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Viaggio al termine della notte in una Parigi ormai sottomessa

Ho attraversato ieri la notte di Parigi, in compagnia di uno dei rari amici con cui possa ancora parlare di letteratura e che non separi la pratica letteraria dall'esercizio spirituale. Se la notte era bella, la temperatura si era leggermente abbassata, un po' di fresco saliva dalla Senna e, immagino, da foreste lontane. Vi si incrociava qualche bella ragazza giovane, per la maggior parte di razza bianca, con qualche antillana carina, quasi tutte vestite in short e abiti leggeri, che l'amico R. mi diceva sorprendersi di vedere deambulare così nella notte della città, dato che le cose erano ogni giorno più difficili in provincia, per esempio a Grenoble, dove i magrebini hanno le mani sul «centro città» al punto che i bianchi vi camminano abbassando gli occhi, il che significa che è quasi realizzata la sottomissione, più che la Grande Sostituzione: l'intimidazione rimpiazza qui la demografia in un'immigrazione che ha modificato a tal punto il popolo francese che questo diviene irriconoscibile, in certi posti, e che esso si perpetua solo in ciò che ha di peggiore: il ripiego, la rinuncia a essere se stessi, l'oblìo.

L'intimidazione di origine immigrata ha ucciso la notte delle grandi città, velato le donne, impedendo alle altre di essere se stesse, a parte quelle che incrociamo in questa notte, eleganti, audaci, troppo esposte: si è visto cosa è accaduto in Germania e in Svezia, dove il «vivere insieme» ha portato il dionisiaco al priapismo criminale che gli imbecilli che acclamavano i «rifugiati» non prevedevano e che rifiutano ancora di guardare in faccia. Tra questi criminali sessuali, un buon numero di magrebini...

Attraverso le piccole strade che discendono dalla montagna di Saint-Geneviève verso l'orto botanico e verso il fiume, la notte parigina non era così idilliaca come io ho suggerito: appena si lasciano i viali e le strade principali, si vedono dappertutto piccoli mucchi di spazzatura, bottiglie abbandonate sui marciapiedi, talvolta nei pressi di una pattumiera, in virtù della negligenza molto francese che consiste non solamente nella legge del minor sforzo, ma anche nell'idea che ci sono appositi servizi per raccogliere ciò che resta lì, come gli escrementi lasciati dai cani che portano a spasso i loro proprietari (non si osa più parlare di padroni, tanto manifesta è anche lì la perdita di padronanza e di autorità).

Le città del terzo mondo sono spesso più pulite di queste strade dove c'erano anche dei rom, tra cui due ragazze adolescenti che rovistavano dentro una scatola di oggetti da buttare, abbandonate lì da un consumatore indelicato. Queste ragazze sono a volte spinte dai loro genitori o da qualche mafioso a gettarsi sotto le ruote delle auto, per provocare incidenti che fruttano dei soldi, anche a costo di una mutilazione, mi diceva ancora l'amico R.

Questi esseri, che sembrano venire dalla notte dei tempi, almeno da quella dell'Uomo che ride o di Oliver Twist, ci ricordano che i «migranti» ci avevano fatto dimenticare i rom, che questi ultimi sfruttano un'altra miseria diversa dalla loro, facendosi passare, a porte de Clichy, per ciò che non sono: dei rifugiati siriani. Ecco un popolo che vuole il burro (la libertà nomade, il rifiuto di lavorare) e i soldi per comprarlo (i vantaggi sociali), tradendo i migranti stessi pur costituendo insieme a loro una forma di maledizione e una nocività di cui tutti fanno le spese, alla stessa maniera in cui la guerra civile si manifesta anche con aggressioni permanenti verso gli asiatici, nei «territori perduti della Repubblica»*, denominazione bella come fosse di Tacito ma che traduce soprattutto il trionfo della malavita sahariana – che nessuno chiamerà certamente in questo modo.

Quanto ai magrebini, io non avevo finito con loro, quella sera: disceso nella cloaca della Rer, alla gare de Lyon, sono incappato, nel posto in cui scale e scala mobile si immergono insieme verso i locali sotterranei, in una violenta disputa tra un algerino (riconoscibile dal suo viso equino), che portava un passeggino in cui era legata la sua progenie, e un francese di una sessantina d'anni, che lo guardava, paralizzato, intanto che l'altro gli urlava addosso bocca contro bocca, mentre la moglie dell'algerino sbraitava sulla scala mobile in panne. L'uomo urlava che il francese era una merda, un razzista, uno sporco francese. Il suo volto era preda di odio allo stato puro, come da cliché. Ignoro cosa avesse scatenato la lite. Delle persone sono intervenute e senza dubbio l'età del francese ha impedito all'uomo furente di colpirlo. Pensavo che gli algerini sono un popolo particolarmente inassimilabile, allevato nell'odio per la Francia dagli ideologi di un regime fra i più corrotti e dagli islamisti con cui tale regime traffica. La guerra d'Algeria non è conclusa più di quella del Libano, della Iugoslavia o dell'Iraq. Questa si chiama, diciamolo ancora una volta, una guerra civile, gli algerini essendo troppo numerosi, in Francia, per non divenire ciò che sono sempre stati: dei nemici dichiarati.

*Les Territoires perdus de la République è il titolo di un'opera collettanea apparsa nel 2002 che parla della diffusione dell'antisemitismo fra i giovani di origine magrebina delle periferie francesi.

Stellantis & C. scoprono il bluff Ue: «Svolta sulle elettriche disastrosa»
Ansa
Anche le case tedesche bocciano la proposta della Commissione che dà più spazio alle auto diesel e benzina: «Troppe condizioni, lievitano i costi». Per il gruppo di Elkann il piano è «inadeguato». Meno pessimista Parigi.

Quella che i commenti a caldo definivano «svolta epocale», si è prima trasformata in un passo in avanti «importante» - a strettissimo giro sminuito come «significativo» -, e poi è diventata l’ennesimo pastrocchio della Commissione europea che peggiora la già drammatica situazione dell’automotive nel Vecchio continente. La rapidissima parabola delle modifiche annunciate da Bruxelles sui veicoli elettrici si è compiuta quando i diretti interessati, cioè le case automobilistiche, hanno svelato il bluff.

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In esercizio infrastrutture per 800 milioni
Giuseppina Di Foggia (Ansa)
Terna accelera sullo sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale. Dal 2023, operativi interventi per oltre 2 miliardi di euro. L’amministratore delegato Di Foggia spiega: «Infrastrutture necessarie per un sistema flessibile e affidabile».

Nuove infrastrutture, integrazione delle energie rinnovabili e sicurezza della rete elettrica nazionale. È il quadro delineato da Terna, società guidata dall’ad Giuseppina Di Foggia, che entro il 2025 prevede di portare in esercizio interventi di sviluppo per circa 800 milioni di euro, confermando un impegno pluriennale che dal 2023 ha già visto entrare in funzione opere per oltre 2 miliardi di euro.

«Le opere di Terna entrate in esercizio rendono la trasmissione dell’energia più sicura e la rete più flessibile», ha dichiarato Di Foggia. «Il collegamento sottomarino con l’Isola d’Elba, il potenziamento della rete elettrica siciliana, le nuove interconnessioni con l’Austria e la Francia: infrastrutture sostenibili che rafforzano la rete e permettono di integrare nuova energia rinnovabile».

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Neutralità tecnologica ancora tabù
Ursula Von der Leyen (Ansa)
Dopo aver sbattuto contro il muro, Ursula Von der Leyen s’inventa il divieto parziale per i motori termici. Ma è solo un’operazione d’immagine, non c’è politica industriale.

La Commissione europea si è appena autocelebrata per aver «rivisto» la sua follia del tutto elettrico al 2035, decretando che non ci sarà il bando totale dei motori a combustione e che l’obiettivo scende al 90%. In altre parole, si fa un passo indietro dopo lo schianto e poi si finge di aver aperto una porta. Una «svolta» dettata dalla crisi industriale e dal pressing delle case automobilistiche, con gli stabilimenti al rallentatore.

Quel 90% è una foglia di fico burocratica che consente agli ambientalisti di raccontare ai propri fedeli che il termico sopravviverà. Per completare l’opera, si spalma tutto con «compensazioni delle emissioni» per dare una patina di virtù contabile, incluso l’ineffabile «acciaio verde» che non esiste su scala industriale ed economicamente sostenibile, come ho mostrato nel mio libro «L’utopia dell’idrogeno». La Commissione persevera nel negare la libertà (neutralità) tecnologica, imponendo persino sotto-obiettivi: 7% di compensazione via acciaio a basse emissioni prodotto in Europa e 3% via biocarburanti.

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(Totaleu)

Lo ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini durante le proteste degli agricoltori a Bruxelles in concomitanza del Consiglio europeo.

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