologa è stata incaricata di stilare una relazione a proposito della revoca di un provvedimento di allontanamento, che la responsabile dei Servizi sociali vorrebbe scongiurare a tutti i costi. La Bonarietti scrive sul suo cellulare: «Io lascio intendere… E comunque il quadro è grave, la piccola antisociale cresce». Ma all'Anghinolfi questo non basta perché, spiega, «quel giudice è molto tonto, non intende». Poi aggiunge: «Forse una spiegazione tecnica sarebbe auspicabile. Sai, tipo quelle relazioni da Consulente tecnico d'ufficio..». L'assistente sociale, insomma, chiede alla psicologa di sottolineare meglio che il malessere della bambina deriva proprio dalla sua famiglia d'origine. E la Bonaretti risponde: «Eh, magari provo a rendere più esplicita quella frase». Giuseppe Spadaro, che del Tribunale dei minori di Bologna è presidente dal 2013, dichiara alla Verità che «tutto questo conferma quel che ho sempre detto. E cioè che dall'ipotesi accusatoria emerge una frode processuale ai danni dei giudici minorili». Il commento dell'alto magistrato è duro: «Se le accuse dovessero essere provate in sede dibattimentale», dice, «avremmo anche la riprova che assistenti sociali infedeli facevano di tutto non per assistere i minori e le famiglie in difficoltà, ma solo per arrivare agli allontanamenti. Per questo, in passato, ho detto che anche noi giudici saremmo da considerare tecnicamente «vittime» di questi operatori sociali. Lo confermo». Spadaro insiste sulla sua tesi, e cioè che «comunque non bisogna né generalizzazione, né delegittimare il sistema». Ma aggiunge: «Se vi sono delle mele marce, vanno eliminate. E chiunque abbia sbagliato, dovrà pagare: chiunque». Alla luce di queste nuove rivelazioni, assume un colore doppiamente paradossale la storia di copertina dell'Espresso, uscito ieri allegato a Repubblica. Undici pagine che tentano di raccontare una vicenda Bibbiano ribaltata, dove l'inchiesta «Angeli e demoni» sembra andare a caccia d'inesistenti negatività in un mondo perfetto, dove regna soltanto positività. Il settimanale dà una lettura esclusivamente ideologica dello scandalo, che riduce a puro strumento di «sciacallaggio» da parte della destra (Lega e Fratelli d'Italia), e addirittura attribuisce agli inquirenti reggiani la colpa di aver contribuito alla trasformazione della loro inchiesta in un «caso politico». Nemmeno le Sardine avevano osato tanto. Nemmeno il Partito democratico, che pure continua a brillare per negazionismo. E nemmeno la commissione tecnica d'inchiesta della Regione Emilia Romagna, che pure aveva destato scalpore paragonando Bibbiano a un «raffreddore». Nel mirino dell'Espresso entra anche Francesco Morcavallo, l'ex magistrato minorile bolognese che inutilmente, una decina d'anni fa, aveva denunciato le patologie del sistema. Contro di lui, il settimanale spara le antiche censure del Consiglio superiore della magistratura. Morcavallo, che nel 2013 si era dimesso dall'ordine giudiziario non per quelle censure, bensì per lo sconforto di una battaglia contro il classico muro di gomma, risponde a tono: «L'unico modo per salvare il sistema», dice, «è provare a screditare chi oggi lo indaga o chi in passato l'ha criticato. Ma non c'è modo di farlo, se non inventando. L'Espresso sa bene che i provvedimenti adottati dal Csm nei miei confronti, e a favore di quelli che già allora chiamavo “ladri di bambini", sono stati tutti smentiti dalla Cassazione. Ricordo del resto che proprio L'Espresso fu il primo giornale che io informai di quanto accadeva nella giustizia minorile. Ma scelse di tacere perché, mi si disse allora, dei magistrati non si poteva parlare male. Peccato che in quel momento fossi magistrato anch'io».
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)