2024-02-06
Veline e veleni in Confindustria: quattro in lizza per il dopo Bonomi
Da sinistra in alto, Edoardo Garrone, Antonio Gozzi, Alberto Marenghi e Emanuele Orsini
In corsa Antonio Gozzi, Edoardo Garrone, Emanuele Orsini e Alberto Marenghi: sarebbe utile sapere che posizioni hanno su rinnovabili, asset da tutelare e nucleare.Il primo febbraio Confindustria ha scelto i suoi saggi. Figure con l’incarico di ricevere il prossimo lunedì le candidature per la successione alla presidenza dell’associazione degli industriali. Un rito complesso che prevede la raccolta firme tra i rappresentanti consigliari e, se necessario, un passaggio assembleare dove le situazioni potrebbero ribaltarsi. Nel primo caso vale la logica «una testa un voto», nel secondo contano i pesi associativi. Un rito complesso, che in anni di totale disintermediazione della politica, dei media e pure dei Parlamenti ha un sapore arcaico che piace. Almeno a chi ha una visione conservatrice del mondo. Tradizione e novità tutte e solo nell’alveo della tecnologia. In fondo è un po’ il Dna del fare impresa. Famiglia, mercato e ordine pubblico. I tre binari su cui innestare la rivoluzione digitale, quella dell’energia e del lavoro. Dopo due tornate di presidenza deludenti che hanno portato i temi del dibattito verso il basso e verso logiche più inclini agli incarichi che ai progetti, in molti sperano in una campagna elettorale forte e finalmente basata sui contenuti. Sui programmi e i progetti per l’Italia e per l’Italia all’interno dell’Europa. Al momento purtroppo i toni sono stati diversi. Veline, accuse di basso livello e associazioni territoriali molto spaccate non stanno dando l’idea di un colpo di reni. E di un desiderio di volare alti. A oggi concorrono al dopo Carlo Bonomi quattro figure. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e patron della Duferco. Edoardo Garrone, presidente della Erg e del Sole 24 Ore, Emanuele Orsini, attuale vice presidente con delega al credito, ad di Sistem costruzioni e di Tino prosciutti. Infine, Alberto Marenghi, anch’egli vice presidente con delega allo Sviluppo e al Marketing, ad di due cartiere nel mantovano. I rumor danno a oggi avanti nella raccolta di firme Orsini, a seguire Marenghi e Garrone che dopo aver incassato il sostegno della regione Piemonte dovrebbe tirare dalla sua un pezzo sostanziale di Assolombarda. Segue infine Gozzi, partito un po’ in ritardo.Nei giorni scorsi è partito un po’ il ventilatore. Malumori tra le energetiche per alcuni emendamenti considerati troppo pro Erg, segnalazioni sui soci di Gozzi e su vecchie vicende giudiziarie in Congo e un attacco diretto a chi è, al momento, considerato primo della lista. Ripescando una vicenda vecchia di 5 anni e per di più già conclusa, un quotidiano nazionale rispolvera le accuse dei vertici di Federlegno a Orsini lasciando intendere che avrebbe usato un’auto di lusso presa in leasing. Leasing pagato però dall’interessato. La velina nata con un intento scoperchia al contrario la situazione border line di una consociata importante come Federlegno che ora si trova con un presidente, Claudio Feltrin, che lo scorso ottobre è stato definitivamente espulso dal Consiglio generale «per comportamenti contrari ai valori associativi». Una decisione più unica che rara dovuta a raffiche di segnalazioni e veti incrociati. Esattamente il fiele che non serve a Confindustria. Ecco perché dalla prossima settimana sarebbe bello che i corvi, come li ha definiti Il Giornale, in un articolo di tre giorni fa smettessero di volare e i concorrenti illustrassero i rispettivi programmi. In Italia le politiche attive sul lavoro sono un miraggio di cui si discute da trent’anni. Senza aver risolto nulla. Ci si accapiglia per il salario minimo senza calcolare che se la produttiviità tornasse a salire si porterebbe dietro pure le buste paga. Ma aziende che pagano tre volte l’energia rispetto ai concorrenti europei, che cosa mai potranno tagliare per essere altrettanto leggere? Ci aspettiamo che i candidati dicano se vogliono battersi per far tornare il nucleare in Italia. E che quota le rinnovabili dovrebbero assumere perché al Paese resti un po’ di sovranità energetica. Dicano che cosa pensano delle concessioni idroelettriche che l’Europa, con il placet del governo Draghi, vuole mettere a gara perché finiscano assegnate ad aziende straniere. Unicum in tutto il Vecchio Continente. I candidati a Viale dell’Astronomia forse dovrebbero spiegare anche quali asset vanno tutelati. L’Agroalimentare, la Difesa? O spieghino se riformare finalmente i porti, mettendoli in mano a una sola Authority in modo da concentrare investimenti ed evitare che i politici creino dei feudi locali, come avviene ad esempio in Puglia. Che facciamo dell’acciaio? Ci battiamo per rimanere un Paese produttore? E come? Infine, nelle grandi partite del digitale con chi ci alleiamo per entrare nei temi dell’Intelligenza artificiale e del cloud, un business sottovalutato che vale miliardi. Pure qui il consolidamento del mercato europeo rischia di penalizzarci. Vorremmo una Confindustria che dica alla politica chiaro e netto che cosa vuole. Si scontri con le altre parti sociali, ma sia chiara e netta. A maggio, Enrico Letta e soprattutto Mario Draghi presenteranno i loro studi sulla riforma del mercato comune Ue. Forse sarebbe il caso di metterci il naso ed evitare brutte sorprese quando i giochi saranno fatti. I temi sono tanti. I quattro candidati, secondo la vulgata, rappresentano due mondi diversi. Grandi aziende e medie aziende, come fossero in competizione. L’Italia è però un Paese complesso: non merita più questa dicotomia. Alla prossima Confindustria servirà un presidente in grado di parlare con entrambe i mondi e servirli, prima ancora che guidarli.