2021-07-29
Vittime? Dipende. Cortei per Youns, silenzio per Ikram
Sfilate per l'africano irregolare ucciso a Voghera dall'assessore della Lega, ma oblio sulla prigionia dell'italo-marocchina Ikram Nazih. Un mese esatto. Anzi, oggi un mese e un giorno: questo è il tempo che Ikram Nazih, studentessa italo marocchina di 23 anni, ha trascorso in carcere. Il 28 giugno un tribunale marocchino l'ha condannata in primo grado a 3 anni di reclusione e al pagamento di una multa per blasfemia. Ikram, che vive in Francia, stava tornando in Marocco dalla famiglia e non appena ha messo piede in aeroporto, il 19 giugno, è stata arrestata, portata davanti a un giudice e poi sbattuta in prigione. Il tutto, pensate un po', per aver condiviso su Facebook un post ironico che citava un versetto del Corano. La sua battutina (davvero all'acqua di rose) ha suscitato l'ira di una associazione islamica, è partita una denuncia e le autorità marocchine hanno agito con decisione, fermando la ragazza con la prontezza con cui solitamente si bloccano i nemici pubblici pericolosi.Ieri, in Commissione esteri alla Camera, è stata presentata l'interrogazione della Lega su questa assurda vicenda. «Abbiamo avuto la rassicurazione da parte del sottosegretario agli Affari Esteri, Manlio Di Stefano, della massima attenzione da parte della Farnesina e di un pieno sostegno alla famiglia e all'avvocato», dice il leghista Massimiliano Capitanio. «Senza invasioni di campo, abbiamo chiesto al ministero un ulteriore impegno nel dialogo con le autorità marocchine, per arrivare almeno alla concessione dei domiciliari alla ragazza. Chiediamo inoltre un approfondimento per capire se quello di Ikram sia un caso isolato o se sia in corso un monitoraggio, anche attraverso i social, dei comportamenti e delle libertà dei cittadini con doppia cittadinanza, perché questa seconda ipotesi sarebbe grave e preoccupante».Le autorità italiane, vogliamo crederlo, stanno facendo tutto il possibile. Ma quel che sorprende è il sostanziale disinteresse con cui viene trattata la storia di Ikram dai media e dalla opinione pubblica. Non ci sono state sfilate, né manifestazioni. Niente cortei né striscioni fuori dai palazzi comunali. Avete visto scendere in piazza qualche organizzazione femminista? O magari avete sentito voci di protesta da parte di esponenti della comunità marocchina in Italia? No, certo che no.Le associazioni di sinistra e i marocchini sono impegnati a manifestare per ben altra causa. Per la precisione, quella di Youns El Boussettaoui, 39 anni, anche lui marocchino. È l'uomo ucciso a Voghera con un colpo di pistola dall'assessore alla Sicurezza Massimo Adriatici della Lega.Youns è stato elevato a martire dai progressisti italici. Ci sono stati cortei in suo nome, con la partecipazione di celebrità come Gad Lerner. Non passa giorno senza che la sorella, Bahija El Boussettaoui, conceda una intervista indignata a giornali o televisioni. La più fresca risale a ieri: a Repubblica, la donna ha dichiarato che continuerà a gridare «finché non avremo giustizia. Non sono sola», ha precisato, «oltre alla mia famiglia, vedo che tante persone vengono ad ascoltarmi. A Bologna c'erano tanti italiani che gridavano “giustizia per Youns", molti di loro piangevano. La gente si sta rendendo conto». Bahija ha addirittura invocato l'aiuto di Ilaria Cucchi, a cui si è paragonata: «Adriatici è un uomo potente, io sono solo la sorella di un povero marocchino», ha detto. Ecco, ora la martirizzazione è completa. El Boussettaoui è diventato il «povero marocchino» ucciso dal razzismo italico per cui i sinceri democratici dovrebbero pretendere giustizia. In questa ricostruzione, però, qualcosa non torna.Chiaro: in Italia non esiste la pena di morte, e non è previsto che chi aggredisce qualcuno venga fucilato. Allo stesso modo, però, non è previsto che chi si reca al bar a bere un cicchetto o un caffè venga aggredito. El Boussettaoui non era un «povero marocchino con problemi psichici»: era un immigrato irregolare con precedenti per spaccio. Avrebbe dovuto essere espulso, e invece si aggirava in varie città aggredendo i passanti e provocando guai. La sorella lo descrive come un padre di due figli che ha perso il lavoro e che dormiva sulle panchine per sentirsi libero. I pargoli però li aveva lasciati Marocco, dove non aveva nessuna intenzione di tornare (pure se avrebbe dovuto). «Andava aiutato», dicono i suoi agiografi. Ma lui rifiutava l'aiuto, e continuava a causare problemi ovunque, a Piacenza come a Voghera. A differenza di Stefano Cucchi, Youns non è morto mentre era affidato alla custodia dello Stato (che avrebbe dovuto proteggerlo, non causarne la fine). No: è morto mentre dava di matto in un bar. Quanto alla «giustizia» che gli spetterebbe, beh, a ben vedere sta facendo il suo corso. Adriatici - che pure aveva regolare porto d'armi - è agli arresti, accusato di eccesso colposo di legittima difesa. Se verrà riconosciuto colpevole, pagherà. Intanto, già adesso la sua vita è in corso di distruzione (provate a cercare «Adriatici assassino» sulla Rete, vedrete che bei risultati usciranno).Allora è giunto il momento di ricalibrare un poco i toni. L'unica «povera marocchina», qui, è Ikram Nazih. Lei sì che merita giustizia, e meriterebbe pure sostegno e manifestazioni a suo favore. Invece - nel silenzio quasi generale - è ancora in carcere in attesa del processo di appello, appesa a una vaga speranza nella grazia che il sovrano del Marocco potrebbe concederle domani, in occasione della Festa del trono.Per lei, finora, non ci sono state grida né interviste strappalacrime. La sua storia non si può utilizzare come un maglio contro la destra, e allora meglio occultarla. Meglio trasformare in un martire chi martire non è.
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