2022-06-20
Le virostar tornano a pontificare dal pulpito di tutti i loro errori
L’aumento dei contagi riporta in prima pagina gli esperti. Sergio Abrignani, dopo aver detto che la terza dose ci avrebbe protetti per dieci anni, ora sponsorizza la quarta. All’orizzonte ricompare il green pass.Tornano i contagi e ovviamente tornano anche le interviste agli esperti, i quali non vedono l’ora di riprendersi la scena che il calo dei ricoveri per Covid e l’invasione dell’Ucraina ha loro bruscamente tolto. Così ecco riaffacciarsi la compagnia di giro che ci ha accompagnati con fosche previsioni e altrettanti errori nei due anni passati. Ieri è stato il turno del professor Sergio Abrignani, un passato in alcune case farmaceutiche specializzate in vaccini e un presente nel Consiglio superiore di sanità. Oltre ai molti studi sui virus, di lui è rimasta famosa un’intervista concessa al Corriere della Sera all’inizio di novembre dello scorso anno, quando il governo esortava gli italiani a sottoporsi alla terza dose. Il docente spiegò dalle pagine del quotidiano di via Solferino che il booster avrebbe consentito di «innescare una memoria di lungo termine che avrebbe consentito di fare altri richiami non prima di 5-10 anni». Il Corriere non si lasciò sfuggire l’occasione e titolò a tutta pagina «Così il vaccino protegge fino a 5-10 anni». In realtà sono bastati meno di 10 mesi per convincere il professore che oggi c’è bisogno di un’altra dose. A dire il vero lui non la chiama quarta dose, ma nuova vaccinazione, quasi a dire che le prime tre non contano, perché riguardavano un altro virus e ora che il Covid è mutato in una serie di sottovarianti bisogna ricorrere a una nuova iniezione. «È come l’antinfluenzale», ha spiegato con la stessa certezza con cui a novembre assicurava che il booster ci avrebbe protetto per 5 o 10 anni. «Ogni anno il virus cambia e dobbiamo cambiare il vaccino».Ovviamente al luminare interpellato dal quotidiano milanese non pare significativa la differenza fra la volontarietà del vaccino contro l’influenza e l’obbligatorietà di quello contro il coronavirus. Ricordo che un anno fa, per spingere le persone a offrire il braccio alla patria, fu introdotto il green pass, ossia una limitazione dei diritti costituzionali sulla base dello stato vaccinale e, successivamente, il certificato verde, cioè il lasciapassare, fu concesso solo a chi si fosse sottoposto alla terza iniezione. Abrignani non lo dice, ma visti i precedenti non è da escludere: in caso di ulteriore aumento dei contagi, la «nuova vaccinazione» potrebbe essere accompagnata dall’introduzione delle vecchie limitazioni. In pratica, accedere ai luoghi di lavoro, ai ristoranti e in generale in locali al chiuso potrebbe diventare un privilegio riservato ai soli vaccinati con quarta dose. Il professore si spinge a ipotizzare contagi diffusi nei mesi a venire. «Il virus ha a disposizione un bacino di persone suscettibili più ampio grazie alla capacità di aggirare le difese del sistema immunitario eretto dalla vaccinazione o da precedenti infezioni naturali. Il 40 per cento dei vaccinati si può infettare e il 7 per cento per la seconda volta, il doppio rispetto alle altre varianti». Ovviamente nell’intervista non c’è traccia di un lieve ripensamento riguardo ai 5-10 anni di immunità che secondo lui avrebbe dovuto garantire il booster. Né vi è spiegazione del perché la quarta vaccinazione dovrebbe funzionare, dato che la terza non sembra aver garantito la promessa immunità. La sola cosa che si ritrova è un rapido riferimento a un farmaco aggiornato bell’e pronto per l’autunno. Neppure si rintraccia un qualche accenno che consenta al lettore di comprendere perché il ministero della Sanità continui a comprare decine di milioni di dosi di un farmaco che forse non servirà a proteggere da una nuova variante. In compenso Abrignani se la prende con chi, seguendo l’esempio di altri Paesi, ipotizza di rinunciare all’isolamento dei positivi. «Abolire l’obbligo significherebbe accettare un rapporto di convivenza “totale” con il virus, mettendo in conto di perdere più persone». Insomma, si torna alle previsioni funeste. Anche se, alla fine, il luminare pare rassegnato: in passato «abbiamo vissuto inverni alle prese con epidemie influenzali pesanti, l’ultima nel 2018 che fece 8-10.000 vittime. Eppure i malati non dovevano restare a casa, isolati in quarantena. L’ipotesi al momento è di entrare in questo ordine di idee». Naturalmente, Speranza permettendo.