
Per i 16 migranti schiavi morti nelle campagne del Foggiano lo sdegno è durato pochissimo. Le cooperative legate al Pd tra i gruppi che comprimono i margini di chi produce per incrementare i profitti di chi vende.Per un uovo in faccia (gesto tanto imbecille per quanto esecrabile) il milieu buonista globalista, vertici del Pd in testa, ha starnazzato contro il razzismo per giorni, per sedici neoschiavi morti nelle campagne del foggiano dopo ore e ore a raccogliere quei pomodori che caricati su di un Tir li hanno travolti lo sdegno è durato il tempo di un telegiornale. Questione di proteine? No: questione di vite all'asta, esattamente come i barattoli di pelati. Così si scopre che dietro al pomodoro ci sono interessi che sfiorano la galassia del Pd e ci sono responsabilità politiche dell'attuale segretario del Partito democratico, Maurizio Martina, che è stato ministro dell'agricoltura per quattro anni fino al marzo scorso. Ieri Martina è stato costretto a marcare stretto Matteo Salvini che è sceso in Puglia insieme con il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Conte è stato chiaro: «Dobbiamo eliminare questa piaga, dare dignità al lavoro, ma per farlo dobbiamo anche dare un sostegno alle imprese». Esattamente l'opposto di quella legge sul caporalato che voluta da Martina e approvata nel novembre del 2016 è stata un flop perché inapplicata e perché punitiva solo verso gli onesti. È una legge che peraltro Matteo Salvini e il ministro dell'agricoltura (Lega) Gian Carlo Centinaio hanno già annunciato di voler cambiare.Sono tanti i tratti d' illegalità che la morte assurda di questi schiavi solleva (nell'esercito degli sfruttati la maggioranza è fatta da italiani: su 15.000 braccianti che lavorano nei campi del foggiano gli extracomunitari sono meno di 5.000), così Matteo Salvini è venuto a Foggia per annunciare misure di contrasto speciali. Il segretario del Pd sceso anche lui a Foggia si è chiuso nella Camera del lavoro a parlare con i sindacalisti ufficiali ribadendo però la «necessità di un contrasto forte al caporalato a partire dalla legge che noi abbiamo approvato». Ma al Pd oggi non conviene fare troppa confusione sul caso braccianti. Perché basterebbe considerare che continuano a morire perché trasportati su carrette che nessuno controlla quando la legge impone l'istituzione di un trasporto pubblico dei braccianti. Anche perché indagare troppo sul bracciantato significa scoprire che la politica di «falsa» accoglienza praticata dal Pd ha importato manodopera disperata gestita spesso dalle cooperative, molte vicine al Pd, che lucrano due volte sulla pelle dei profughi: la prima vota intascando i soldi dell'assistenza, la seconda organizzando le braccia che vanno a raccogliere i pomodori. E poi c'è un terzo livello di guadagno: vendere nei supermercati a prezzi stracciati i pomodori raccolti da questo esercito di senza volto, senza diritti.E si rischia di far precipitare alcuni luoghi comuni cari alla sinistra buonista e globalista. Il primo luogo comune che salta è che i caporali siano italiani. No: i caporali sono in maggioranza altri immigrati. Irregolari di lungo corso ma intoccabili. Nel foggiano alcuni hanno addirittura ufficializzato la loro mediazione: prendono 30 centesimi all'ora per ogni bracciante impiegato e 2 euro per il trasporto. Loro affittano le baracche, trovano il lavoro e gestiscono la prostituzione ai «richiedenti». A Rosarno la strada che dal paese porta alla bidonville è un alveare di «lucciole» nigeriane che d'italiano sanno solo 4 parole: «Bocca, figa, due euro». La notte quella strada pullula di utilitarie di pensionati italiani, ma la «marchetta» di queste bambine, perché tali sono, è tarata sull'argent de poche che lo Stato riconosce ai cosiddetti rifugiati: 2,50 euro al giorno. Eppure Maurizio Martina si è vantato in lungo e in largo di aver fatto approvare la più restrittiva legge sul caporalato che oggi naufraga sotto il peso di questi sedici morti.La Flai Cgil che difende i lavoratori agricoli sta criticamente con Martina. Però mentre denuncia il permanere del sistema del caporalato non comprende che dichiara il fallimento della legge che colpisce i produttori e non i caporali. Che sono di tutte le etnie perché il sistema del caporalato nelle campagne del Sud è uguale a quello dei campi di concentramento nazisti: i kapò sono della stessa nazionalità degli schiavi. Così ci sono i nigeriani, i romeni, i polacchi: a ogni nazionalità degli schiavi corrisponde l'omologo caporale. Agli italiani ci pensano i mafiosi. Perché tra le braccia sfruttate ci sono anche tantissime donne italiane. A cogliere l'uva da tavola a due euro l'ora ci vanno le ragazze pugliesi, calabresi, siciliane. E accettano paghe da fame perché devono tenere la concorrenza degli immigrati clandestini. Sembra di essere tornati indietro di secoli. Ed è un altro luogo comune caro alla gauche caviar che salta: con un'incidenza di oltre 4 milioni di poveri assoluti ormai al Sud è difficile fare - come avrebbe detto la professoressa Elsa Fornero - i choosy, gli schizzinosi. Ma non c'è riparo. Se il pomodoro viene pagato a chi coltiva 8 centesimi al chilo, se le olive si vendono a 30 euro al quintale, se i mandaranci non vanno oltre i 6 centesimi non c'è spazio alcuno per un lavoro legale. Tant'è che Gian Marco Centinaio ha dovuto insistere per il ripristino dei voucher agricoli: unico modo per reclutare in chiaro manodopera stagionale in campagna.A svelare che quei pomodori - manche quelle olive, quell'uva, quelle angurie - sono sporchi di sangue ma sono anche la sigla del nuovo ordine globalista ci ha pensato una paladina dell'accoglienza: Emma Bonino. Nel gennaio scorso ha detto: «Gli immigrati ci servono, sennò chi raccoglie i pomodori?». Capito? Gli immigrati sono forza lavoro a basso costo importata per gonfiare i profitti di chi non si sporca le mani: la grande distribuzione. Lo sa bene la sinistra che plaude a Jeff Bezos, il re di Amazon divenuto l'uomo più ricco del mondo a cui Matteo Renzi ha steso tappeti rossi come ha fatto con i cinesi di Ali Baba. I renziani hanno fatto di tutto per inventare i mini-job che piacciono a Foodora (che ora se ne va dall'Italia e forse proprio un male non è) e si indignano se Luigi Di Maio mette in discussione le aperture domenicali dei centri commerciali. Si capisce perché: non può saltare il modello di business costruito sulla compressione dei margini di chi produce per incrementare i profitti di chi vende. In agricoltura questo sistema si chiama aste inverse o al massimo ribasso. Si fanno in Internet: le gestiscono i colossi della distribuzione. Sono una slot machine dove si gioca solo al ribasso e vince sempre la catena di supermercati. Ma se a Milano o a Bruxelles è uno gioco di e-mail, nelle campagne del foggiano diventa una roulette russa: un cassone di pomodoro per un euro e una vita all'asta. È così che Eurospin ha potuto comprare 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro (700 gr) a 21,5 centesimi e altrettante scatole di pelati da un chilo a 31,5 centesimi.Maurizio Martina, quando era ministro avvertito del fenomeno, non è andato oltre una dichiarazione d'intenti siglata il 28 giugno di un anno fa nella quale alcuni gruppi della grande distribuzione s'impegnavano a non fare aste elettroniche al ribasso. Tutti? Coop Italia, il primo gruppo di distribuzione in Italia assai vicino al Pd, no. Ha detto: non facciamo le aste, ma evitiamo di mettere troppi limiti. Anche perché Coop per i prodotti che vende col suo marchio le fa attraverso Coopernic: a capo c'è Marco Pedroni, presidente di Coopitalia. È una centrale d'acquisto da 140 miliardi di euro che unisce Coop, Leclerc, Dellaise, Rewig: una sorta di G4 dello scaffale! Conad - certo non nemico del Pd - che pure firmò l'intesa sul no alle aste ha tra i suoi distributori la cooperativa trentina Dao che è uno dei quattro soci di Eurospin che compra quasi tutto con le aste al ribasso schiacciando gli agricoltori, nonostante le promesse di Maurizio Martina che sul pomodoro ha cercato di fare accordi di filiera naufragati; poi si è aggrappato all'etichetta d'origine dei prodotti facendo ammuina perché già sapeva che l'Europa - come ha fatto - gli avrebbe cancellato i decreti. E ora siamo tornati al mercato selvaggio. L'ultimo accordo di filiera per i pomodori raccolti nel centro sud fissa a 8,7 centesimi al chilo il prezzo dei tondi e a 9,7 centesimi il prezzo per quelli lunghi da industria. Siamo due centesimi sotto la quotazione del 2015. Come ha dimostrato un'indagine di Oxfam a chi produce il cibo va il 5% del prezzo pagato dai consumatori, mentre il supermercato intasca metà dello scontrino. Pensando alla passata a 39 centesimi vuol dire che chi ha raccolto qui pomodori ha preso 1,5 centesimi al chilo! Allora si capisce perché George Soros è stato fino all'anno scorso il terzo azionista del colosso immobiliare delle cooperative rosse e socio di Coop Adriatico e Coop Tirreno (grande distribuzione) e perché il suo fondo Quantum Strategic investe in coop in tutto il mondo. E si capisce perché a Strasburgo Gianni Pittella, presidente degli eurodeputati del Pse, insieme alla pattuglia di eurodeputati amici di Soros, ha votato per la caduta dei dazi su pomodori e arance marocchini e olio tunisino e perché oggi contrasta l'idea di far votare all'Ue una legge che vieti le aste online al ribasso. Se i supermercati che da sempre pagano i conti della Lega Coop riducono i margini c'è di che preoccuparsi, tanto più che le cooperative rosse ormai si sono ritirate dalle campagne preferendo rifugiarsi tra gli scaffali, nella finanza e - come sappiamo - nell'accoglienza. Lo ha spiegato benissimo Emma Bonino: gli immigrati ci servono per raccogliere i pomodori. Così l'elettore è contento perché paga la passata 39 centesimi, la morale è salva e i conti pure. Dunque, perché strillare troppo per i morti di Foggia? In fin dei conti non è razzismo, è solo un incidente… lungo la strada che porta ai campi dell'inferno!
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