
Grazie a una circolare del ministero delle Politiche agricole per la marijuana light non servono più permessi speciali. Cifre alla mano, il business della cannabis si aggira intorno a 40 milioni di euro. Secondo Coldiretti il fatturato potenziale è di un miliardo.La cannabis light si potrà coltivare e vendere a scopo ornamentale, come un fiore qualunque, senza alcuna autorizzazione. Non sarà più venduta come «oggetto da collezione», come si poteva trovare scritto sulle confezioni disponibili in tabaccheria, a causa di un vuoto normativo.In un sussulto di fine mandato, la circolare del 22 maggio del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha fissato le regole per la produzione e la commercializzazione delle infiorescenze della cannabis industriale (light), così definita dalla legge 242 del 2 dicembre 2016. In base a questa norma, è consentita la produzione della canapa industriale a scopo commerciale, purché il tasso di tetraidrocannabinolo (Thc), il principio attivo responsabile dello sballo, sia inferiore alla soglia dello 0,2% (entro il limite dello 0,6%). Secondo la circolare, «le infiorescenze della canapa», che per la prima volta entrano in un documento normativo, «si potranno commercializzare nell'ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse», in altre parole, da semente certificata secondo norme europee con Thc inferiore allo 0,2%. A tutela della qualità, la circolare impedisce la produzione per talea e l'importazione da Paesi non riconosciuti a livello europeo, per evitate ibridi e incroci. Per questo «il vivaista», che non è obbligato a chiedere «autorizzazione per la coltivazione», deve, secondo il documento, «conservare il cartellino della semente certificata e la relativa documentazione di acquisto, per un periodo non inferiore a 12 mesi». Gioiscono gli agricoltori che potranno coltivare e vendere la cannabis light senza dover inoltrare nessuna richiesta particolare, ma solo garantendo che il prodotto sia da sementi certificate e non abbia inquinanti. «Finalmente si potranno vendere le infiorescenze come fiori essiccati», commenta Stefano Zanda, uno dei tre titolari di My Joint, società che, dalla sede di via Montenapoleone a Milano, distribuisce la sua cannabis in 7.000 punti vendita. «La nuova circolare», osserva Zanda, «risponde all'esigenza di qualità del prodotto non solo per il contenuto di Thc allo 0,2%, ma anche per l'assenza di inquinanti». Nella circolare si specifica inoltre che, se in caso di controllo il contenuto complessivo di Thc della coltivazione risultasse superiore allo 0,2%, ma inferiore allo 0,6%, l'agricoltore non avrebbe «nessuna responsabilità». Se il limite è superiore allo 0,6%, «l'autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa». Sul fronte politico la circolare dell'ultimo minuto infiamma il dibattito su quella che potrebbe essere l'ennesima spallata verso la liberalizzazione. Lo fa notare Alessandro Pagano, deputato della Lega che definisce «stupefacente» il fatto che «il ministero dell'Agricoltura, con un titolare delegittimato da tempo e non rappresentativo, a poche ore dal cambio di guardia, emani una circolare dove sostanzialmente si dà il via libera legale alla produzione e al commercio della cosiddetta cannabis light». Del resto, sulla Repubblica, plaude alla circolare Luca Marola, ideatore e fondatore di Easy Joint, tra i primi marchi italiani a produrre e commercializzare infiorescenze di canapa a basso livello di Thc, dichiarando che «è un passo importantissimo. Il prossimo? Riprendere in mano la lotta antiproibizionista». Insomma, con l'intento di rilanciare «la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa», come dichiarava l'allora ministro Maurizio Martina, la legge sulla cannabis legale ha aperto la strada non solo a un business «per combattere l'inquinamento, ridurre gli effetti devastanti dell'uomo sul clima e contribuire a creare un modello sostenibile di sviluppo economico», ma anche alla possibile liberalizzazione. Cifre alla mano, il business della cannabis light si aggira introno a 40 milioni di euro, secondo Coldiretti che stima un potenziale intorno al miliardo. A tale proposito la circolare definisce anche i «possibili usi del prodotto derivante dalla coltivazione». Oltre a prodotti florovivaistici, dalla canapa si possono ottenere, in base a quanto previsto nei vari settori di competenza: alimenti e cosmetici, semilavorati, oli o carburanti, materiali per impiego in bioingegneria o bioedilizia, materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati, coltivazioni per ricerca, attività didattiche e dimostrative. Manca solo l'uso delle infiorescenze che, al momento, si possono comprare in un migliaio di altri esercizi commerciali e tabaccherie, non più per essere collezionate, ma come fiori, per circa 20-40 euro a confezione. Sempre che, a sorpresa, non arrivi da un momento all'altro una circolare che ne definisca l'uso per infusione o combustione, per la gioia degli antiproibizionisti.