2021-09-16
Van De Sfroos è tornato per farci respirare
Davide Van De Sfroos (Getty Images)
Esce il nuovo album «Maader Folk», rimasto bloccato nel limbo della pandemia: «Certi testi erano già lì e parevano scritti apposta». E una preghiera: «Il mio mondo è stato trattato maluccio, ma provate a immaginare la quarantena senza musica o film» La madre del folk gli è apparsa in sogno in una una sera difficile. Aggredito dal Covid, Davide Van De Sfroos sonnecchiava in poltrona con 38 di febbre davanti al festival di Sanremo. «Mi sembrava di delirare, nel dormiveglia vedevo gente trasformarsi in uccelli con le piume, poi ho scoperto che era Achille Lauro. I miei famigliari, contagiati pure loro, mi hanno mandato a letto, dove ho sognato una dama che mi guardava con gli occhi morbidi e mi diceva: “Rimani aggrappato al tuo folk, è eterno". Avevo trovato il titolo del disco». Maader Folk. Dopo sette anni il mariachi del lago di Como e della gente comune (quell'ordinary people che in America sta nello sconfinato Midwest) torna a far sentire la propria voce con 15 brani nuovi. Ancora una volta felice di cantare le tradizioni e le identità, di raccontare gli spaesati e di percorrere in senso contrario - con la forza delle idee e della poesia - la strada della globalizzazione più feroce. Più il mondo si spersonalizza, più il grigiore tecnologico diventa dominante, più la musica di Van De Sfroos riesce a valorizzare chi vive sullo sfondo, a illuminare uomini e donne in penombra (come la Merlettaia di Jan Vermeer) impegnati a compiere per bene il loro lavoro nella società plastificata dei diritti universali fasulli e dei desideri un tanto al chilo. «Le mie storie sono quelle che non rientrano nel panorama mainstream, lo dico senza nostalgia. Non mi interessa rilanciare il canto delle mondine, ma far sapere che quella gente è esistita».Terra e acqua come sempre, montagne a picco sul lago, sapori celtici degli esordi come se anche lui dovesse tornare a casa. Tutto ciò con gli arrangiamenti originali del produttore Taketo Gohara. Ma in Maader Folk c'è qualcosa in più, il senso del divino si prende la scena come conseguenza di un'emergenza sanitaria che sta facendo riflettere. Ecco la preghiera laica Oh Lord, Vaarda giò, duetto di rara bellezza inventato con Zucchero Fornaciari che fa da contrappunto al dialetto laghée con quello emiliano nell'innalzare l'invocazione che ciascuno di noi, in questi due anni, almeno una volta ha sussurrato: «Signore, dimmi cosa devo fare, dove devo andare».È il brano copertina grazie a una trovata di genio: il coinvolgimento di Mauro Corona nel video che lo accompagna e che è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia. «Maader Folk è nato nei boschi, nelle valli, sul lago, in mezzo alla natura. Lo abbiamo creato in un agriturismo a un chilometro da casa mia a Tremezzina, fra cavalli, tori e galline. È un disco che ha come caratteristica principale il vento di libertà alternativo ai lockdown. E qual è la persona più in sintonia con quell'ambiente; lo sciamano, scrittore, artista, che incarna l'armonia dell'uomo fra gli elementi naturali più di Mauro Corona?».Oh Lord era rimasta nel cassetto per 15 anni ad attendere un destino, improvvisamente è diventata la simbologia di un tempo scandito dall'emergenza sanitaria. È il Dio che abbiamo dentro e al quale chiediamo nei momenti di smarrimento di indicarci la strada. Lo ha fatto anche Van De Sfroos, che aveva finito di incidere il disco nel gennaio 2020 e lo ha visto suo malgrado «fermentare» per un anno e mezzo. «Raramente un lavoro discografico ha attraversato un evento così lungo e destabilizzante. Quando noi eravamo pronti a farlo uscire, il mondo si è fermato. E il giradischi anche. È rimasto lì immobile in attesa. Commovente e strabiliante era analizzare brani e titoli alla luce di ciò che stava accadendo, e scoprire che i testi sembravano scritti apposta. Per esempio Fiaada (Respira), sul vento che porta via l'aquilone e i sogni dei bambini; chi avrebbe mai pensato che sarebbe stato destinato a persone che oggi usano la mascherina? Ora è arrivato il tempo di lasciare aperte le finestre a questi brani».C'è l'epopea di chi parte e chi resta (L'isola); c'è il modernismo macchietta che attira i più giovani mentre vanno da Colico a Cantù a sentire un concerto dei Rockets (Stella bugiarda); c'è la stupenda Gli spaesati, maestri artigiani fuori dal tempo, gente di paese che cerca nell'identità un valore condiviso per sopravvivere; c'è Agata, dedicata a tutte le donne rimaste a casa durante le guerre, a tenere in piedi famiglie e paesi aspettando i loro uomini con il cuore in gola. E poi Mitico Thor, il tributo al muratore nell'era delle archistar, la mistica del magütt che vuole costruire la casa all'amata. «Di fuori vedi il cemento/ ma dentro ci ho messo il cuore/ parola del mitico Thor/ professione muratore». Lo scenario è quello del suo lago ma le storie riguardano tutti. «Il disco è autobiografico al 102 per cento», spiega Van De Sfroos, tornato in piena forma dopo anni di profonde malinconie. «Autobiografico come sempre e per forza, perché quando non parlo di me, parlo di chi vive vicino a me e anche solo per un momento mi ha arricchito l'esistenza». Per il tour di Maader Folk attende il 2022, quei due concerti al teatro Dal Verme di Milano rimandati più volte per pandemia veleggiano verso il 28 febbraio e l'1 marzo. Non vede l'ora di risalire su un palco e si toglie un sassolino dalla chitarra: «In questi mesi il mondo dello spettacolo è stato trattato maluccio. È arrivato il momento di tornare in presenza a cantare. Noi esistiamo se trasmettiamo emozioni, ma quelle non passano attraverso il computer. Gli artisti non salvano vite umane ma come ha detto Stephen King, proviamo a immaginare la quarantena senza un libro, una canzone, un film». Racconta che durante il Covid ha chiesto ai primari degli ospedali più vicini cosa potesse fare per dare una mano. «La risposta è sempre stata una sola: canta!».
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