2025-08-27
Così riducono Venezia a una Ong pro Pal in cerca di applausi
Il bando contro Gal Gadot, israeliana, e Gerard Butler, filo Idf, è figlio del facile conformismo, tanto quanto i veti ai «putiniani».Il regista di «Queer» Luca Guadagnino legato al direttore Barbera attraverso una stretta rete di rapporti.Lo speciale contiene due articoli.Alla ricerca della visibilità, del consenso, dell’applauso facile. Il collettivo attori e registi militanti è in servizio permanente effettivo, da un appello all’altro. E pazienza se spesso e volentieri la mira è sbagliata. Dopo l’intemerata di Elio Germano sui finanziamenti ministeriali rivelatosi un boomerang per il salotto buono del cinema, alla vigilia della 82ª Mostra internazionale d’arte cinematografica che si apre stasera con la proiezione di La grazia di Paolo Sorrentino, tiene banco la richiesta di revocare l’invito a Gal Gadot e Gerard Butler, un’attrice e un attore colpevoli di essere filo israeliani e di sostenere l’azione di Netanyahu. Venice4Palestine (V4P), la sigla nella quale si sono aggregati artisti e associazioni, ne ha fatto esplicita richiesta in un appello e in una successiva lettera aperta indirizzati ai vertici della Biennale di Venezia.La politica viene prima dell’arte. Gaza viene prima di La grazia. Curioso che siano attori e registi a promuovere il ribaltamento delle priorità. Il direttore della Mostra Alberto Barbera ha espresso la sua contrarietà a ogni forma di censura: «Non è certamente vietando a degli artisti di partecipare a un evento che si risolvono i conflitti. Non ci sarà nessun ritiro di invito». Altrettanto chiara la replica del presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco: «Io non chiudo, io apro. Anche in tempo di guerra intellettuali e artisti devono incontrarsi e discutere».A conferma che il battage allestito da V4P è propaganda, c’è il fatto che, prima che la lettera giungesse a destinazione, i due attori avevano rinunciato ad accompagnare alla Mostra In the hand of Dante, il film sulla Divina commedia diretto da Julian Schnabel, il visionario regista newyorchese di famiglia ebrea che il 3 settembre riceverà in Sala grande il premio Cartier Glory to the filmaker 2025. Girato in Italia, il film vanta un cast che, oltre ai due attori scomunicati, annovera tra gli altri Al Pacino, Martin Scorsese, John Malkovich e i nostri Sabrina Impacciatore e Claudio Santamaria. Loro potranno sfilare, Gal Gadot e Gerard Butler no. Ex miss Israele ed ex Wonder woman, Gadot è colpevole di aver prestato servizio militare obbligatorio nel Paese dove vive dal 2005, divenendo istruttrice di combattimento e poi di aver posato per un servizio fotografico dell’esercito intitolato «le soldatesse più sexy del mondo». Non importa che abbia un nonno sopravvissuto ad Auschwitz e che nei giorni scorsi si sia unita alle famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas per chiederne il rilascio al fine di accelerare i negoziati. Scozzese di 55 anni, cresciuto in una famiglia cattolica e protagonista di film d’azione, Butler ha promosso con Arnold Schwarzenegger, Robert De Niro e Larry King raccolte fondi in favore dell’esercito israeliano che sta occupando la Striscia di Gaza. Chissà come sarebbe andata se De Niro avesse voluto sfilare al Lido. I democratici firmatari dell’appello, paradossalmente sostenuto anche dalla rete di Artisti #NoBavaglio, vogliono sbarrare il Lido a Gadot e Butler. Certo, non è esattamente come recita un sarcastico post su X: «Nessun boicottaggio ProPal degli attori italiani potrà mai battere quello del pubblico verso i loro film». Ma la ricerca di consenso e di plauso dai media rimuove tante contradizioni e forse ambisce a quella visibilità che non sempre la loro arte garantisce.Lunedì sul Foglio, Pupi Avati ha ricostruito da par suo la rinascita dell’Anac (Associazione nazionale autori cinematografici) illudendoci, come recitava il titolo, che «alla fine poté più il cinema della politica». Purtroppo, l’attivismo di Venice4Palestine ha smentito rapidamente l’illusione. I firmatari dell’appello - tra i quali Kean Loach, Marco Bellocchio, Matteo Garrone, Mario Martone, Gabriele Muccino, Valeria Golino, Jasmine Trinca, Laura Morante, Alba e Alice Rohrwacher, Beppe e Toni Servillo, Serena Dandini, Fiorella Mannoia e Roger Waters (fino a 1.500 adesioni) -hanno chiesto alla Biennale «di esporsi con azioni e posizioni chiare e che si impegni a interrompere le partnership con qualunque organizzazione che sostiene il governo israeliano, direttamente o indirettamente». Già in luglio, in vista di possibili contestazioni, alla presentazione del programma era stata sottolineata la significativa partecipazione al concorso di The voice of Hind Rajab della regista Kaouther Ben Hania, film sulla bambina che, intrappolata in un’auto in mezzo ai parenti uccisi durante l’invasione dell’esercito israeliano di Gaza del gennaio 2024, chiede aiuto, invano, ai soccorritori. Ora V4P vuole che una sua delegazione sfili sul tappeto rosso con la bandiera palestinese e annuncia una manifestazione al Lido per sabato.«La Biennale di Venezia e la Mostra del cinema sono sempre stati nella loro storia luoghi di confronto aperti e sensibili a tutte le questioni più urgenti della società e del mondo», hanno replica dall’istituzione veneziana. Non basta. Attori e registi pretendono la condanna «del genocidio» e il ritiro degli inviti. Proprio come avvenuto qualche settimana fa a Valery Gergiev, il direttore d’orchestra in odore di putinismo, prima invitato per dirigere un concerto alla Reggia di Caserta e poi scaricato a furor di proteste dem. O come successo in questi giorni a Woody Allen, caduto sotto gli strali del governo ucraino per aver elogiato il cinema russo durante la Settimana internazionale del cinema di Mosca: «Credo fermamente che Putin abbia torto, ma l’arte va tenuta fuori», ha respinto le accuse il cineasta americano.Quando si antepone l’ideologia all’arte o si confonde l’appartenenza a un popolo con l’adesione acritica al suo governo gli effetti possono essere nefasti. «Cosa c’entra Netanyahu col divieto di ospitare un artista israeliano? Allora non si dovrebbe invitare nessun iraniano per Khamenei, o nessun artista cinese per le tensioni tra Pechino e Taiwan», ha osservato Andrée Ruth Shammah, regista e direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano, manifestando la sua amarezza per la presenza di tanti amici nelle file dei censori. Dal palco dei David di Donatello, prima di innescare la controproducente polemica sui finanziamenti al cinema Elio Germano disse che «un palestinese ha la stessa dignità di un israeliano». Oggi si deve dire che vale anche il contrario.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/venezia-cinema-israele-2673924146.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ormai-per-guadagnino-la-mostra-assomiglia-a-un-affare-di-famiglia" data-post-id="2673924146" data-published-at="1756280809" data-use-pagination="False"> Ormai per Guadagnino la Mostra assomiglia a un affare di famiglia Oggi parte la Mostra internazionale d’arte cinematografica che si svolgerà al Lido di Venezia fino al 6 settembre prossimo, sotto la direzione di Alberto Barbera. Barbera è al vertice della Mostra a fasi alterne, ma complessivamente da quasi trent’anni, con qualche intermezzo nei primi anni Duemila, quando venne sostituito e poi riconfermato stabilmente nel 2011: un tempo che nessun’altra istituzione culturale di pari livello in Italia, o all’estero, sembra aver eguagliato. In altre manifestazioni ruotano i direttori o si prevedono incarichi prefissati o ricambi generazionali: Venezia, invece, sembra vivere una sua dinamica residuale di potere consolidato. Al centro della questione, però, non vi è solo la longevità del mandato, ma anche i legami familiari-professionali, che intrecciano Barbera con uno dei registi più presenti e celebrati al Lido: Luca Guadagnino, regista acclamato e assiduo frequentatore del Festival. Nel 2024 era in concorso con Queer, quest’anno presenterà fuori concorso After the Hunt, il nuovo thriller a tema #MeToo con protagonista Julia Roberts. Grazie al successo di Queer, nel 2024 la sua Frenesy Film Company srl ha fatto il pieno di utili, derivanti dall’incasso dei diritti del film.Altre due sono le figure chiave che legano Guadagnino a Barbera: Giulia Rosmarini, compagna dal 2015 e ora moglie di Barbera, e suo fratello Nicolò Rosmarini. Giulia Rosmarini è cofondatrice del brand di moda Tango Philosophy, per il quale nel 2020 ha coinvolto creativamente proprio Luca Guadagnino, affidandogli una campagna fotografica e video: una collaborazione prestigiosa che unisce professionalmente e direttamente la moglie del direttore al regista, da anni «abbonato» alla selezione ufficiale. Anche Nicolò Rosmarini è protagonista di questa rete: dal 2022 lavora nello Studio Luca Guadagnino come architetto e project manager. L’apice di questo intreccio avviene nel 2024, quando viene nominato co-direttore artistico - insieme a Guadagnino - dell’evento Homo Faber, promosso dalla Michelangelo Foundation e dalla Fondazione Cini a Venezia. Ne emerge una ragnatela di rapporti stretta e ben definita. Alberto Barbera, in qualità di direttore, ha un ruolo decisivo nelle selezioni della Mostra, dove i film di Luca Guadagnino compaiono con regolarità. Sua moglie, Giulia Rosmarini, collabora con il regista nell’ambito del proprio marchio di moda, mentre il fratello di lei, Nicolò Rosmarini, lavora nello studio Guadagnino ed è coinvolto in diversi progetti artistici da lui curati.A complicare la questione è il contesto: quello della Mostra del Cinema dovrebbe garantire trasparenza e parità di condizioni. Invece, la presenza di legami professionali così stretti tra il direttore, la sua famiglia e un regista di punta configura un conflitto di interessi. Eppure, di questo palese conflitto nessuno ha mai parlato pubblicamente, non emergono critiche dirette o inchieste approfondite sull’apparente neutralità della Mostra. Insomma, sovviene alla memoria la frase di un celebre film -per rimanere attinenti all’ambito cinematografico - quella pronunciata dal professor Sassaroli (interpretato da Adolfo Celi), di fronte alla richiesta, da parte dell’architetto Melandri (Gastone Moschin), di avere la mano della propria moglie, nel capolavoro del cinema italiano Amici ,iei: «Vede architetto, è tutta una catena di affetti che né io, né lei possiamo spezzare». Mai parole furono più azzeccate.
Ecco #DimmiLaVerità del 16 ottobre 2025. Ospite il deputato della Lega Davide Bergamini. L'argomento del giorno è: "La follia europea dei tagli all'agricoltura e le azioni messe in campo per scongiurarli".