
Come sia possibile che nessuno si fosse accorto dell'inghippo è un mistero. A chiunque sarebbe sembrato logico che l'indagine su una banca di Montebelluna fosse incardinata presso la Procura competente su Montebelluna. E invece no. Al posto del pm di Treviso si erano mossi quelli di Roma, in quanto si riteneva che gli ostacoli alla vigilanza fossero stati messi in atto a Roma, dove hanno sede sia la Banca d'Italia che la Consob. Su questo presupposto sono stati disposti ispezioni e sequestri, tutti ordinati ed eseguiti dall'autorità giudiziaria della Capitale. Ma a due anni di distanza si scopre che è tutto sbagliato e si deve ricominciare da capo. Il fascicolo dovrà essere trasferito per competenza a Treviso e gli accertamenti dovranno probabilmente ripartire. Di certo saranno altri pubblici ministeri a valutare la fattispecie del reato e chi lo abbia commesso. Così come saranno altri giudici a dover stabilire se ricorrano le esigenze per porre sotto sequestro il patrimonio degli indagati. Al momento è probabile che i consiglieri di amministrazione a cui erano stati pignorati i beni si vedano restituire ogni cosa, in attesa delle future mosse della magistratura trevigiana. Di certo, oltre ai 59 milioni posti sotto sequestro, non si vedranno prelevati gli altri 300 milioni che erano stati richiesti dalla Procura e dunque tutti quanti possono tirare un respiro di sollievo per il pericolo scampato.
Chi invece non ha motivo di tirare alcun respiro di sollievo, ma ha molte ragioni per farsi girare gli attributi sono i truffati. I quali, dalla sera alla mattina, hanno visto andare in fumo i risparmi senza possibilità alcuna di recuperarne almeno una parte. In molti casi gli azionisti al danno hanno dovuto aggiungere la beffa. Già, perché oltre a perdere i soldi dovranno anche rimborsare la banca che ha distrutto il loro patrimonio. Si dà infatti il caso che molti investitori avessero comprato le azioni di Veneto Banca su sollecitazione dei vertici dell'istituto di Montebelluna e con i soldi dello stesso. In pratica, per fingere di avere un patrimonio solido e molti azionisti, era la stessa Veneto Banca a spingere i clienti a comprare le proprie azioni e quando questi non avevano i necessari contanti, provvedeva a finanziare l'operazione. Risultato, oggi i truffati si ritrovano anche debitori nei confronti della banca che ha causato la truffa. Una situazione da pazzi nella quale da due anni si dibattono decine di migliaia di persone, nel Veneto ma non solo. In molti speravano di vedersi restituire i soldi e annullati i debiti da un processo che accertasse le responsabilità e dimostrasse come le perdite fossero state occultate e agli azionisti, soprattutto se piccoli, fosse impossibile conoscere il reale stato di salute dell'istituto. Ma adesso, con l'azzeramento del processo e il trasferimento degli atti a Treviso, tutto diventa più difficile.
Risultato, la giustizia si allontana. Un buco da 8,750 miliardi, che rappresentano il 39 per cento dei crediti della banca, senza che si riesca a capire chi lo abbia fatto e con quali complicità. Ci vorranno anni prima di arrivare alle sentenze di primo grado. E altri anni per sapere se siano definitive. Nel frattempo, per evitare che i clienti perdessero i soldi depositati sul conto corrente, lo Stato ha messo sul tavolo 5,2 miliardi di liquidità e altri 12 miliardi a garanzia. Soldi pubblici, dei contribuenti.
Come ho scritto, 88.000 persone hanno un motivo in più per avercela con lo Stato. E gli italiani hanno l'ennesima ragione per avere più sfiducia nelle istituzioni. E poi c'è ancora chi si interroga sul terremoto elettorale. Fatevi un giro a Montebelluna e capirete.
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