
Anche Emily Marion Clancy, numero due di Matteo Lepore, ha partecipato al corteo contro il «pericolo nero». Le sue deleghe? Ambiente, diritti Lgbt ed «economia della notte».Lei lo sapeva che su Bologna stavano per calare le «camicie nere». E quindi Emily Marion Clancy, il vicesindaco di Bologna ancora più giovane e arcobaleno di Elly Schlein, in prima linea al corteo di sabato con le «zecche rosse», come da definizione un po’ sintetica del vicepremier Matteo Salvini, si era già preparata da tempo a un’opposizione multicolor e transtutto.Nata il 25 aprile (forse non a caso) del 1991, doppio passaporto italiano e canadese come Sergio Marchionne (quello svizzero, come la Schlein che ne ha tre, sarà in arrivo?), laurea in legge a Bologna e Londra al King’s college, la compagna Emily non è un politico di plastica come potrebbe sembrare. E neppure uno di quelli che senza la politica non arriverebbe a fine mese. Nel 2016, a soli 25 anni, è stata eletta in consiglio comunale come candidato più votato della lista coalizione civica per Bologna ed era la più giovane. Nel primo mandato si è occupata in gran parte di lotta alle diseguaglianze, diritto alla casa, carcere, ambiente. Nel frattempo si è «blindata» la carriera con un posto a tempo indeterminato in Regione da 103.000 euro l’anno, al servizio giuridico del territorio. Quel territorio che in Emilia, come si è visto, è assai fragile. Dalle sue dichiarazioni patrimoniali, Clancy risulta non possedere né immobili né auto o moto o barche. Insomma, vive sobriamente. Nel 2021 è stata rieletta consigliere comunale con il maggior numero di preferenze espresse di tutto il consiglio. Gavetta e voti. Solo che la lettura delle deleghe che ha ricevuto come vicesindaco è la seguente: «Casa e politiche per l’abitare, politiche ambientali e assemblea per il clima, pari opportunità e differenze di genere, diritti Lgbt, contrasto alle discriminazioni, lotta alla violenza e alla tratta sulle donne e sui minori, economia della notte». In sostanza, a Bologna si potrebbero licenziare tutti gli operai, chiudere gli asili e i piccoli negozi, privatizzare i servizi pubblici, consegnare la città alle baby gang e far esplodere ogni genere di violenza tra maschi e sui maschi e lei, il vicesindaco di casa al centro sociale Bandiera gialla, potrebbe dormire tranquilla. A meno che quest’apocalisse non avvenga nelle ore piccole, disturbando quindi la sua avvincente delega notturna. E in effetti compagna Clancy continua a definirsi di sinistra, esattamente come la Schlein, sostituendo la tutela dei cosiddetti diritti civili ai ben più faticosi diritti dei lavoratori. O dei fumatori fumati, come si evince dalla sua posizione in fatto di droghe leggere: «La cannabis light rappresenta una risorsa importante per l’economia e per la salute pubblica». Va detto che in vista delle Regionali di domenica, il vicesindaco da corteo si è ricordata di inserire tra i temi da affrontare anche «la lotta al lavoro povero». Del resto, quando stai sul territorio le ingiustizie e le povertà almeno un po’ le vedi. Poi, una volta planati a Montecitorio o a Bruxelles, scatta il «Ciao poveri». Adesso per il centrodestra di governo si pone un grave dilemma: ignorare la compagna arcobaleno Clancy o farne una nuova eroina della sinistra che vede fascisti ovunque?
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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