2020-08-18
Visita tedesca a sorpresa in Libia. L’Italia arranca e regala terreno
Erdogan e Emmanuel Macron (Ansa)
Il ministro degli Esteri di Berlino è volato a Tripoli per discutere della crisi nel Paese. Al Serraj conclude un accordo con Turchia e Qatar. Doha addestrerà le forze libiche. Erdogan punta al porto di Misurata.Ieri, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio era in missione a Tunisi insieme al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e ai commissari europei agli Affari Interni, Ylva Johansson, e per l'Allargamento e il vicinato, Olivér Varhelyi, a poco più di un'ora di volo dalla capitale tunisina accadevano due cose importanti per il nostro Paese sotto altrettanti punti di vista: quello migratorio e quello energetico. Primo: il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, l'omologo del Qatar, Khalid bin Mohammad Al Attiyah, e il viceministro degli Esteri del governo tripolino, Salah Al Din Al Namroush, hanno raggiunto un accordo per la cooperazione trilaterale fra i tre Paesi. Obiettivo: potenziare le capacità delle istituzioni militari libiche. L'emittente Libya Al Ahrar, citata dall'Agenzia Nova, spiega che i tre hanno concordato di sostenere le istituzioni militari libiche tramite l'invio di consulenti e militari qatarioti, allo scopo di addestrare elementi delle forze armate di Tripoli, e l'apertura in Libia di sedi delle accademie militari turche e qatariote. Secondo Al Namroush, i ministri si sarebbero inoltre trovati d'accordo sulla necessità di risolvere la crisi libica mediante il dialogo e di rafforzare la stabilità del Paese. Ankara, con la sponda di Doha, sta cercando di passare all'incasso dopo essere stata fondamentale nell'arrestare l'offensiva lanciata da Haftar sulla capitale libica. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (che ieri ha sentito telefonicamente sia l'omologo russo Vladimir Putin sia il premier italiano Giuseppe Conte) punta infatti a creare una postazione navale nella città di Misurata (la stessa i cui ha sede l'ospedale da campo italiano) e una aerea a Al Watiya, a Sud-Ovest di Tripoli.Secondo: il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, con una visita a sorpresa si recava a Tripoli, capitale della Libia, per incontrare i massimi esponenti del Governo di accordo nazionale presieduto Fayez Al Serraj e proporre la creazione di una zona smilitarizzata intorno alla città di Sirte. Il capo della diplomazia di Berlino ha inoltre affermato che gli alleati di entrambi le parti — del governo di Tripoli così come dell'autoproclamato Esercito nazionale guidato da Khalifa Haftar — stanno favorendo un massiccio afflusso di armi nel Paese: un fatto inaccettabile, ha spiegato. È la Germania, infatti, a guidare il processo europeo per il futuro della Libia, il cosiddetto «processo di Berlino», l'iniziativa diplomatica per riunire attorno allo stesso tavolo tutti gli agenti stranieri coinvolti nella crisi in corso con l'obiettivo di fermare l'ingerenza straniera per mettere a tacere le armi. La stessa Germania, che è anche membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, si è detta «pronto a considerare», insieme a Francia e Italia, l'imposizione di sanzioni nei confronti di potenze straniere che violano l'embargo sulle armi in Libia. Una minaccia più volte espressa e che subito ha perso di credibilità: basti pensare all'impegno francese al fianco di Haftar e alle accuse statunitensi a Parigi di aver fornito droni al maresciallo della Cirenaica.Gli Stati Uniti — il cui apprezzamento verso l'impegno militare italiano all'estero è noto — sembrano disposti a scommettere sull'Italia in Libia. Tuttavia, la mancanza di una strategia così come di stabilità politica rendono spesso Roma un problema più che un'opportunità agli occhi di Washington nel Mediterraneo. Il contatto telefonico tra Conte ed Erdogan arriva a pochi giorni di distanza da quello tra Di Maio e l'omologo turco Cavusoglu. L'Italia si muove in scia agli Stati Uniti: nei giorni scorsi il ministro degli Esteri turco ha incontrato il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che ha invitato a ridurre le tensioni in tutto il Mediterraneo, dalla Libia fino alla Grecia. Washington teme un scontro all'interno della Nato, di cui Grecia e Turchia, in queste settimane ai ferri corti nel Mediterraneo orientale, fanno parte. Se l'Alleanza atlantica ha gioco relativamente facile nell'individuare le minacce esterne (come Russia e Cina) e alzare le difese, ben più difficile sarebbe rispondere a un caso di escalation tra alleati. Che potrebbe — aspetto nient'affatto secondario — rappresentare un'occasione ghiottissima proprio per gli attori esterni che minacciano la Nato. Cioè la Russia, sempre più impegnata anche nel Mare (che fu) Nostrum, e la Cina, che ha nel Mediterraneo un punto nevralgico della sua Via della seta. E proprio in merito alla minaccia cinese, ieri l'amministrazione di Washington ha ulteriormente rafforzato le restrizioni per impedire a Huawei, accusata dal presidente di «spiare gli Stati Uniti», di farlo usando tecnologia statunitense. E il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato: «Non condivideremo le nostre informazioni d'intelligence con nessun Paese che usi Huawei» nelle sue reti 5G, ha detto a Fox News usando il termine «Spywei» per definire il colosso cinese. Un avvertimento agli alleati. Anche all'Italia a cui già aveva fatto appello nei giorni scorsi Keith Krach, sottosegretario di Stato per la Crescita economica, con un'intervista al quotidiano La Stampa.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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