2021-07-07
«Variante delta come l’influenza»
Sergio Abrignani: «Boris Johnson ha preso una decisione molto valida, lo dimostrano i dati inglesi sulla mortalità. Una cialtronata i titoli di giornale sulla scarsa efficacia di Pfizer». Anche Francesco Vaia dà una botta a Roberto Speranza & C: «Dopo il farmaco anti Covid non si contagia» Ma l'Istituto superiore di sanità tiene segreti i numeri di chi ha preso il virus dopo il vaccino. La variante delta? «In base ai dati su ricoveri e letalità, Londra ha declassato la malattia a una normale influenza». Il merito? «Della copertura vaccinale: in Gran Bretagna, l'83% della popolazione ha ricevuto almeno una dose». Sergio Abrignani, immunologo del Cts, mette il sigillo su quello che La Verità scrive da giorni: variante indiana o meno, se le infezioni crescono, ma la gente non finisce in ospedale e men che meno in terapia intensiva, la si può finalmente piantare con il catastrofismo. Il virus è «addomesticato». Ci vorrebbe una tirata d'orecchie, in primo luogo, a Roberto Speranza e al suo consulente, Walter Ricciardi. Il ministro, lo sappiamo, s'aggrappa pervicacemente alla pandemia, che gli ha regalato potere e notorietà: «Dobbiamo essere consapevoli che non è finita». Così, il politico potentino non si fa scrupolo a usare «i numeri di altri Paesi europei e del mondo, che vedono i contagi salire nonostante l'alto tasso di vaccinazione». Semmai, il capo di Leu dovrebbe sottolineare che, in Inghilterra, le ospedalizzazioni restano sotto controllo, mentre i decessi continuano a essere pochi. E proprio grazie alla vaccinazione: anche quando prevale la temuta variante delta, infatti, i farmaci anti Covid conservano un'alta protezione dalle conseguenze del Sars-Cov-2. Per Pfizer, siamo al 93-98%, stando alle rilevazioni del dicastero israeliano. Eppure, i nostri media hanno preferito enfatizzare i risultati del monitoraggio nello Stato ebraico relativi alle infezioni, contro le quali l'efficacia del siero si riduce del 30%. «Quei titoli sono stati una cialtronata», lamenta Abrignani. «Stiamo parlando di sintomi lievi: raffreddore, febbre». Mica persone intubate. E poi c'è Ricciardi. Che contesta la decisione di Boris Johnson di eliminare le ultime restrizioni dal 19 luglio: «Delirante», «Sono allibito», «I miei colleghi inglesi sono allibiti». Quelli italiani, però, non la pensano tutti come lui e Massimo Galli, il quale dubita che l'inquilino di Downing Street abbia agito «per il bene comune della nazione». Pare di risentirlo, allorché bacchettava Mario Draghi per il «rischio calcolato male». È «una decisione politica, non scientifica», attaccano il televirologo e l'ex attore napoletano. Il professor Abrignani, alla Verità, dà una versione diversa: «Johnson ha preso una decisione suggerita dai consiglieri scientifici che, sulla base dei dati che ha a disposizione ora, è molto valida: è un mese e mezzo che i decessi sono stabili, anche se raddoppiano di settimana in settimana i contagi. Dopodiché, se le autorità, dopo due settimane, dovessero accorgersi di un aumento impressionante dei ricoveri in terapia intensiva e dei morti, sicuramente richiuderanno. Ma tutti i numeri che hanno in mano ora indicano che non sarà così. In modo molto pragmatico, si sono resi conto che il Covid poteva essere declassato a influenza». Ecco: pragmatismo. È ragionevole, al contrario, che l'Italia sia prigioniera della linea paternalista di Silvio Brusaferro? Il presidente dell'Iss liquida la svolta britannica così: «Bene per loro, ma credo che la valutazione debba essere fatta in base alla situazione epidemiologica locale». E da noi, «la discesa dei casi si è fermata». Il problema vero non è la situazione locale. Il problema è la mentalità dei burocrati sanitari. I vaccini ci garantiscono uno scudo soddisfacente contro le polmoniti e la morte; il nostro Paese potrebbe raggiungere i livelli di copertura inglese entro poche settimane; le ultime rilevazioni Agenas confermano che è occupato solo il 2% dei posti letto in terapia intensiva e in area non critica. Una tendenza rimarcata dal bollettino di ieri: casi in salita (907, lunedì erano stati 480), ma tasso di positività allo 0,47% (lunedì era dello 0,6%). Ancora giù gli ingressi in rianimazione (-4) e nei reparti ordinari (-66). Perché, dunque, dovremmo inseguire le varianti? Strapparci i capelli al ritmo dell'alfabeto greco? Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, giustamente lancia una stoccata ai censori di Bojo: «Il modo per poter dare una mano al Paese a uscire dalla pandemia è fare cose, non criticare quelle che fanno gli altri». Vaia aggiunge, inoltre, un tassello fondamentale: «Dallo studio Seresmi-Spallanzani, emerge che i positivi dopo il vaccino non contagiano». Ha senso, allora, costringere chi s'immunizza a indossare le mascherine al chiuso e tra la folla, oltre che a mantenere le distanze dagli altri? Apprezziamo le idee chiare del governo di Londra. Il nuovo ministro della Salute, Sajid Javid, ha lucidamente premesso che, presto, il Paese registrerà fino a 100.000 infezioni al giorno. Niente panico, fintantoché non si muore in corsia. Questa potrebbe essere l'istantanea dell'Italia entro poco tempo: ieri, l'assessore regionale alla Sanità, Letizia Moratti, ha stimato che, entro un mese, la variante delta sarà quella prevalente. Che fare? Il Pd, con il solito Enrico Letta, sfrutta la psicosi per sposare l'ennesima battaglia marziana, quella per imporre le iniezioni: «Non mi sembra una cosa sbagliata». «Non vorrei che si fosse pensato che è tutto risolto». «Secondo me è importante spingere verso l'obbligo». Ius soli, voto ai sedicenni, patrimoniale, muro contro muro sul ddl Zan: per completare l'harakiri, al nipotissimo ci mancava solo questa. Ci permettiamo di promuovere un approccio più liberale: abbandoniamo le isterie pandemiche; accettiamo che il virus circoli, purché ciò non determini una pressione insostenibile sulle strutture sanitarie; usiamo i dati non per terrorizzare («non è finita e chi ha il siero s'infetta lo stesso»), bensì per convincere («chi si vaccina non finisce attaccato a un respiratore»). C'è, infine, il tema delle aree a colori: se la delta è tanto più trasmissibile (qualcuno sostiene che un infettato possa passarla ad altri otto individui), a ottobre si potrebbe piombare in zona rossa, con più di 250 casi ogni 100.000 abitanti, nonostante gli ospedali vuoti. Abrignani ci tranquillizza: «È improbabile». Sì, ma non è impossibile. La norma va cambiata? «Non spetta a me decidere. Ma se i vaccini spezzano l'automatismo tra contagi e ricoveri, nessuno penserà di chiudere per 40.000 contagi al giorno e 10 morti». Nemmeno Speranza?
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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