2025-05-24
Via gli stranieri da Harvard. Il santuario woke ripagato con la sua moneta
La Casa Bianca annuncia il giro di vite, già bloccato da un giudice. L’ateneo fa causa, ma le accuse su censura e fondi esteri sono provate. Piangere ora sulla libertà è ipocrita.È in corso quella che sembra essere la madre di tutte le «culture wars», le guerre culturali che da tempo lacerano il mondo intellettuale e accademico statunitense. Da una parte c’è Donald Trump, intenzionato a sradicare l’ideologia woke infierendo sulle centrali di pensiero che l’hanno partorita.Talvolta, va detto, con provvedimenti discutibili come quello appena prodotto contro l’università di Harvard, a cui è stato proibito di accettare studenti stranieri, compresi quelli già regolarmente iscritti (in risposta, l’ateneo ha avviato una nuova causa legale contro l’amministrazione Trump, la seconda, dopo quella intentata a fine aprile contro il blocco dei fondi governativi). Dall’altro lato della barricata c’è tutto l’establishment progressista e non solo. Tra chi contesta le azioni di The Donald c’è pure un giudice nominato da George W. Bush, Jeffrey S. White del distretto settentrionale della California. Quest’ultimo, tramite una ingiunzione temporanea, ha fermato il provvedimento con cui, qualche mese fa, il governo statunitense aveva deciso di revocare il visto ad alcune centinaia di studenti stranieri (forse addirittura 800) iscritti a Stanford, Harvard e altri atenei di Texas, Minnesota e California. Secondo White i funzionari governativi hanno «creato il caos» e hanno «agito in modo arbitrario e capriccioso» andando oltre la propria autorità. Secondo il giudice, grazie all’ordinanza questi studenti «potranno continuare gli studi o il lavoro senza la minaccia di una nuova cacciata». L’azione di White, non a caso, arriva a poche ore dalla bomba che Kristi Noem, segretaria responsabile della Homeland security, ha sganciato sull’università più famosa degli Usa. Harvard rischia di perdere circa 6.800 iscritti stranieri, un danno economico e culturale non indifferente. «Dovrebbe essere un avvertimento per tutte le altre università», ha detto la Noem. «Datevi una regolata perché stiamo arrivando. La leadership di Harvard ha creato un ambiente universitario non sicuro consentendo ad agitatori antiamericani e filo-terroristi di molestare e aggredire fisicamente individui, tra cui molti studenti ebrei». In ballo non c’è solo l’antisemitismo: «Questa amministrazione sta ritenendo Harvard responsabile per aver fomentato violenza, antisemitismo e per essersi coordinata con il Partito comunista cinese nel suo campus», ha aggiunto la Noem. «È un privilegio, non un diritto, per le università iscrivere studenti stranieri e beneficiare delle loro tasse universitarie più elevate, contribuendo così ad aumentare i loro fondi multimiliardari». La risposta cinese è arrivata a stretto giro: «La Cina si è sempre opposta alla politicizzazione della cooperazione educativa», ha detto Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. «L’azione della parte americana non farà altro che nuocere all’immagine e alla reputazione internazionale degli Stati Uniti».Come prevedibile, anche in Italia si è scatenata la fanfara dell’ovvio: editorialisti e commentatori fanno a gara per gridare al ritorno del maccartismo, e si stracciano le vesti per la libertà di ricerca, studio e opinione che Trump vorrebbe cancellare. In effetti, qualche ragione i nostri indignati a comando stavolta ce l’hanno. È evidente che la decisione trumpiana altro non è che una ripicca, o un ricatto, mettetela come volete. È brutale e ingiusta: proibire a uno straniero di studiare in un luogo prestigioso è controproducente e di certo non giova alla libertà di pensiero. C’è da augurarsi, dunque, che Donald ci ripensi o che trovi qualche forma di compromesso con Harvard. Bisogna tuttavia avere il coraggio di essere onesti. E di ammettere prima di tutto che la «politicizzazione» degli atenei non l’ha inventata Trump. Come ricordava ieri Italia Oggi, in questi anni le università americane hanno ricevuto fiumi di soldi da nazioni straniere: «Kuwait, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti hanno elargito ingenti donazioni, soprattutto Doha che ha investito nei campus circa 4,7 miliardi di euro negli ultimi 20 anni». Parecchi milioni sono giunti anche dalla Cina. Ancora un paio di anni fa era stato proprio l’Harvard Crimson a scrivere che dal 2019 «fonti cinesi hanno contribuito ad Harvard con 69,9 milioni di dollari nello stesso periodo, superando tutti gli altri Paesi. Harvard ha ricevuto il 12,9% del finanziamento totale erogato alle università americane da fonti cinesi, la cifra più alta tra tutte le università». È evidente che chi paga desideri avere un tornaconto, e possa influenzare i contenuti dell’insegnamento.Ma oltre al condizionamento economico c’è ben altro, ovvero la componente ideologica. Se è vero che l’atteggiamento di Trump nei riguardi di Harvard è liberticida, è altrettanto vero che l’ateneo (come gli altri che lo hanno imitato) in questi anni non è certo stato un sacrario della libertà di pensiero. Il woke che le università Usa hanno cullato ha censurato, discriminato, cancellato e offeso a livello globale. Se ciò non giustifica Trump, ancora meno giustifica le patetiche frigne dei professori americani e soprattutto quelle dei nostri presunti intellettuali, ai quali il wokismo è sempre andato benissimo poiché censurava i loro avversari politici. The Donald sta usando lo stesso metodo, applica una sorta di wokismo di destra che, se alimentato, sarebbe ripugnante come il suo equivalente liberal. Uguale, di sicuro non peggiore.