2019-06-25
Tra le penne di «Repubblica» volano coltellate
Un'inchiesta su Cosimo Ferri (Pd) firmata da Carlo Bonini e Giuliano Foschini fa infuriare il collega Francesco Viviano: «Quanti santi ha in paradiso uno che mi ha registrato e mi ha fatto condannare per uno scoop?». Il giornalista accusato ha legami con Gianrico Carofiglio. Luca Lotti nega le fughe di notizie. Spuntano nuove cene con i pm. Il fedelissimo di Matteo Renzi: «Non potevo sapere di Consip». Ma c'è qualcosa che non torna. Lo speciale comprende due articoli. I pistoleri di Repubblica, ieri, hanno impallinato (una volta il piombo era l'ingrediente principale nella stampa dei giornali) uno dei tanti cattivoni del caso Csm. Con questa raffica: «"Ci pensa Cosimo". Così Ferri il puparo manovrava le sue toghe». Nell'inchiesta firmata da Carlo Bonini e Giuliano Foschini vengono evidenziati i «rapporti confidenziali» con un magistrato arrestato nei mesi scorsi in Puglia di Cosimo Maria Ferri, uno dei personaggi coinvolti nei summit notturni del mercato delle nomine. Ma il deputato pd e giudice in aspettativa, a cui, per ora, per quei «rapporti» nessun collega ha chiesto conto, si è sfogato sulle chat: «Incredibile articolo su di me su Repubblica». Ma se le proteste di Ferri erano previste, non era facile prevedere l'attacco di una delle firme storiche di Repubblica, quella di Francesco Viviano, il quale quando legge il nome di «un certo Foschini» deve avere degli attacchi di orticaria, nonostante giudichi l'inchiesta «bellissima». Nella chiusa dell'articolo si parlava del Trani-gate, dove Ferri «insieme a un “gruppo di amici giuristi" doveva mettere insieme gli argomenti giuridici per chiudere Annozero». Un passaggio che ha fatto infuriare Viviano: «Mi chiedo come mai Giuliano Foschini ricordi l'intervento di Cosimo Ferri sull'inchiesta di Trani, dove l'allora premier, Silvio Berlusconi, voleva far chiudere il programma Annozero condotto da Michele Santoro. Uno scoop di Repubblica firmato dal sottoscritto, Francesco Viviano, che è stato condannato, anche in Cassazione, per avere pubblicato atti “segreti" della Procura della Repubblica di Trani». E sarebbe stato incastrato proprio dal collega: «Ebbene la mia condanna, a un anno e due mesi di reclusione, è “discendente" (come hanno scritto nelle loro sentenze i tribunali di primo e secondo grado e anche in Cassazione) dalle “dichiarazioni di Giuliano Foschini" (mio pseudocollega che lavora nel mio stesso giornale), che mi ha accusato e che ha anche registrato una conversazione tra me e lui in quei giorni caldissimi dello scoop che è finita in mano ai pm. In quella circostanza Foschini, grazie alla sua “collaborazione" e al suo avvocato Paolo Sisto di Forza Italia (quindi vicino a Berlusconi, oggetto dello scoop di Repubblica) è uscito dall'inchiesta perché definito “testimone assistito". Io mi sono fatto difendere dagli avvocati del mio giornale come era giusto. Questo Foschini, non ha “rossore"?». Con La Verità, Viviano fornisce altri imbarazzanti particolari: «Foschini per me poteva avvalersi della facoltà di non rispondere, perché era indagato anche lui, e invece ha detto al pm di avermi visto entrare nella stanza del gip e poi di avermi accompagnato a fare una copia dei documenti, anzi, due copie, perché era meglio tenerne una di riserva. Ma la cosa che mi ha colpito di più è che questo signore mi ha registrato. Quando sono stato interrogato dal pm, del quale ora non ricordo il nome, mi ha fatto ascoltare la conversazione e io gli ho detto: “Dottore, sono 40 anni che faccio la giudiziaria e non mi è mai capitata una intercettazione fatta così velocemente". E gli ho chiesto: “Ma come avete fatto?". Mi rispose: “Ascolti"... Non era un'intercettazione. Questo signore mi aveva registrato. La conversazione è stata consegnata da lui al magistrato. Ma perché mi ha registrato? Me lo chiedo ancora». Viviano non si dà pace. «La mia condanna è una questione che riguarda tutta la categoria, non soltanto me, perché quelle carte me le ero procurate per Repubblica e per i lettori del giornale. Ho denunciato la questione al consiglio dell'Ordine dei giornalisti di Bari e non mi è arrivata alcuna risposta. Ho segnalato questa squallidissima storia anche alla Fnsi e mi hanno detto: «Stiamo studiando il caso, le faremo sapere». Il Cdr di Repubblica, dopo la sentenza della Cassazione, in un comunicato ha espresso solidarietà umana e sottolineo soltanto umana». E su Facebook Viviano si chiede: «Ma quanti santi in paradiso ha questo Foschini?». Di certo ha molti amici tra i magistrati pugliesi. Il giornalista ha per esempio un rapporto privilegiato con Gianrico Carofiglio. Uno dei giornalisti che firmano questo articolo nel 2013 pubblicò su Panorama le foto della famiglia Vendola a pranzo con un bel gruppo di magistrati, tra cui Carofiglio e la moglie. C'era anche il giudice Susanna De Felice che qualche anno dopo assolse lo stesso Vendola da un'accusa di abuso d'ufficio. I pm protestarono e Foschini spiattellò la loro nota riservata sul giornale, beccandosi una denuncia. Ma sulla questione delle foto rimase sempre un passo indietro. Sino a quando, all'improvviso, fece uno scoop: «Il partner di Patrizia Vendola (sorella del politico, ndr): “Ho dato io le foto a Panorama"». Il sommario chiariva meglio la vicenda: «Cosimo Ladogana ha presentato denuncia alla Digos accusandosi di aver ceduto lui al settimanale le foto della festa a cui hanno partecipato il governatore e il gip che lo ha assolto». Foschini riportò che Ladogana aveva tradito la famiglia della fidanzata «all'insaputa di tutti» perché «voleva scoprire le carte del settimanale e tutelare la sua donna». In realtà dietro alla denuncia c'era una storiaccia che venne fuori quando gli investigatori sequestrarono il pc di Ladogana. In cui trovarono la corrispondenza tra il cognato e Carofiglio: «Il mio intento era quello di proporre tali foto al giornalista senza nascondere, anzi evidenziando la provenienza illecita delle stesse. […] Tutto questo al solo scopo di constatare la reale disponibilità dello stesso ad addentrarsi in un contesto di illegalità». E aggiunse: «Ero sicuro di presentarmi lì la domenica con i carabinieri e denunciarlo per ricettazione». E ancora: «Era da giorni che avevo quella maledetta idea in testa, tanto da parlarne in maniera scherzosa anche a Patrizia. Dicevo: “A quel pezzo di merda bisognerebbe fargli il culo proponendogli materiale rubato"». Ladogana era pronto a qualunque cosa pur di non passare da traditore: «Sono disposto a tutto […] Non avrei problemi, se fosse necessario, di presentarmi davanti a un giudice autodenunciadomi». Cosa che fece. Ma solo dopo che Carofiglio gli aveva limato il testo e gli aveva chiesto «tutto (ma davvero tutto senza censura) lo scambio di email con quel signore (chi scrive, ndr)» e «un sunto delle comunicazioni telefoniche, con numeri delle utenze e durate delle conversazioni ed eventuali sms» tra il cognato e il cronista. Subito dopo partì la denuncia farlocca e Foschini la pubblicò in anteprima. Ma non raccontò che, per quel maldestro tentativo di incastrare il giornalista, Gianrico e il fidanzato della Vendola vennero indagati (Carofiglio per omessa denuncia) e poi archiviati solo perché la calunnia non era andata a buon fine. Nei giorni scorsi Foschini ha intervistato dal vivo per l'ennesima volta Carofiglio nella kermesse «La Repubblica delle idee». La serata era intitolata: «Le parole sono pistole cariche». Peccato che con gli amici facciano sempre cilecca. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/volano-coltellate-tra-le-firme-di-repubblica-2638971211.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lotti-nega-le-fughe-di-notizie-spuntano-nuove-cene-con-i-pm" data-post-id="2638971211" data-published-at="1757849854" data-use-pagination="False"> Lotti nega le fughe di notizie. Spuntano nuove cene con i pm Durante l'udienza preliminare di ieri, davanti al gup Clementina Forleo, il deputato pd Luca Lotti, accusato di favoreggiamento nei confronti dell'ex amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, ha provato a vendere cara la pelle e uscendo dal tribunale ha anche detto la sua sulla vicenda dei discussi incontri notturni con i consiglieri del Csm: «Non mettevo bocca sulle nomine nelle Procure», si è difeso l'ex sottosegretario. «Ho letto sui giornali che c'erano relazioni con la Procura di Roma, ma queste non ci sono mai state, tanto è vero che la richiesta di rinvio a giudizio nei miei confronti è stata fatta e abbiamo iniziato l'udienza preliminare. Ho già smentito nei giorni scorsi le ricostruzioni lette su questa vicenda: l'ho detto e scritto nei post in maniera chiara». Lasciando la cittadella giudiziaria, ha aggiunto: «Era dal dicembre del 2016 che attendevo questo momento. Nella sede più opportuna, davanti ai magistrati, ho potuto chiarire la mia posizione». Nella scorsa udienza, il 28 maggio, Lotti aveva chiesto di essere interrogato, dopo aver reso spontanee dichiarazioni nell'ormai lontano 27 dicembre 2016. E ieri, davanti alla Forleo, avrebbe «escluso categoricamente» di aver parlato dell'inchiesta con l'allora ad Marroni nel loro incontro del 3 agosto 2016, per un semplice motivo: «Non potevo riferire a Marroni ciò che non sapevo». Infatti, a precisa domanda del gup, ha negato di essere stato, in quella data, a conoscenza dell'inchiesta della Procura di Napoli e ha spiegato di esserne venuto a conoscenza solo dopo gli articoli pubblicati dal Fatto Quotidiano nel dicembre 2016. Peccato che a inizio novembre La Verità avesse già dato notizia di un'inchiesta partenopea che coinvolgeva Tiziano Renzi. Le nostre fonti erano interne al Giglio magico e Renzi senior aveva condiviso la notizia con le persone a lui più vicine. E tra questi c'era certamente Lotti, che con il babbo aveva frequenti incontri. Lo scorso dicembre, a due anni esatti dall'iscrizione sul registro degli indagati, la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'ex ministro e l'archiviazione per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio. Ieri gli inquirenti hanno ribadito l'istanza di processo per l'ex ministro e i coindagati, tra cui l'ex comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e il generale «renziano» Emanuele Saltalamacchia. Ieri La Gazzetta del Mezzogiorno ha pubblicato un colloquio con l'imprenditore pugliese Flavio D'Introno, le cui dichiarazioni hanno portato all'arresto per corruzione in atti giudiziari dei pm pugliesi Michele Nardi e Antonio Savasta. L'uomo, a cui sarebbero stati estorti 2 milioni con la promessa di aggiustare i suoi processi, ha parlato di cene romane con Lotti, il deputato pd Cosimo Ferri, il pm Luca Palamara (indagato a Perugia per corruzione e coinvolto nell'affaire Csm) e altri magistrati a cui avrebbe partecipato insieme con le due toghe finite in carcere. Lotti e Palamara hanno negato categoricamente di averlo mai incontrato. L'imprenditore con La Verità ha confermato la sua versione e ha annunciato che squadernerà le prove. Il suo avvocato, Vera Guelfi, ha spiegato: «Il mio assistito veniva coinvolto unicamente per il pagamento delle cene». Il povero D'Introno, insomma, non condivideva segreti, ma serviva solo da bancomat.