2025-08-08
La verità di Benedetto XVI sulle dimissioni
Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI (Ansa)
In una lettera inedita, inviata a monsignor Nicola Bux il 21 agosto 2014, Joseph Ratzinger smentisce le voci che sostenevano che la sua rinuncia alla funzione petrina non fosse reale: «Non meritano attenzioni, idee contrarie alla dottrina dogmatica-canonica».Con una lettera del 2014, ma pubblicata soltanto ieri, si mette la parola fine sulle polemiche riguardanti le dimissioni di Benedetto XVI. La nuova bussola quotidiana, infatti, ha pubblicato una missiva scritta, il 21 agosto di quell’anno, dallo stesso Ratzinger a monsignor Nicola Bux in cui, a domanda precisa, il Pontefice emerito risponde: «Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato “solo l’esercizio del ministero e non anche il munus” è contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica […] Se alcuni giornalisti parlano “di scisma strisciante” non meritano nessuna attenzione». Partita chiusa. Nella stessa lettera Benedetto XVI spiega anche come sia «fondato» il parallelismo «tra il vescovo diocesano e il vescovo di Roma in riferimento alla questione della rinuncia». Nessuna contraddizione, dunque. Tutto, nelle sue dimissioni, è stato fatto secondo dottrina e, soprattutto, rispettando il diritto canonico. La lettera, che è stata custodita da Bux per oltre dieci anni, verrà pubblicata, in copia fotostatica, nel volume Realtà e Utopia nella Chiesa scritto dallo stesso monsignore insieme a Vito Palmiotti per i «Libri della Bussola». Le parole di Ratzinger sono quindi definitive, anche se nelle Ultime conversazioni con il suo biografo ufficiale, Peter Seewald, aveva già detto in merito alle presunte finte dimissioni: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non lo avrei nemmeno permesso».La Chiesa non ha mai avuto, dal 2013 al 2022, due Papi. Sarebbe stato un assurdo. Uno dei due lo sarebbe stato a metà o, meglio, non lo sarebbe stato affatto. Del resto, non si capirebbe perché un uomo di Chiesa come Benedetto XVI, che ha fatto della precisione teologica la sua missione (sia da prefetto dell’ex Sant’Uffizio sia da Pontefice, cercando di raddrizzare le storture dilaganti nel campo della dottrina e in quello della liturgia), abbia nascosto dei messaggi cifrati, come è stato supposto, nel testo in cui annunciava le proprie dimissioni. Quelle di Ratzinger sono state delle dimissioni vere, sotto ogni punto di vista.Il Papa incarna l’unità della Chiesa. Ma se un Pontefice si dimette, come comportarsi? Celestino V, come è noto, fece il «gran rifiuto» a causa del quale Dante lo mise all’Inferno e passò il resto della sua vita da eremita. Benedetto XVI invece no. Ha continuato a vestire la talare bianca, ad indossare l’anello del pescatore e a farsi chiamare con il nome scelto quando era diventato Papa. Alcuni, soprattutto chi nel mondo tradizionalista era maggiormente legato al suo pontificato, hanno cominciato a dire che le sue dimissioni non erano valide. Che in realtà Benedetto XVI, a leggere i documenti scritti di suo stesso pugno, avrebbe lasciato un codice attraverso il quale era possibile comprendere che non rinunciava al munus petrino. Il fulmine che colpiva san Pietro il giorno delle dimissioni, del resto, era un segno divino: Dio mandava un avvertimento. Le immagini di Ratzinger, mentre in elicottero sorvolava Roma per raggiungere Castel Gandolfo, portavano con sé tutta la nostalgia di un esilio. E l’elezione di Francesco, in semplice abito bianco e senza mozzetta, quindi in completa rottura con il passato, non faceva che rafforzare questa ipotesi: Benedetto XVI era stato costretto a dimettersi a causa di un golpe progressista interno alla Chiesa e ha cercato un modo per non farlo. In queste elucubrazioni, però, non c’era nulla di vero. Resta però il mistero, nel senso più profondo di questo termine, sulla figura del Papa. Su questi 267 uomini che si sono succeduti in 2000 anni di storia e che hanno retto la Chiesa. Perché a guardarla con occhi solamente umani, la promessa che Cristo fa a Pietro appare come un macigno terribile: «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Non era il prediletto e, forse, era il più scalcagnato degli apostoli: si addormenta quando dovrebbe vegliare e, non appena vede i soldati che vogliono portare via Gesù, estrae la spada, ferendone uno. Era sanguigno, Pietro. Era umano, molto umano. Forse troppo. Prova la paura e rinnega il Salvatore per tre volte, nonostante gli avesse assicurato il contrario. Non era l’apostolo migliore, forse. Ma era quello scelto dal Figlio di Dio. Del resto, la storia del cristianesimo è piena di figure così. Di pietre, appunto, scartate dai costruttori che diventano angolari. Che servono a costruire. A reggere. E, nel caso di Pietro e dei suoi successori, a portare più anime possibile in Paradiso. Leone XIV è stato chiaro nel dire che chi siede sul soglio pontificio deve «sparire perché rimanga Cristo». Che poi è l’Essenziale. Che resta anche quando i Papi scelgono di dimettersi per fare spazio al successore. Oppure quando dimenticano la propria vocazione e rinnegano, come è successo nella Storia, per tre volte o più. Perché la Chiesa non è degli uomini, ma di Cristo. Che ha sì affidato la propria Sposa a Pietro, ma ha anche promesso che le porte degli inferi non prevarranno su di essa.