2025-10-05
Il Rottamato che vive del vuoto a sinistra
Il luogo comune lo vuole abile comunicatore, ma l’ex premier pare più che altro un «battutaro» dai rapporti altalenanti con la stampa. Grazie all’assenza di un vero leader progressista, resta (a stento) a galla, mentre oggi si chiude la Leopolda che liquida Italia viva.Cognome e nome: Renzi Matteo. Noto anglista. «First reaction? Shock! Becæöøz! Shish!».Assurto alla politica nazionale da sindaco di Firenze, meravigliosa città d’arte che «ha la vergogna, insieme a Roma e a Venezia, d’essere una di quelle città che non vivono col lavoro indipendente dei loro cittadini vivi, ma con lo sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei forestieri. Metà dei fiorentini campa direttamente alle spalle degli stranieri. L’altra metà alle spalle di quelli che campano alle spalle degli stranieri» (il fiorentino Giovanni Papini, Discorso su Firenze, 1913). Renzi abile comunicatore, così vuole il luogocomunismo. Più che altro, un battutaro, almeno per Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’università di Trento, poi di Torino, che in 80 deliziose paginette, Essere #matteorenzi, il Mulino 2015, lo percula smontandone stile, grammatica e sintassi.Partendo dalla partecipazione di Renzi premier al Festival dell’economia di Trento, il 1° giugno 2014, dopo il trionfo del Pd alle Europee (40,8%), per un confronto con Tito Boeri condotto, «si fa per dire», da Enrico Mentana.Che «indossa con naturalezza i panni del nerd che vuole diventare amico del compagno di classe più grosso, perciò ride alla sue battute, gliele completa, gli alza la palla perché possa schiacciare. Al minuto 50 Mentana e Renzi sono affiatati come i fratelli De Rege».Il Royal Baby, pamphlet di un Giuliano Ferrara sull’orlo del deliquio, Rizzoli 2015. Un maleducato di talento, per Ferruccio De Bortoli. L’intoccabile, titolo del volume di Davide Vecchi. Matteonzo, per Dagospia. LawRenzi d’Arabia, per le sue note trasferte (con rimborso spese) nel regno del principe Sim Sala Bim, cultore della libertà di pensiero e di stampa, uno che - Khasoggi ieri, Khasoggi domani - fa letteralmente perdere la testa ai giornalisti.Con cui Renzi ha invece rapporti altalenanti. «Quando la pianti di rompermi i coglioni?» fu il buongiorno rivolto al telefono da palazzo Chigi, una mattina del 2014, a Maurizio Belpietro, direttore della Verità ma all’epoca di Libero, per una serie di articoli che lo avevano, per dir così, infastidito.Con Tommaso Cerno, invece, sono rose e violini, infatti l’ha convocato alla Leopolda (che si chiude oggi) come intervistatore.Spigoloso, urticante, abrasivo? Mah. Tenendo conto che Cerno va ad annate come il vino, direttore nel gruppo di Carlo De Benedetti prima, direttore nel gruppo dell’onorevole Antonio Angelucci oggi, nel mezzo in Parlamento con il Pd candidato da, toh!, Renzi...Più complicati i rapporti con De Bortoli.Voleva da lui 200.000 euro di risarcimento.Ne ha pagati 15.000 di spese legali.L’ex direttore del Corriere della Sera, con due articoli puntuti (settembre 2014/aprile 2015), si era rivelato tutt’altro che Flebuccio.Dichiarando di avvertire uno «stantio odore di massoneria», intorno al Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi.E domandandosi: «Del giovane caudillo Renzi, che dire? Il Corriere ha diffidato del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche» (vedi alla voce: Marco Galluzzo, inviato di via Solferino, minacciato dalla scorta e costretto a fare le valigie dall’albergo in cui Renzi svacanzava in Versilia).De Bortoli specificò poi che riferendosi alla massoneria alludeva al ruolo di Denis Verdini come regista del Patto (così il sito Open.Online il 3 agosto 2023).«Senza Verdini, ora Renzi chissà cosa farebbe. Gli deve tutto il suo successo. Di sicuro non sarebbe premier», sentenziò Diego Volpe Pasini, «tra i più intimi consiglieri del Cavaliere» (così Vecchi).«È stato Verdini a consegnarmi a Renzi al ballottaggio», così Giovanni Galli, candidato sindaco di Firenze per il centrodestra nel 2009.Nota a margine: Verdini fu socio al 15% del Foglio di Ferrara, circostanza che avrebbe influito - inzigano i maliziosi - sull’appoggio con fuochi d’artificio dello stesso Elefantino a Matteuccio.Casi loro.Su come Renzi premier si sia mosso con gli altri attori istituzionali è illuminante l’amarcord dell’anonimo capo di gabinetto di Io sono il potere, Feltrinelli 2020.Per esempio. Appena diventato premier, ordina a Graziano Del Rio, che aveva voluto sottosegretario a Palazzo Chigi (prima di litigare anche con lui), di mandare una lettera a tutti i ministri in cui prescriveva la necessità di un suo gradimento personale sui loro capi di gabinetto: «Una roba mai vista». Per non parlare della scelta del capo del Dipartimento affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio, uno snodo nevralgico (da lì passano tutti i provvedimenti del governo) nelle relazioni con ministeri, Quirinale, magistrature, istituzioni indipendenti, corporazioni. «Per cui una fragorosa e irriverente risata salutò la nomina di Antonella Manzione, la Vigilessa, capo della polizia municipale a Firenze».Ma soprattutto: lo stile Renzi «capovolgeva l’ordine logico del nostro lavoro». I testi legislativi andavano scritti in quattro e quattr’otto «per dare seguito ad annunci rapsodici del premier che scavalcava i ministri».Ovvero: prima le slide, poi i contenuti.Con quali effetti, è facile immaginare.Dopo la tranvata al referendum costituzionale del 2016 (apertura de La Stampa, ottobre 2016: «Renzi: se perdo, cambio mestiere», cioè lascio la politica, e difatti...) si dimetterà da premier.Ma rimanendo segretario Pd (apertura de La Stampa, maggio 2017: «Renzi: il candidato premier sono io»), così da essere lui a decidere la composizione delle liste alle politiche 2018.Dove il Pd rimedierà il risultato peggiore della sua storia, 18,8%.Colpa sua?Macché: di Paolo Gentiloni, suo sostituto a Palazzo Chigi, cui Renzi rimprovererà l’«algida sobrietà» e l’«incapacità di dettare l’agenda».Ma omettendo di ricordare che Gentiloni era stato posto sotto tutela dal sottosegretario alla presidenza, il cui ruolo - è sempre l’anonimo a spiegare - «è stato svilito a quello di “controllore” del premier per conto di leader di partito sospettosi o rancorosi. A inaugurare il nuovo corso, Maria Elena Boschi, mandata lì da Renzi» proprio per questo, la reginetta del Giglio magico.Renzi il rottam-attore.Renzi il rassicur-attore: «Enrico, stai sereno», il bacio della morte inviato a Letta il giovane, poco prima di sfilargli la poltrona da premier.IncoeRenzi: «Giorgia Meloni ha aumentato le accise», che aveva promesso di estirpare «con video simpaticissimi» (in realtà non le ha aumentate, ha abolito il taglio del 2022).Ma chi aveva giurato, a Porta a porta nel maggio 2014: «Prendo qui l’impegno a razionalizzare, pulire, decurtare, eliminare tutte queste voci ridicole»? Bravi: lui, da premier.E chi, sventolando copia del suo saldo bancario, 15.000 e rotti euro, nel gennaio 2018 a Matrix aveva tuonato: «Se volete fare soldi, non fate politica, andate nelle banche d’affari. Chi fa il politico ha questi conti correnti, non ne ha altri. Se ne ha altri, c’è qualcosa che non torna»? Bravi, sempre lui (SkyTg24, 4 dicembre 2024: «Nel 2023 l’ex premier ha dichiarato un reddito di 2.339.469 euro. L’anno precedente era stato di 3.217.735 euro»).Oggi capo di una formazione, Italia viva, che vivacchia a percentuali mortaccine nei sondaggi (2,4%: supermedia YouTrend del 2 ottobre), sta occupando il centro mediatico nel vuoto pneumatico di leadership del centrosinistra.Con la consueta abilità da prestigiatore, che simula e dissimula.Sulla scoppola del centrosinistra nelle Marche: «Con tutto il rispetto per la Flottiglia, si votava a Senigallia».Bello.Certo, l’avesse detto prima del voto, - davanti a Matteo Ricci col bandierone palestinese - , e non dopo, sarebbe risultato ancora più ficcante.Per quella Balaklava ha però difeso Elly Schlein: «Sta facendo un lavoro prezioso».Mumble, mumble...Come mai tale apertura di credito? Stefano Folli su Repubblica: «Quando si tratta di raccogliere voti, la sua rete è ormai quasi vuota. Ma quando c’è da affidarsi all’istinto e cogliere il punto politico, l’uomo ritrova la sua rapidità di riflessi. Ha capito in fretta che non è questa l’ora adatta per aprire un conflitto con Schlein. E che l’unico modo di costruire il futuro è lavorare sui tempi lunghi». Cioè avrebbe forse - forse - accantonato il piano, secondo La Stampa del 21 luglio scorso immaginato con Dario Franceschini - che quando divenne segretario Pd al posto di Walter Veltroni, di cui era vice, Renzi aveva sfregiato: «Se Veltroni è stato un disastro, ora l’hanno sostituito con il vicedisastro» - per un nuovo partito e una candidatura anti Meloni (cognome e nome: Salis Silvia).Sì, ma allora il futuro di chi? Quello del Pd? Del campo largo? O banalmente, more solito, il suo? Per ragguagli, citofonare Carlo Calenda: «Pensavo di essere l’ultimo pirla che si era fidato di Renzi. Non ero l’ultimo e questo mi rassicura dal punto di vista psicologico. L’unica cosa che mi sento di dire è in bocca al lupo a Schlein».Un rosicone, come lo bollerebbe il Toscano del Grillo («io so’ io etc», copyright mio)? Può darsi.Ma voi la comprereste un’auto usata da Renzi?Sì?(Italo)vivissimi auguri.
lUrsula von der Leyen (Ansa)