2023-02-06
Beppe Vessicchio: «Zelensky a Sanremo? Rimpiango quando gli ospiti non c’erano»
L’ex maestro del Festival: «La Rai non si propone una crescita culturale. Nelle canzoni di oggi un bisogno di amore e riscatto».Un Sanremo senza Vessicchio non è un buon segno, ha detto Elio delle Storie Tese. «Un po’ come quando scompaiono le lucciole», di pasoliniana memoria.«Ringrazio Elio, in realtà il mondo cambia sempre e da sempre. Si perdono e si guadagnano cose tutti i giorni. Alcuni cambiamenti non ci piacciono, ma non per questo sono dannosi. Solo il tempo sarà giudice attendibile».A dire il vero una sua partecipazione c’è, ma per Amazon Music…«Sì, ho intervistato i partecipanti sui testi che canteranno all’Ariston. È stato un terreno di dialogo molto interessante. Quanta fragilità, quanto bisogno di riscatto. Quanto bisogno d’amore, anche se talvolta espresso con rabbia, con crudezza e rancore».… Ma non prenderà in mano la bacchetta. C’entra qualcosa il contenzioso con la Rai sui diritti d’autore? Questione tecnica, ma lei è in ballo da quasi dieci anni.«No, quella storia è in attesa che un giudice si pronunci. Ma non c’entra con l’Ariston 2023. La vertenza sembra che impedisca solo i rapporti con il loro ufficio scritture. Credo sarebbe impedito - è già successo - un mio ruolo, che so, come autore, commentatore, esperto per il Festival. Fortuna vuole che per la direzione ci ingaggino i discografici». Ventisei anni di Festival.«Forse troppi». Conduttore migliore? Conduttore peggiore?«Sono affettivamente legato alla figura di Pippo Baudo e alle svolte che negli anni Ottanta ha cominciato a portare. I peggiori, a livello di conduzione, sono coloro che hanno cercato di mettere insieme “i figli di”: a mio avviso disastroso. Comunque rimasi lì a vederlo. Questo è il miracolo di Sanremo: pure se non ti piace, lo guardi».E i nuovi cantanti? Sanremo è ancora in grado di produrre cultura musicale?«Sanremo è un programma televisivo. È difficile che chi lo produca, cioè la Rai, si ponga il tema di una crescita culturale. La televisione resta pur sempre quella cosa che sta tra due pubblicità. Per incassare danari bisogna fare ascolti. Per fare ascolti bisogna compiacere il pubblico. Chi se la prende questa responsabilità?».Il servizio pubblico?«Nessuno lì dentro vuol rischiare la poltrona per un ideale sociale. Comunque, Amadeus si è preso un incarico delicato in un momento critico. I risultati che stanno a cuore ai partecipanti di questa fantastica giostra ci dicono che è stato bravo. Una svolta spetterà a chi verrà dopo».Giuseppe Vessicchio, classe ’56, nato a Napoli. Beppe o Peppe?«Sono il terzo di tre figli, nato a dieci anni di distanza dal secondo. Rimarrò “piccolo” a vita. I diminutivi mi suonano affettuosi. Dall’Arno in su scatta il Beppe, invece che Peppe come anche da ragazzo mi chiamavano in casa. Giuseppe è riservato alla stampa dei materiali classici che pubblica per me Casa Sonzogno». Di che si tratta? «È un mio “ramo di attività” che si orienta verso una creatività che ha come obiettivo la rispettosa coltivazione del linguaggio senza forme imposte da un qualsiasi mercato. Vedremo se piaceranno al pubblico quanto sono piaciute all’editore».È in corso un cambiamento, in lei?«Ho preso coscienza dell’urgenza di scrivere musica per la musica quando nonostante il successo, la popolarità e i risultati di mercato non sentivo più piacere nell’andare a lavorare. Sono ripartito e non so dove arriverò. Lo scorso anno a Milano, alla Scala, i solisti dell’orchestra hanno eseguito un mio componimento dal titolo Tarantina, ispirato al fenomeno del “tarantismo” che fu caro all’antropologo Ernesto De Martino».Riavvolgo il nastro. Un giorno fu anche comico. Membro dei Trettrè, prima «i Rottambuli». Lì era Peppe o Beppe?«Ovviamente Peppe. Anni Settanta, a Napoli, componevo e arrangiavo per quattro voci; guadagnavo qualche soldino e incontravo il pubblico. Recitavo anche, ma aspiravo a fare il musicista a tempo pieno. Richiesi una sostituzione, e fu doloroso ma necessario. Di lì a poco si è rivelato molto benefico per entrambi».Prima di quello un’infanzia felice? Qualche ricordo ce lo regala?«Una vita all’aria aperta. Il bar della Sierra, ritrovo serale occasionale. Il retrobottega della ferramenta di Mario dove si organizzavano sfide calcistiche e partite di ramino. Tra gli amici di mio fratello una promessa del calcio: Sandro Abbondanza, figlio del droghiere. Le bancarelle che esponevano sigarette di contrabbando. Le forze dell’ordine che si fermavano a comprarle». Non si fermi.«Ricordo il via vai delle ragazze che con la scusa di una commissione domestica guadagnavano l’aria aperta nella speranza di un innocente confronto con la comunità alla quale appartenevano. Ricordo come le guardavamo. Altri tempi». È dalla sua educazione famigliare che deriva la fede in Dio che, ho letto, le appartiene?«È stata una conquista successiva, anche se come dice Vattimo si è religiosi per tradizione. Mi piace il pensiero di Cristo o se vuole quello che gli hanno attribuito. Credo all’esistenza di una intelligenza formata dall’energia del tutto e per questo definibile “superiore”. Credo quindi in una sorta di immanentismo. Usare la parola Dio per dare un nome non mi dispiace. A volte mi viene da chiamarla Padre, chissà... forse perché tutti quanti ne abbiamo uno».Quando le chiedono se Dio è un musicista…«Oggi direi che è un inarrivabile armonizzatore. La Natura, anche nei suoi conflitti, nelle sue dissonanze, è armonica. All’uomo non è dato riuscire in questo, anzi».Cos’è per lei scrivere musica?«Un gioco vitale. È direttamente collegato alla natura attraverso la fisica che ci offre le prime dritte con la divisione matematica di una corda che vibra, quindi da qualche parte è collegato anche a Dio. Nel processo creativo, ha analogie con le doglie di un parto che culmina nella gioia di una nascita».Anche se si tratta di cantanti “leggeri”? Ha elaborato musiche per i più grandi artisti nostrani.«Tanti incontri e collaborazioni speciali. Dopo l’incarico si lavora individualmente per afferrare e tradurre la propria visione di quella musica, poi magari ci si confronta. Zucchero invece mi esponeva il suo punto di vista, i suoi umori sonori prima che io scrivessi».L’emozione più grande?«Lavorare per Mia Martini. Da giovane ascoltavo i suoi dischi, era un mio sogno conoscerla e condividere musica con lei. È avvenuto. E la realtà ha superato di gran lunga qualunque mia immaginazione».E qualcuno che l’abbia fatta arrabbiare? Vessicchio ogni tanto si arrabbia? «Una volta ho avuto a che dire con Demis Roussos. Al telefono aveva vantato un’estensione vocale sulla quale mi ero basato per un medley, cioè una esecuzione di più brani tra loro collegati. Quasi tre giorni di scrittura, durava 12 minuti. Pronti sul palco, l’orchestra partì, ma Demis fermò la prova e in inglese mi disse che “dovevo” cambiare la tonalità del suo pezzo perché troppo alta. Gli risposi che non “dovevo” cambiare un bel niente e che un “please” mi avrebbe fatto infuriare meno».Che cosa accadde?«Ridevano in molti, non mi avevano mai visto così arrabbiato. Sbagliai: abbandonai il palco. Vennero a parlarmi per trasferirmi anche le scuse del cantante greco... Nella notte misi mano alla partitura. Il giorno dopo ci salutammo cordialmente».I colleghi «maestri» l’hanno guardata con un po’ di puzza sotto il naso perché si è dedicato tanto alla musica leggera?«Alcuni sì. La musica è così immensa che dal tuo punto di vista non puoi vederla tutta. Quella parte che non vedi o che non vuoi vedere rappresenta l’altra faccia della tua luna. Adoro ascoltare Mozart nelle sale da concerto, questo non impedisce di emozionarmi con Lucio Battisti».Ci ha messo poi anni per coronare il sogno di comporre per il mondo cosiddetto «colto» dirigendo un’orchestra di cento violoncelli nel suo «partimento di Durante».«I Cento Cellos e Giovanni Sollima hanno rappresentato un’occasione davvero speciale per esporre i miei studi. Un componimento in cui ho cercato di dimostrare che le regole vanno superate, non eluse».Ora cosa sta componendo? «Un brano atonale basato su una serie numerica così come vorrebbero recenti correnti, destrutturando il linguaggio per liberarlo da qualunque interferenza umanistica. Ho deciso di creare una musica che racconti il conflitto dell’era che viviamo, ma che si riallacci alla sua nascita attraverso la pace degli armonici, quella pace che sottende ogni espressione vitale. Tutti ne abbiamo bisogno, di pace».A proposito, che ne pensa del video di Zelensky al festival?«Non lo chieda a me. Sono vecchio e ho nostalgia di quei festival dove c’era un cantante dietro l’altro fino a tarda notte con rischio di noia mortale. Senza ospiti, senza comici o attori in promozione. L’argomento pace è già presente con la musica che si canta, ne è il linguaggio per eccellenza».Se non scrive o non è in tv, Vessicchio cosa fa?«Mi occupo di vino, quindi a volte vado in cantina a seguire le lavorazioni o a visitare vigneti. Altre volte vado sui campi di pomodoro, o tengo masterclass per aspiranti musicisti. Oppure progetto la ricerca nei laboratori con i quali collaboro. E sempre trovo il tempo per la mia famiglia e le mie nipotine». Cosa ascolta durante il giorno?«In auto ascolto la radio e mi bevo tutto quello che passa... è l’unica occasione per capire fuori dal mio “nido” cosa accada. Per il resto sono concentrato sulle mie note».Un suo consiglio su cosa ascoltare per ben iniziare la giornata? «Il Mattino di Grieg... Ah ah ah».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson