
La legge di bilancio passa la prova della fiducia alla Camera. Il 2,04% spuntato con la Commissione consente una prima mossa espansiva, che però non è ancora sufficiente. Serve un maggior impegno sul fronte delle imposte. Lo speciale contiene nove articoli. Dopo un'inevitabile fiducia finale ieri sera alla Camera, la prima manovra gialloblù è a un passo dal diventare legge: manca solo l'ultimo passaggio della promulgazione da parte del capo dello Stato, il quale - realisticamente - lascerà deluso il coro di chi gli chiede di non firmare. Al massimo, c'è da attendersi la sera del 31, nel tradizionale discorso di fine anno, qualche rimbrotto sulla compressione eccessiva dei tempi di dibattito parlamentare da parte del presidente Sergio Mattarella. Chi vince? Chi perde? Vince certamente la capacità di Lega e Movimento 5 stelle di condurre in porto i provvedimenti-bandiera sui quali i due partiti avevano imperniato le loro campagne elettorali in vista del 4 marzo scorso: sia pure con qualche sforbiciata, ci sono infatti stanziamenti capienti per quota 100 e reddito di cittadinanza. Resta il dubbio - questo sì - se la manovra abbia la forza di produrre uno shock positivo, una frustata pro crescita e pro sviluppo in una situazione che, alla vigilia del 2019, presenta molti inquietanti segnali di rallentamento, quasi pre recessivi. In questo, inutile girarci intorno, il lungo e spossante negoziato con Bruxelles non ha aiutato. Una prima volta, perché per due lunghi mesi i pesi massimi della Commissione Ue (a partire dal commissario francese, con ambizioni politiche macroniste, Pierre Moscovici e dall'oscuro lettone Valdis Dombrovskis) hanno sparato contro l'Italia a palle incatenate, sempre a Borse aperte, nel tentativo di creare una destabilizzazione sui mercati: ma, forse con loro delusione, non c'è stata una capitolazione italiana via spread, com'era accaduto nel 2011. E una seconda volta perché, a trattativa conclusa, il braccio di ferro con Bruxelles ci ha restituito una legge di bilancio per molti aspetti smussata rispetto alle aspettative. Come? Con più tasse (la Web tax), meno investimenti (4 miliardi di sforbiciata) e soprattutto più clausole di salvaguardia, cioè bombe pronte a esplodere, o comunque a complicare il cammino delle prossime leggi di bilancio, sotto forma di minacce di aumenti dell'Iva. Va infatti ricordato che la prima stesura della manovra sterilizzava le clausole lasciate dai governi Pd per il 2019, e prevedeva 13,7 miliardi di clausole nel 2020 e 15,6 miliardi nel 2021. L'ultima stesura, successiva all'accordo con Bruxelles, prevede ben 23,1 miliardi nel 2020 (con l'Iva che balzerebbe al 25,2%) e 28,8 miliardi nel 2021 (Iva al 26,5%). Come si vede, un aumento di ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e di ulteriori 13,2 nel 2021: un vero e proprio macigno del quale dobbiamo «ringraziare» la Commissione, che si è ben guardata dal chiedere qualcosa di simile alla Francia di Emmanuel Macron, che sforerà clamorosamente i parametri (deficit al 3,5%) per il decimo anno degli ultimi undici. Un inaccettabile doppio standard ai danni dell'Italia, nel gran silenzio delle massime istituzioni della Repubblica. A proposito di deficit, l'asticella finale si è fermata al 2,04%, e gli avversari del governo gialloblù hanno presentato la cosa come un cedimento a Bruxelles. A noi pare il contrario, se si considera che il punto di partenza era uno striminzito 0,8%. Quanto al consenso, dubitiamo che le opposizioni abbiano qualcosa da festeggiare. Tutti i sondaggi attestano che la fiducia nel governo (specie nella Lega di Matteo Salvini) resta alta, e nei prossimi mesi sarà forte in molte aree sociali l'attesa per quota 100 e per il reddito di cittadinanza, mentre non c'è rilevazione che non attesti la crisi di Pd e Forza Italia. Resta un'incognita di fondo, che riguarda l'intera Europa. Il rallentamento economico è evidente ovunque nel continente: la Francia è in fiamme per proteste sociali tutt'altro che sedate, la stessa Germania esce da un trimestre negativo, ovunque i consumi sono rattrappiti. Servirebbe una politica espansiva, di incoraggiamento alla domanda interna, in una fase in cui le stesse esportazioni tirano meno di prima. Per capirci, Donald Trump ha applicato una ricetta choc, con un mega taglio di tasse (1.500 miliardi di dollari in meno) e un mega piano di investimenti (1.500 miliardi di dollari in più), e oggi raccoglie una crescita spettacolare: Pil in salita oltre il 3%, disoccupazione praticamente annullata (appena il 3,7%, ai minimi da cinquant'anni). Invece l'Ue dice no a tutto: è masochisticamente contraria a forti tagli di tasse (ricetta liberista) e a forti piani di investimenti (ricetta keynesiana): preferisce una trattativa sparagnina e incattivita sugli «zero virgola». Con figli (francesi) e figliastri (italiani). <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quota-100-varra-per-350-000" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Quota 100 varrà per 350.000 La Lega è dunque riuscita a condurre in porto il suo principale obiettivo di campagna elettorale: non ancora la demolizione integrale della legge Fornero, ma certo un forte ridimensionamento della sua parte più aspra. Si potrà dunque andare in pensione già dal 2019, con 62 anni di età e 38 di contributi. Gli stanziamenti effettuati nella legge di bilancio (una ventina di miliardi nel triennio, di cui meno di 5 nel primo anno) sono valutati dalla componente leghista del governo assolutamente adeguati e capienti per «una durata triennale» come recentemente dichiarato dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. La prima stesura della manovra ne aveva previsti addirittura 7 per il primo anno: ma erano forse troppi, grazie alle «finestre» che razionalizzeranno i flussi dei lavoratori in uscita. E i fondi basteranno soprattutto perché si ha ragione di ritenere che non tutte le persone potenzialmente interessate, 350.000 per il 2019, sceglieranno questa opzione. C'è già un precedente in tal senso. Per l'Ape social (che era mirata verso alcune categorie, e quindi avrebbe potuto avere un'adesione massiccia), a fronte di uno stanziamento di 1,8 miliardi, a luglio erano stati consumati solo 600 milioni, con un «tiraggio» (in metà anno) che aveva coinvolto appena un terzo delle persone e delle risorse interessate. A fine anno potranno essere due terzi, ma è impensabile un'adesione generalizzata. Lo stesso tipo di valutazione viene fatta dal governo rispetto a quota 100: è un'opportunità, ma non si ritiene che tutti gli interessati la coglieranno. E non tanto per le penalizzazioni (che non ci saranno: nemmeno in termini di contributi figurativi), ma per due altri fattori. Il primo è il mancato guadagno: se vai in pensione prima, rinunci allo stipendio. Il secondo è il divieto di cumulo (fino a un massimo di cinque anni, ma ovviamente può essere meno, a seconda della vicinanza di ciascuno alla vecchia soglia dei 67 anni): insomma, se scegli quota 100, non puoi fare altro, anche per favorire il ricambio generazionale. A proposito del ricambio generazionale, resta un'incognita che solo il tempo potrà chiarire. I critici del governo gialloblù dicono: è impensabile che, per ogni lavoratore in uscita, avvenga in automatico una nuova assunzione di un giovane. E in effetti immaginare un tasso di sostituzione del 100% sarebbe insensatamente ottimistico: nel governo nessuno dice una cosa del genere. Però è certamente vera anche la contro-obiezione da parte dei leghisti: se ci saranno nuove assunzioni di giovani (che avranno costi inferiori) saranno state certamente incoraggiate e favorite anche dal meccanismo di uscita dei lavoratori più anziani generato da quota 100. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem8" data-id="8" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=8#rebelltitem8" data-basename="reddito-e-pensione-nodo-fondi" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Reddito e pensione, nodo fondi Nella manovra è previsto uno stanziamento (7,1 miliardi nel 2019, di cui 1 per i centri per l'impiego) per l'operazione «reddito e pensioni di cittadinanza». Ora, come La Verità ha scritto per prima, toccherà a un provvedimento separato, a un decreto (stesso discorso per quota 100), definirne i contorni. Resta un problema: i soldi per tutto non ci sono. Secondo Alberto Brambilla (centro studi Itinerari previdenziali), «solo per portare a 780 euro il milione di persone che percepisce la pensione d'invalidità, ci vorrebbero 6 miliardi. Per portare a 780 un altro milione che percepisce o la pensione sociale o l'assegno sociale, ne servirebbero altri 3 e mezzo». Si comprende da questa simulazione che non sarà facile per i grillini sistemare una coperta che resterà inevitabilmente corta. La novità (positiva) è che è stata accolta da M5s la proposta leghista di rendere la misura più «market friendly», prevedendo che, a offerta di lavoro accettata, il sussidio alla persona diventi un intervento a favore dell'impresa. I leghisti (saggiamente: comunque la si pensi sul reddito di cittadinanza) proponevano una defiscalizzazione. I grillini ci hanno pensato: e qualcuno non era favorevole a dare semaforo verde a un'ipotesi che - ad avviso dei grillini dubbiosi - avrebbe generato una commistione tra interventi assistenziali pro disoccupati e interventi di decontribuzione pro imprese. Si è giunti a un compromesso: misura pro impresa sì, ma nella forma di un incentivo. Insomma, ad assunzione effettuata, le rimanenti mensilità del reddito di cittadinanza andranno all'azienda (fino alla fine del ciclo, che dura 18 mesi). Veniamo ai dettagli della misura, per come i grillini stanno cercando di concepirla. Ci sarà più rigore (si spera) rispetto all'obbligo di accettare le offerte di lavoro: la prima entro 100 km da casa, la seconda entro 250, la terza con obbligo (per chi non ha figli) di trasferirsi, pena la perdita del sussidio. Quanto al cosiddetto «navigator», cioè il tutor che opera nei centri per l'impiego, si occuperà di un numero di percettori di sussidio variabile da 100 a 150, e avrà un incentivo per ogni assunzione riuscita (una somma pari a un quinto dello stipendio dell'assunto). Quanto al sussidio, le prime ipotesi distinguono tra un contributo per l'affitto (280 euro al mese per chi non è proprietario di una casa) e integrazione al reddito, che varierà (500 euro per un single, 700 per due adulti, 900 per due adulti con figli minorenni, e così via fino a 1050 euro per tre adulti con due minorenni). Per la pensione di cittadinanza, l'ipotesi è di far scendere il contributo per l'affitto a 150 euro, mentre l'integrazione al reddito si attesterebbe sui 630 euro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem7" data-id="7" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=7#rebelltitem7" data-basename="rivoluzione-partite-iva-ed-esperimento-ripetizioni" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Rivoluzione partite Iva ed esperimento ripetizioni È la parte migliore e più coraggiosa della manovra, che letteralmente cambia la vita (in meglio) a 900.000 imprese (artigiani, commercianti), professionisti e partite Iva: si tratta del primo step dell'introduzione della flat tax: 15% di tasse per le partite Iva fino a 65.000 euro annui di fatturato, e 20% sopra quella soglia fino a 100.000 euro. E attenzione: nella manovra c'è già scritto che dal 1° gennaio 2020 l'aliquota del 15% sarà applicabile fino a un fatturato di 100.000 euro. Il vantaggio è duplice: non solo sul piano di un'imposizione fiscale più contenuta e accettabile, ma anche su quello degli oneri burocratici. I soggetti ricompresi in questo regime fiscale saranno infatti esonerati dalla tenuta di una contabilità rigida. Un altro esperimento di flat tax - limitato a un settore ma pur sempre interessante - è quello per le ripetizioni scolastiche, con l'obiettivo di attivare un potente incentivo all'emersione di attività finora molto spesso svolte in nero. Secondo la norma, dal primo gennaio 2019, «i titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado» potranno chiedere l'applicazione di «un'imposta sostitutiva dell'Irpef (e delle addizionali regionali e comunali) pari al 15%». Quindi un'opportunità in più, un'alternativa, se ritenuta vantaggiosa. Secondo un accurato studio di due anni fa, curato da Lorenzo Castellani e Giacomo Bandini, attualmente metà degli studenti delle superiori si avvarrebbero attualmente di lezioni private; il giro d'affari sarebbe complessivamente di 800 milioni l'anno, e in 9 casi su 10 le ripetizioni avverrebbero senza dichiarazioni al fisco: quindi in nero. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem6" data-id="6" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=6#rebelltitem6" data-basename="scure-sugli-assegni-doro-mini-stop-alle-rivalutazioni" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Scure sugli assegni d’oro. Mini stop alle rivalutazioni Sulle pensioni d'oro, vittoria piena M5s. Contrariamente a quanto era stato assicurato per mesi, risultano colpiti indistintamente tutti i trattamenti più elevati, senza alcuna tutela per quelli frutto di contributi effettivamente versati dagli interessati. Dunque, taglio per 5 anni di tutti i trattamenti (tranne quelli di invalidità o per le vittime del terrorismo) i cui importi superino la soglia dei 100.000 euro lordi annui. Oltre quell'asticella, ci sono cinque scaglioni a cui verranno applicate altrettante aliquote crescenti: taglio del 15% per la parte tra 100 e 130.000 euro; del 25% per la parte da 130 a 200.000 euro; del 30% per la parte da 200 fino a 350.000 euro; del 35% per la parte da 350 a 500.000 euro: del 40% per la parte oltre i 500.000 euro. Su un altro piano, assolutamente distinto, cambia il meccanismo di rivalutazione delle pensioni. Le rivalutazioni erano bloccate dal 2011, e ora vengono sbloccate (buona notizia). A seguito però del negoziato con Bruxelles (cattiva notizia), la rivalutazione sarà più contenuta per le pensioni sopra i 1.521 euro. Fino a quella soglia ci sarà una rivalutazione piena, corrispondente al tasso (1,1%) che era stato reso noto dal Mef. Salendo nei trattamenti, la rivalutazione si assottiglierà: tra i 1.522 e i 2.029 euro, sarà pari al 97% del tasso, quindi all'1,067%; tra i 2.029 e i 2.537 euro, pari al 77% del tasso, quindi allo 0,847%; tra i 2.537 e i 3.042 euro, pari al 52% del tasso, quindi allo 0,572%; tra i 3.042 e i 4.059 euro, pari al 47% del tasso, quindi allo 0,517%; tra i 4.059 e i 4.566 euro, pari al 45%, quindi allo 0,495%; per i trattamenti superiori ai 4.566 euro, pari al 40% del tasso, quindi allo 0,44%. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="sulle-spese-manca-la-regia-tagli-a-editoria-e-coni" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Sulle spese manca la regia. Tagli a editoria e Coni Nella manovra non c'è un'azione organica di spending review. Il premier Giuseppe Conte, nella conferenza dell'altro ieri, ha dichiarato: «Sul taglio degli sprechi, il governo ha avuto poco tempo. Serve una task force che lavori in modo mirato e così potremo recuperare molte risorse». Ci sono però stati due interventi di settore: su editoria e sport. Quanto all'editoria, è stato deciso un contenimento dei contributi pubblici. Il taglio dei fondi è diluito nel tempo, per consentire alle imprese editoriali interessate di riorganizzarsi: 20% in meno sulla cifra eccedente 500.000 euro nel 2019; 50% nel 2020; 75% nel 2021. Scontate le proteste dei percettori: ma non si vede perché i cittadini debbano continuare a finanziare solo alcune opinioni, incluse quelle che non condividono, generando una disparità di trattamento sul mercato. Quanto allo sport, rivoluzione per il Coni, che manterrà il formale governo dello sport, ma perderà la cassaforte, cioè i 410 milioni di finanziamento annuale statale destinati alle federazioni sportive. Attualmente a distribuirli è il Coni stesso, attraverso una sua società. In base alla manovra, invece, fermo restando lo stanziamento della stessa somma, solo una piccola parte andrebbe al Coni (40 milioni), mentre il resto sarà gestito da una nuova società, Sport e Saluta spa, sotto il diretto controllo del governo. Inevitabile la polemica. Per i difensori dello status quo, la riforma mina la mitica «autonomia» dello sport italiano. Ma a ben vedere, l'argomento non è convincente: anzi, quanto più è chiara la responsabilità del governo, tanto più sarà limpida la possibilità per il Parlamento di esercitare attività ispettiva e di controllo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="bonus-bebe-e-family-card-piu-risorse-a-chi-fa-figli" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Bonus bebè e family card. Più risorse a chi fa figli Almeno cinque novità rilevanti nella legge di bilancio in materia di politiche per la famiglia, troppo spesso trascurate. La prima: buone notizie per i papà, che avranno cinque giorni di congedo obbligatorio (quindi i neo-padri dovranno astenersi dal lavoro per almeno cinque giorni, anche non continuativi, nei primi cinque mesi di vita del bimbo o della bimba), e un giorno in più in caso di sostituzione della mamma. La seconda: si incrementa il buono per iscriversi agli asili nido pubblici (1.500 euro l'anno, in salita dagli attuali 1.000) per il triennio 2019-2021. Per il 2022 l'importo dovrà essere rideterminato, ma non potrà in ogni caso scendere sotto i 1000 euro. La terza: una «carta per la famiglia», con sconti per cittadini italiani e di altri Paesi dell'Unione con residenza regolare: ma devono avere almeno tre figli di età non superiore a 26 anni (l'allargamento consiste nel fatto che finora il limite era fissato a 18 anni). La quarta: una sequenza di strumenti di monitoraggio e discussione, da una conferenza nazionale sulla famiglia a un piano nazionale sul tema, passando per ben tre osservatori (su infanzia, famiglia, pedopornografia).La quinta: un pacchetto di altre misure di sostegno. Interventi per valorizzare il ruolo dei consultori familiari e dei centri per la famiglia; per il sostegno ai minori orfani; per il sostegno ai genitori separati e divorziati; per il sostegno alle famiglie con almeno tre figli minori. Più nuove iniziative per la conciliazione del tempo di vita e di lavoro, e di welfare familiare aziendale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="avviato-il-saldo-e-stralcio-per-le-soglie-isee-basse" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Avviato il saldo e stralcio per le soglie Isee basse Nella manovra è previsto un meccanismo di saldo e stralcio delle cartelle (ricomprese nel periodo tra il 2000 e il 2017) per i soggetti in difficoltà economica. Aliquote: 16% (per chi abbia un Isee non al di sopra di 8.500 euro), 20% (da quella soglia fino a 12.500 euro), 35% (da quella soglia fino a 20.000 euro). Il requisito fondamentale per accedere alla misura è quello di aver presentato la dichiarazione dei redditi (anche se poi l'imposta non è stata pagata). L'operazione può riguardare ad esempio cartelle Equitalia, contributi previdenziali (per lavoratori autonomi o professionisti) ecc. L'altro fattore decisivo, come detto in esordio, è l'Isee 2019, con l'indicazione dei tre scaglioni e delle tre diverse aliquote citate. Occorrerà poi aggiungere l'aggio maturato dagli agenti esattoriali e gli eventuali interessi sulle somme oggetto della rateizzazione (2% l'anno). Sono previste due modalità di pagamento. Si può pagare in un'unica soluzione entro il 30 novembre 2019. Oppure si può scegliere una formula basata su cinque rate: il 35% entro il 30 novembre, il 20% entro il 31 marzo 2020, e quindi tre rate - corrispondenti ognuna al 15% - entro il 31 luglio 2020, entro il 31 marzo 2021 e infine entro il 31 luglio 2021. Inevitabili le polemiche delle opposizioni per l'assenza di una soglia per richiedere la sanatoria: come detto, l'unico requisito è l'Isee che testimoni una situazione di difficoltà economica dell'interessato. Secondo le opposizioni, invece, il rischio sarebbe quello di aiutare i «finti poveri». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vinta-la-battaglia-per-il-deficit-lue-ci-lascia-la-zavorra-iva-2624676476.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="comuni-casse-sbloccate-sulla-tav-si-decide-presto" data-post-id="2624676476" data-published-at="1757033363" data-use-pagination="False"> Comuni, casse sbloccate. Sulla Tav si decide presto In materia di investimenti, tre certezze (scritte nella legge di bilancio), una penalizzazione (frutto del difficile negoziato con Bruxelles), e un lavoro in corso (i cui effetti si vedranno nel 2019). Partiamo dalle tre certezze. La prima: per le Regioni, norme sulla contabilità che permutano la spesa corrente in spesa per investimenti. La seconda: per le province, 250 milioni di fondi strutturali. La terza: per i Comuni, copertura degli avanzi di bilancio, e di fatto conseguente sblocco degli investimenti. Sono tre misure che possono effettivamente attivare risorse che erano rimaste dormienti. La penalizzazione deriva dal fatto che, dopo il difficile negoziato con la Commissione europea, risultano circa 4 miliardi di investimenti in meno. Il lavoro in corso riguarda la cabina di regia in materia. Ancora nella conferenza stampa dell'altro ieri, lo stesso Giuseppe Conte ha tra l'altro rivendicato di aver convocato le aziende di Stato per incoraggiare nuovi investimenti e iniziative. Quanto alle grandi opere, dopo la decisione di sblocco del gasdotto Tap, resta invece incerta la sorte della Tav. Entro fine mese dovrebbero essere resi noti gli ulteriori dati della procedura istruttoria che è in corso da parte di una commissione tecnica. Una decisione definitiva dovrebbe avvenire prima delle europee, per ammissione dello stesso presidente del Consiglio. Sempre nell'incontro con i giornalisti dell'altro giorno, Conte ha anche evocato il ponte Morandi di Genova: «Probabilmente non vedremo scorrere entro la fine del 2019 le automobili, ma confido che entro la fine del 2019 vedremo già la nuova architettura».
(IStock)
L’allarme: le norme verdi alzano i costi e favoriscono i gruppi che operano all’estero.
(Ansa)
Il colosso cinese offre un superbonus da 10.000 euro per i clienti che rottamano i vecchi modelli. La promozione sostiene il fatturato mentre calano gli utili e le immatricolazioni. Più forte la concorrenza dei marchi orientali che dominano il mercato.
Martha Argerich (Michela Lotti)
La leggendaria pianista argentina: «Suono troppo, ho molti dubbi e non so cosa fare del tempo che mi resta. Quest’arte però è grande come l’amore. Non può sconfiggere il male, ma ha il potere di toccare l’inconscio».
di Carlo Melato da Portoferraio, Isola d’Elba
La folta chioma color argento e le mani vigorose «forgiate per il pianoforte», come affermò Vincenzo Scaramuzza, tirannico maestro fissato con l’anatomia che la temprò quando era bambina. Il sorriso buono che ripara l’interlocutore dal fuoco che brucia dentro e il portamento da fata gentile che custodisce i terribili segreti del suono. Tutto secondo copione: Martha Argerich, a 84 anni, è l’inconfondibile leonessa di sempre. L’elemento spiazzante, a poco più di un’ora dal concerto più importante del Festival internazionale Elba isola musicale d’Europa - diretto dal vecchio amico George Edelman - è che la leggendaria pianista argentina, solitamente restia a farsi intervistare («Difficile parlare di musica, è la musica che parla», il suo primo comandamento), accetti l’invito proprio quando per lei sarebbe il momento di riposare. I suoi colleghi infatti corrono a nutrirsi dopo due ore di lavoro regalate alla curiosità del pubblico (spoiler: la serata si concluderà in un trionfo), nelle quali l’antidiva in purezza del concertismo mondiale è riuscita nel miracolo di dirigere attraverso le espressioni del suo viso.
La Argerich ci attende sullo sgabello. Con la mano destra regge una lattina di Coca-Cola che oscilla pericolosamente a pochi centimetri dalle corde e dai martelletti di uno Steinway gran coda, mentre la sinistra non riesce a smettere di cercare nuovi accordi, senza che questo distragga minimamente l’artista.
Le prove aperte sono un preludio di questo evento al Teatro dei Vigilanti di Portoferraio: prima il Quintetto per due violini, viola, violoncello e pianoforte op. 44 del suo «amico dell’anima», Robert Schumann, poi il Concerto per pianoforte, tromba e orchestra d’archi op. 35 di Dmitri Shostakovich, a 50 anni dalla morte del compositore russo.
«Schumann lo amo ancora moltissimo, è una persona eccezionale».
Ne parla come se fosse vivo...
«Adoro anche il concerto di Shostakovich, soprattutto in questo periodo difficile per il mondo. Sappiamo che il suo autore pagò sulla propria pelle i guai che gli causò Stalin. Il rapporto di forza tra il dittatore e il musicista fu davvero singolare (Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk - che il teatro alla Scala farà rivivere nella Prima di Sant’Ambrogio - costò al ventisettenne Dmitri una condanna pubblica sulla Pravda, alla quale seguirono censure, emarginazioni e violente pressioni psicologiche, ndr). Ma dobbiamo sottolineare l’eccezionale formazione da camera di questa sera».
L’Elba festival orchestra strings.
«Non consideriamolo “un ensemble di giovani”, anche se chiaramente sono tutti meno vecchi di me» (ride).
Età a parte, si sente una maestra in questo contesto, una guida?
«No».
Dai loro volti però traspare l’emozione di fare musica con lei: non è un privilegio?
«Così dicono… Comunque loro suonano benissimo. E c’è la prima tromba dell’orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, Alfonso Gonzales Barquin. Devo dire molto, molto bene...».
La sua espressione lascia intendere un «ma»…
«Beh, il pianoforte ha un suono duro, secco. L’accordatore però ha fatto i miracoli».
Durante le prove ha bisbigliato a lungo con i professori d’orchestra.
«Anche questo teatro è particolare…».
Porta la firma di Napoleone, ma è una piccola bomboniera da 250 posti. Sono le dimensioni a complicare l’acustica?
«L’ultima volta che ho partecipato al festival avevo un pianoforte Fazioli ed eravamo all’aperto. Ricordo un’arena meravigliosa e un caldo pazzesco. Oggi gli elementi sono tutti diversi… La verità è che sono io a sentirmi strana. Nei giorni scorsi ero così stanca che non sapevo nemmeno se sarei riuscita a raggiungere l’isola. Non sono in forma: oggi più o meno, in realtà non lo so…».
Rileggendo la sua biografia, L’enfant et les sortilèges di Olivier Bellamy, ci si accorge che il peso dell’agenda che trabocca di concerti, soprattutto dopo i precoci trionfi al Concorso Busoni e a quello di Ginevra all’età di 16 anni, non l’ha mai abbandonata. Moltissimi anni fa arrivò a procurarsi un taglio a un dito per trovare una tregua. In questa fase della sua vita il palcoscenico le è amico?
«Difficile rispondere. Vivo in uno strano stato: tante domande, sono perplessa riguardo a me stessa».
Cosa la preoccupa?
«Non sono contenta di suonare - e soprattutto viaggiare - così tanto. Non so perché lo faccio, ma da questo punto di vista sono sempre stata contraddittoria. Faccio cose che non ho voglia di fare e poi… mi piacciono. Strano no?».
Gli applausi e l’amore che il pubblico le dimostra sono un sollievo?
«Non sempre perché penso a ciò che verrà dopo. Vorrei avere più tempo libero e non essere soltanto una pianista. Mi piacerebbe scoprire altro…».
Cosa?
«Per capirlo servirebbe la libertà che mi manca. Sono vecchia ormai. Non so cosa fare del tempo che rimane».
Si dice che lei sia perfezionista con sé stessa, ma non con il prossimo. Il direttore d’orchestra Enrico Fagone mi ha confidato che rimane sempre colpito dalla generosità con la quale lei coinvolge musicisti dei quali ama abbracciare la fragilità. Condividere la musica con le persone care le dà gioia?
«All’amicizia tengo molto, è un aiuto reciproco. Per me è stato decisivo il rapporto con Claudio Abbado. Quando lo conobbi ero una bambina e lui un giovane pianista: il migliore in quella masterclass a Salisburgo con Friedrich Gulda. Eseguiva la parte solistica dei concerti mentre io vestivo i panni dell’orchestra all’altro pianoforte. Non poteva ancora immaginare che sarebbe diventato un grande direttore. Poi ricordo Maurizio Pollini. I nostri diversi stili ci colpirono a vicenda. Ci incontrammo al Concorso di Ginevra e ogni volta che ci penso mi viene da ridere…».
Perché?
«Uomini e donne gareggiavano separati (la Argerich vinse, il formidabile pianista italiano arrivò secondo nella categoria maschile, ndr). Claudio e Maurizio non ci sono più e mi mancano terribilmente».
Il festival dell’Elba ha visto anche sua figlia, Annie Dutoit Argerich, dare corpo e voce alla Ode a Napoleone di Lord Byron, trasfigurata musicalmente da Arnold Schönberg in una specie di dodecafonia dal volto umano. Byron, come Schönberg, sembra molto critico verso quel Bonaparte che su quest’isola lasciò il segno, se ne andò 210 anni fa per riconquistare il mondo, senza però sapere che nel suo destino c’era Waterloo.
«Una prova molto difficile, Annie è stata bravissima (bis in programma a Oxford il 22 gennaio 2026 per il compleanno dello scrittore romantico, ndr). La delusione di Byron è propria di chi ha tanto amato. Ne ho parlato a lungo con mia figlia e mi ha convinto» (ride).
«La tomba è stato il tuo unico dono per chi ti adorava», sentenzia il poeta a proposito dell’«uom fatale». Ricorda la disillusione di Beethoven o quella di Manzoni: «Fu vera gloria?». Anche lei, sul New York Times, si è chiesta: «Cosa siamo noi pianisti? Niente».
«È vero, anch’io mi domando a cosa serva la gloria. In un film di Pedro Almodóvar (Tutto su mia madre, ndr) una donna afferma: “Il successo non ha sapore, né odore”. È così. E, in qualunque campo, non è nemmeno stabile. Pensi a quanti presidenti vengono eletti e poi scaricati dal popolo».
Ma quindi a cosa serve la musica?
«È un miracolo, la meraviglia della vita. È come chiedersi a cosa serve l’amore. Nella mia esistenza ho conosciuto una persona a cui non piaceva la musica, di qualunque tipo e genere. Non mi è mai più capitato».
È un’arte che regge l’urto davanti al mondo in fiamme?
«È l’espressione di qualcosa che non conosciamo fino in fondo. Di sicuro ha un potere enorme. Fare musica insieme è fondamentale, parla all’inconscio. Basti pensare a cosa ha generato Daniel Barenboim con la sua West-Eastern Divan orchestra (formazione che riunisce musicisti proveniente da Israele, Palestina e non solo, ndr). È molto interessante. Purtroppo però non basta».
Da Est al Medio Oriente è il male a trionfare?
«Ho conosciuto la madre di un ostaggio israeliano, rapito a 22 anni. So che suonava il pianoforte, nel frattempo ne ha compiuti 24. Spero che sia ancora vivo. Sono sofferenze terribili…».
Qual è il vero compito degli artisti oggi? Schierarsi?
«In qualche modo è sempre stato così. Arturo Toscanini o Pablo Casals lo hanno fatto, altri no. I musicisti sono persone, non immagini. Rispondono alla loro coscienza».
C’è un luogo nel quale trova la pace?
«Nella musica di Ludwig van Beethoven. Sono alle prese con la Grande fuga».
Da bambina scrisse che il padre della musica era Johann Sebastian Bach. Il suo Dio Beethoven. Ha cambiato idea?
«No, ma oggi sono politeista» (ride).
Prima ha citato Gulda, che per lei ha rappresentato un vero e proprio maestro di libertà. Le ha trasmesso anche la passione per il jazz?
«Certo. Erroll Garner è meraviglioso, Art Tatum mi ricorda Rachmaninoff e poi adoro Chick Corea. Mi spiace che sia scomparso. Tra le nuove leve vado matta per la giapponese Hiromi».
Domenica ci sarà la finale del Busoni. Per la sua vita, la vittoria del 1957 fu la palla di neve che scatenò la valanga. Cosa augura ai partecipanti?
«Di vincere, non è detto che si debba essere travolti. A proposito, sono rimasta impressionata da una giovane pianista».
Il suo nome?
«Martina Meola, 12 anni, vive a Milano. Ero nella giuria del concorso “Jeune Chopin” e ci ha regalato una ballata del compositore polacco meravigliosa».
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Papa Leone XIV (Ansa)
Da domani, il pellegrinaggio Lgbt a Roma con messa («profetica», dice lui) di monsignor Savino. Prevost, però, non riceverà i fedeli omosex, anche se il loro ideologo, il gesuita Martin, giura: «Prevost è come Francesco». Mentre Zuppi lo tira per la stola sui migranti.