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2024-02-09
I creatori dei vaccini anti Covid ammettono: «Danni e tossicità»
Lo studente di 17 anni che ha atteso la sua docente nell’atrio dell’istituto professionale Enaip di Varese e l’ha accoltellata alla schiena, come pure il ferimento di un quindicenne in un istituto del Milanese, sono solo alcuni degli ultimi episodi di violenza che vedono protagonisti minorenni. Gennaio è stato un crescendo di aggressività nelle scuole e in luoghi di ritrovo. La cronaca ci ha riferito delle due ragazze di 15 e 17 anni che a Treviso si sono prese a calci e pugni davanti ai loro coetanei, immobili ad osservarle; di sette minori, indagati dalla Procura di Padova per rissa avvenuta e porto illegale di armi; dell’escalation di violenza tra i giovanissimi a Brescia, rivelata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario; dei pestaggi avvenuti a Piacenza, dove una quindicenne e una tredicenne sono state picchiate dalle compagne di scuola fuori dall’istituto, mentre pochi giorni dopo uno studente delle scuole medie è stato minacciato con un coltello da un coetaneo.
L’elenco è lungo. Il 26,9% degli studenti della provincia di Fermo, nelle Marche, ha dichiarato di essere stato vittima di bullismo lo scorso anno, da parte di compagni di classe violenti, e con i docenti nella maggior parte dei casi all’oscuro di quanto avveniva a scuola. «Il Covid, le restrizioni e più in generale quel periodo storico hanno fatto scattare qualcosa nei ragazzi, che nel tempo sono divenuti refrattari alla violenza», dichiarava a inizio gennaio Ersilia Spena, sostituto procuratore presso il tribunale per i minori di Firenze. «Dopo il calo del 2020, che conferma l’andamento generale legato all’emergenza pandemica, il 2021 registra un lievissimo incremento del 3,27% rispetto al 2019. Nel 2022 le segnalazioni aumentano ancora (32.522), quasi eguagliando il valore del 2015», metteva in luce lo scorso novembre il rapporto Criminalità minorile in Italia 2010-2022, del dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Il report evidenziava «la percezione che la criminalità minorile si stia progressivamente orientando verso crimini violenti».
«Purtroppo sì, stiamo assistendo a un continuo crescendo di violenza e aggressività fra i giovani, in parte sicuramente riconducibile agli effetti del trascorso lockdown», confermava lo scorso mese Anna Marta Maria Bertoni, professore associato di psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano. Le lunghe chiusure in casa, con i ragazzi costretti a rinunciare alla socialità e a seguire la didattica a distanza, sicuramente stanno presentando il conto. Senza con questo giustificare violenza e aggressioni, c’è un forte malessere tra i giovanissimi che non viene compreso dalle famiglie e dalla società, che si limitano a registrare le derive peggiori.
«Covid, lockdown, Dad hanno rappresentato un trauma collettivo, una ferita psicologica e sono state situazioni altamente stressogene, perdurate a lungo», spiega Alessandro De Carlo, docente di psicologia all’Università di Messina, professore all’ateneo di Padova e fondatore di Sygmund, piattaforma di supporto online. «Dello stress si guardano solo gli effetti psicologici quali ansia, attacchi di panico, depressione; o fisiologici, come sintomi cardiovascolari o gastrointestinali, ma le conseguenze sono anche sul piano comportamentale con cambiamenti in peggio. Aumentano gli episodi di aggressività, che può diventare violenza», chiarisce l’esperto. Dopo lo stress prolungato, c’è stata l’incertezza di altre varianti, di nuove chiusure «alle quali si sono sommate le notizie catastrofiche sulle guerre, sul cambiamento climatico vero o falso che sia. I giovanissimi sono stati sovraesposti ad elementi ansiogeni», aggiunge De Carlo. Sottolinea anche il ruolo che svolgono i social: «Gli algoritmi puntano a stimolare emotività, per assicurarsi il ritorno degli utenti, quindi gli adolescenti trovano messaggi “buonisti”, di integrazione totale, o di una violenza inimmaginabile».
«C’è molta ansia, molta incertezza. Lo si può definire un dolore psichico, cresciuto durante l’emergenza sanitaria dove pure ai giovani veniva chiesto di essere adeguati, di accettare le restrizioni. Ma questo è avvenuto con grande fatica. Per le fasce psicologicamente più deboli, il conto si sta presentando anche con maggiore aggressività e violenza», conferma Micol Salsi, psicologa e psicoterapeuta a Parma. Vede i ragazzi in analisi e, nei corsi di formazione professionale di cui si occupa, «c’è un disagio di cui prima o poi qualcuno dovrà farsi carico», afferma preoccupata. «La famiglia molte volte non comprende, o essa stessa è in difficoltà per il trauma sperimentato durante la pandemia, quando si sono interrotte attività, relazioni sociali, quindi non è pronta ad affrontare il disagio dei figli. Non riesce a intervenire, per evitare che certi sintomi diventino gravi. E bisogna vedere quanto la scuola riesce a cogliere la complessità post Covid».
Il report della direzione centrale della polizia criminale evidenziava nelle conclusioni: «Una scuola inclusiva dovrebbe offrire spazi in cui i ragazzi si sentano liberi di discutere delle loro preoccupazioni cercando risposte attraverso il confronto». Anche questo è andato perduto durante la gestione dell’emergenza Covid.
Intanto Speranza è fiero dei suoi disastri
Criticare la gestione dell’emergenza pandemica e parlare di rischi ed effetti avversi dei vaccini anti Covid non è più un tabù. Tranne che in Italia.
Il mese scorso, sul Nature Reviews Drug Discoveryè stato pubblicato uno studio in cui alcuni scienziati di Moderna, tra i colossi produttori dei vaccini, sottolineavano le potenziali pericolosità dei preparati, citandone gli effetti avversi, e ammettendo la necessità di ridurre i rischi di tossicità associati alla tecnologia mRna. Un bel passo avanti, se si pensa che per aver criticato gli stessi vaccini, il premio Nobel per la Medicina si prese del «rincoglionito con problemi di demenza senile» da Matteo Bassetti.
Sempre rigorosamente fuori dall’Italia, nei mesi scorsi sono arrivati diversi mea culpa per le decisioni prese per arginare il virus e persino delle scuse rivolte ai cittadini: dall’Agenzia governativa per la sicurezza sanitaria britannica e dal premier Rishi Sunak, al ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach, da prestigiose riviste scientifiche, fino al Wall Street Journal, la gestione pandemica e la violazione delle più elementari libertà sono state definite un errore. Inutile e dannoso.
Solo in Italia una discussione onesta e priva di muri ideologici resta impensabile. Anche l’ammissione degli sbagli commessi è ancora utopia: l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, che nei governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi implementò il disastroso «modello Italia», rivendica anzi tutte le decisioni prese. E imposte.
Non solo. Malgrado nel suo libro appena ripubblicato, Perché guariremo, lamenti l’assenza di «una discussione seria sul significato e le lezioni degli anni terribili della pandemia», la commissione d’inchiesta parlamentare continua a essere bollata come un tribunale politico utile al governo per ingraziarsi i no vax. Stessa linea dell’ex premier Conte, il quale almeno ha ammesso di «aver improvvisato» quando scoppiò l’emergenza, ma che ha definito l’organo parlamentare «una vigliaccheria».
Eppure gli aspetti da chiarire sarebbero tanti: dalla sottovalutazione iniziale del virus, con la mancata chiusura tempestiva dei confini e gli aerei pieni di dispositivi medici diretti in Cina, alle mancate zone rosse, dal piano pandemico non aggiornato all’inutilità dei lockdown, fino al capitolo vaccini e green pass. Non servono d’altronde indagini ufficiali per appurare l’esistenza del danno a livello economico, sociale e psicologico inflitto al Paese e ai cittadini, causato dall’obbligo di vaccinarsi, pena l’esclusione dalla vita pubblica e persino dal lavoro. Invece, qualsiasi riflessione sugli errori compiuti e le discriminazioni messe in atto (e applaudite da quasi tutti gli organi d’informazione) è ridotto a una strizzata d’occhio a un manipolo di no vax squilibrati e complottisti, che pure esistono, ma sono esigua minoranza rispetto a chi da un giorno all’altro ha dovuto porgere il braccio per continuare a ricevere uno stipendio o salire su un autobus. Nemmeno l’esistenza di effetti avversi, anche gravi e letali, è valsa un passo indietro dell’ex ministro. Il quale, sempre nel suo libro, non ha mancato di minimizzare il fenomeno e puntare il dito contro i (pochi) media che hanno sollevato perplessità durante il suo mandato, bollati come «spregiudicati che provano a vendere copie di giornali, libri e libelli al pubblico no vax e no green pass».
Perché chiunque in questi anni non abbia sposato il dogma su diktat e vaccini, è stato etichettato velocemente come un negazionista del Covid. Ora però sarebbe tempo di fare i conti con i negazionisti della realtà: Speranza e i suoi discepoli.
Gli scienziati di Moderna rivelano: «Vaccini a rischio tossicità»
Si stenta quasi a credere che l’ultima review sulla tossicità dei vaccini mRna sia stata firmata nientemeno che da quattro farmacologi, tre dei quali ex dipendenti di una delle aziende farmaceutiche che li ha prodotti, Moderna. Il documento, dall’inequivocabile titolo «Strategie per ridurre i rischi di tossicità di farmaci e vaccini a mRna» è stato pubblicato dalla rivista Nature Review Drug Discovery ed elenca, in sintesi, le criticità della tecnologia usata per combattere il Covid. Sollevando implicitamente una notevole preoccupazione per la sicurezza degli attuali vaccini mRna, la revisione, senza aggiungere nulla di nuovo rispetto alle preoccupazioni espresse in questi tre anni da scienziati di ogni angolo del mondo, lancia l’allarme sui «potenziali rischi per la sicurezza associati a questa prima generazione di vaccini mRNA», in commercio dal 2021.
La review di Dimitrios Bitounis, Eric Jacquinet, Maximillian A. Rogers e Mansoor M. Amiji si sofferma, in particolare, su tutte quelle (non) evidenze scientifiche di cui gli scienziati interpellati dalla Verità parlano da anni. «Le componenti strutturali delle nanoparticelle lipidiche, i metodi di produzione, il processo di somministrazione e le proteine prodotte da mRna complessi presentano tutti problemi di tossicità», si legge nel documento, che non si sofferma tuttavia su altre criticità riscontrate in questi anni, come la genotossicità, la coagulopatia e l’impatto sulla funzione del sistema immunitario. «Tutti i nuovi vaccini mRna - si legge nella review - rappresentano problemi di tossicità che non possono più essere ignorati. Come si possono rendere più sicuri?». Una domanda cui hanno cercato di rispondere proprio gli scienziati di Moderna che hanno sottoscritto la revisione: tutti gli autori, tranne uno, hanno lavorato presso l’azienda farmaceutica venuta alla ribalta proprio con i vaccini anti Covid. Dimitrios Bitounis oggi lavora con il gigante farmaceutico francese Sanofi, ma ha partecipato alla stesura della review mentre era ricercatore post-dottorato della Northeastern University con una borsa di studio sponsorizzata da Moderna; Eric Jacquinet è stato direttore senior presso Moderna fino a gennaio, oggi è vicepresidente presso SalioGen Therapeutics; Maximillian Rogers era direttore associato in Moderna e adesso lavora con Intellia Therapeutics. La rivista che ha pubblicato la review è del gruppo Springer Nature, di proprietà dell’Holtzbrinck Publishing Group consociato con il World Economic Forum (Wef).
«Da veterano - ha commentato Robert Malone, considerato l’inventore della tecnologia mRna - è per me inconcepibile che questi autori non abbiano dovuto sottoscrivere, lasciando Moderna, clausole restrittive di non divulgazione con l’azienda e quindi è molto probabile che Moderna abbia pre-approvato questa revisione». Malone offre due letture: «Nel migliore dei casi, Moderna vuole che siano riassunte e rappresentate le informazioni sui rischi e sulla tossicità mRna per migliorare la sua reputazione», scrive Malone. «Un’interpretazione meno generosa - continua - è che questo articolo sia una raffinata strategia di propaganda, comunemente definita limited hangout, tecnica che consiste nel concentrarsi su informazioni meno rilevanti e implica la rivelazione deliberata di alcune informazioni per cercare di confondere e nasconderne altre.
Non è ancora chiaro cosa ci sia dietro l’uscita di una pubblicazione che, di fatto, evidenzia preoccupazioni sulla tossicità dei vaccini esplicitamente espresse da chi ha lavorato proprio su quei preparati, oltre che abbastanza evidenti dai dati del Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System, il sistema di farmacovigilanza americano). Resta però il fatto che Pfizer-BioNTech e Moderna continuano a operare sotto lo scudo del Public readiness and emergency preparedness (Prep) Act, nonostante l’emergenza Covid sia finita da tempo e, con le varianti da Omicron in poi, il virus sia diventato più lieve. Non solo: comportandosi come se ci fosse ancora un’emergenza legata al Covid, i Centers for disease control (Cdc), la Food and drug administration (Fda) e le agenzie di salute pubblica americana continuano a raccomandare il vaccino anti Covid a chiunque abbia più di sei mesi, nonostante i preparati mRna, per la fascia d’età compresa tra i sei mesi e gli 11 anni, non abbiano mai ottenuto l’autorizzazione definitiva, rimanendo allo stadio di autorizzazione all’uso di emergenza (Eua). Secondo Malone, la vera finalità dello studio è incoraggiare nuovi investimenti sulla tecnologia mRna e «spendere un sacco di soldi sorvolando sulle criticità di base che ancora devono essere risolte».
Un indizio interessante lo ha dato proprio l’unico autore della revisione non legato a Moderna, il professor Amiji. Lo scienziato, distinguished professor e direttore del dipartimento di scienze farmaceutiche e ingegneria chimica presso la Northeastern University, ha voluto specificare che le criticità non riguardano i vaccini anti Covid - «l’approvazione della Fda supporta la premessa che questi siano sicuri ed efficaci», ha detto - e ha sviato l’attenzione sui futuri vaccini: «Se dobbiamo considerare l’mRna in altri contesti come i vaccini contro il cancro- ha dichiarato Amiji - la questione della sicurezza dovrà essere attentamente valutata». Scurdammoc’o passato, insomma, per l’orgia vaccinale anti Covid, ma attenzione a non ripetere gli stessi errori con il vaccino anti cancro, già annunciato trionfalmente da Ursula von der Leyen nell’ambito del lancio del nuovo Beating cancer plan dell’Unione europea: la nuova frontiera del business mRna è questa.
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I dati del Viminale mostrano il rialzo dei reati minorili dopo la pandemia. Gli psicologi: «Le chiusure furono un trauma collettivo, con conseguenze anche sull’aggressività».Mentre si inizia a discutere sulle criticità dei sieri e all’estero governi e media hanno fatto mea culpa, il nostro ex ministro Roberto Speranza e compagnia rivendicano ogni errore. Negando la realtà.La ricerca di tre ex farmacologi del colosso: «I preparati a mRna sono potenzialmente nocivi». E sottolinea la necessità di ridurne i pericoli. La conferma che a miliardi di persone sono stati iniettati prodotti non sicuri.Lo speciale contiene tre articoli.Lo studente di 17 anni che ha atteso la sua docente nell’atrio dell’istituto professionale Enaip di Varese e l’ha accoltellata alla schiena, come pure il ferimento di un quindicenne in un istituto del Milanese, sono solo alcuni degli ultimi episodi di violenza che vedono protagonisti minorenni. Gennaio è stato un crescendo di aggressività nelle scuole e in luoghi di ritrovo. La cronaca ci ha riferito delle due ragazze di 15 e 17 anni che a Treviso si sono prese a calci e pugni davanti ai loro coetanei, immobili ad osservarle; di sette minori, indagati dalla Procura di Padova per rissa avvenuta e porto illegale di armi; dell’escalation di violenza tra i giovanissimi a Brescia, rivelata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario; dei pestaggi avvenuti a Piacenza, dove una quindicenne e una tredicenne sono state picchiate dalle compagne di scuola fuori dall’istituto, mentre pochi giorni dopo uno studente delle scuole medie è stato minacciato con un coltello da un coetaneo. L’elenco è lungo. Il 26,9% degli studenti della provincia di Fermo, nelle Marche, ha dichiarato di essere stato vittima di bullismo lo scorso anno, da parte di compagni di classe violenti, e con i docenti nella maggior parte dei casi all’oscuro di quanto avveniva a scuola. «Il Covid, le restrizioni e più in generale quel periodo storico hanno fatto scattare qualcosa nei ragazzi, che nel tempo sono divenuti refrattari alla violenza», dichiarava a inizio gennaio Ersilia Spena, sostituto procuratore presso il tribunale per i minori di Firenze. «Dopo il calo del 2020, che conferma l’andamento generale legato all’emergenza pandemica, il 2021 registra un lievissimo incremento del 3,27% rispetto al 2019. Nel 2022 le segnalazioni aumentano ancora (32.522), quasi eguagliando il valore del 2015», metteva in luce lo scorso novembre il rapporto Criminalità minorile in Italia 2010-2022, del dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Il report evidenziava «la percezione che la criminalità minorile si stia progressivamente orientando verso crimini violenti».«Purtroppo sì, stiamo assistendo a un continuo crescendo di violenza e aggressività fra i giovani, in parte sicuramente riconducibile agli effetti del trascorso lockdown», confermava lo scorso mese Anna Marta Maria Bertoni, professore associato di psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano. Le lunghe chiusure in casa, con i ragazzi costretti a rinunciare alla socialità e a seguire la didattica a distanza, sicuramente stanno presentando il conto. Senza con questo giustificare violenza e aggressioni, c’è un forte malessere tra i giovanissimi che non viene compreso dalle famiglie e dalla società, che si limitano a registrare le derive peggiori. «Covid, lockdown, Dad hanno rappresentato un trauma collettivo, una ferita psicologica e sono state situazioni altamente stressogene, perdurate a lungo», spiega Alessandro De Carlo, docente di psicologia all’Università di Messina, professore all’ateneo di Padova e fondatore di Sygmund, piattaforma di supporto online. «Dello stress si guardano solo gli effetti psicologici quali ansia, attacchi di panico, depressione; o fisiologici, come sintomi cardiovascolari o gastrointestinali, ma le conseguenze sono anche sul piano comportamentale con cambiamenti in peggio. Aumentano gli episodi di aggressività, che può diventare violenza», chiarisce l’esperto. Dopo lo stress prolungato, c’è stata l’incertezza di altre varianti, di nuove chiusure «alle quali si sono sommate le notizie catastrofiche sulle guerre, sul cambiamento climatico vero o falso che sia. I giovanissimi sono stati sovraesposti ad elementi ansiogeni», aggiunge De Carlo. Sottolinea anche il ruolo che svolgono i social: «Gli algoritmi puntano a stimolare emotività, per assicurarsi il ritorno degli utenti, quindi gli adolescenti trovano messaggi “buonisti”, di integrazione totale, o di una violenza inimmaginabile». «C’è molta ansia, molta incertezza. Lo si può definire un dolore psichico, cresciuto durante l’emergenza sanitaria dove pure ai giovani veniva chiesto di essere adeguati, di accettare le restrizioni. Ma questo è avvenuto con grande fatica. Per le fasce psicologicamente più deboli, il conto si sta presentando anche con maggiore aggressività e violenza», conferma Micol Salsi, psicologa e psicoterapeuta a Parma. Vede i ragazzi in analisi e, nei corsi di formazione professionale di cui si occupa, «c’è un disagio di cui prima o poi qualcuno dovrà farsi carico», afferma preoccupata. «La famiglia molte volte non comprende, o essa stessa è in difficoltà per il trauma sperimentato durante la pandemia, quando si sono interrotte attività, relazioni sociali, quindi non è pronta ad affrontare il disagio dei figli. Non riesce a intervenire, per evitare che certi sintomi diventino gravi. E bisogna vedere quanto la scuola riesce a cogliere la complessità post Covid». Il report della direzione centrale della polizia criminale evidenziava nelle conclusioni: «Una scuola inclusiva dovrebbe offrire spazi in cui i ragazzi si sentano liberi di discutere delle loro preoccupazioni cercando risposte attraverso il confronto». 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Un bel passo avanti, se si pensa che per aver criticato gli stessi vaccini, il premio Nobel per la Medicina si prese del «rincoglionito con problemi di demenza senile» da Matteo Bassetti. Sempre rigorosamente fuori dall’Italia, nei mesi scorsi sono arrivati diversi mea culpa per le decisioni prese per arginare il virus e persino delle scuse rivolte ai cittadini: dall’Agenzia governativa per la sicurezza sanitaria britannica e dal premier Rishi Sunak, al ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach, da prestigiose riviste scientifiche, fino al Wall Street Journal, la gestione pandemica e la violazione delle più elementari libertà sono state definite un errore. Inutile e dannoso. Solo in Italia una discussione onesta e priva di muri ideologici resta impensabile. Anche l’ammissione degli sbagli commessi è ancora utopia: l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, che nei governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi implementò il disastroso «modello Italia», rivendica anzi tutte le decisioni prese. E imposte. Non solo. Malgrado nel suo libro appena ripubblicato, Perché guariremo, lamenti l’assenza di «una discussione seria sul significato e le lezioni degli anni terribili della pandemia», la commissione d’inchiesta parlamentare continua a essere bollata come un tribunale politico utile al governo per ingraziarsi i no vax. Stessa linea dell’ex premier Conte, il quale almeno ha ammesso di «aver improvvisato» quando scoppiò l’emergenza, ma che ha definito l’organo parlamentare «una vigliaccheria». Eppure gli aspetti da chiarire sarebbero tanti: dalla sottovalutazione iniziale del virus, con la mancata chiusura tempestiva dei confini e gli aerei pieni di dispositivi medici diretti in Cina, alle mancate zone rosse, dal piano pandemico non aggiornato all’inutilità dei lockdown, fino al capitolo vaccini e green pass. Non servono d’altronde indagini ufficiali per appurare l’esistenza del danno a livello economico, sociale e psicologico inflitto al Paese e ai cittadini, causato dall’obbligo di vaccinarsi, pena l’esclusione dalla vita pubblica e persino dal lavoro. Invece, qualsiasi riflessione sugli errori compiuti e le discriminazioni messe in atto (e applaudite da quasi tutti gli organi d’informazione) è ridotto a una strizzata d’occhio a un manipolo di no vax squilibrati e complottisti, che pure esistono, ma sono esigua minoranza rispetto a chi da un giorno all’altro ha dovuto porgere il braccio per continuare a ricevere uno stipendio o salire su un autobus. Nemmeno l’esistenza di effetti avversi, anche gravi e letali, è valsa un passo indietro dell’ex ministro. Il quale, sempre nel suo libro, non ha mancato di minimizzare il fenomeno e puntare il dito contro i (pochi) media che hanno sollevato perplessità durante il suo mandato, bollati come «spregiudicati che provano a vendere copie di giornali, libri e libelli al pubblico no vax e no green pass». Perché chiunque in questi anni non abbia sposato il dogma su diktat e vaccini, è stato etichettato velocemente come un negazionista del Covid. Ora però sarebbe tempo di fare i conti con i negazionisti della realtà: Speranza e i suoi discepoli. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vaccini-covid-danni-2667222585.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="gli-scienziati-di-moderna-rivelano-vaccini-a-rischio-tossicita" data-post-id="2667222585" data-published-at="1707461853" data-use-pagination="False"> Gli scienziati di Moderna rivelano: «Vaccini a rischio tossicità» Si stenta quasi a credere che l’ultima review sulla tossicità dei vaccini mRna sia stata firmata nientemeno che da quattro farmacologi, tre dei quali ex dipendenti di una delle aziende farmaceutiche che li ha prodotti, Moderna. Il documento, dall’inequivocabile titolo «Strategie per ridurre i rischi di tossicità di farmaci e vaccini a mRna» è stato pubblicato dalla rivista Nature Review Drug Discovery ed elenca, in sintesi, le criticità della tecnologia usata per combattere il Covid. Sollevando implicitamente una notevole preoccupazione per la sicurezza degli attuali vaccini mRna, la revisione, senza aggiungere nulla di nuovo rispetto alle preoccupazioni espresse in questi tre anni da scienziati di ogni angolo del mondo, lancia l’allarme sui «potenziali rischi per la sicurezza associati a questa prima generazione di vaccini mRNA», in commercio dal 2021. La review di Dimitrios Bitounis, Eric Jacquinet, Maximillian A. Rogers e Mansoor M. Amiji si sofferma, in particolare, su tutte quelle (non) evidenze scientifiche di cui gli scienziati interpellati dalla Verità parlano da anni. «Le componenti strutturali delle nanoparticelle lipidiche, i metodi di produzione, il processo di somministrazione e le proteine prodotte da mRna complessi presentano tutti problemi di tossicità», si legge nel documento, che non si sofferma tuttavia su altre criticità riscontrate in questi anni, come la genotossicità, la coagulopatia e l’impatto sulla funzione del sistema immunitario. «Tutti i nuovi vaccini mRna - si legge nella review - rappresentano problemi di tossicità che non possono più essere ignorati. Come si possono rendere più sicuri?». Una domanda cui hanno cercato di rispondere proprio gli scienziati di Moderna che hanno sottoscritto la revisione: tutti gli autori, tranne uno, hanno lavorato presso l’azienda farmaceutica venuta alla ribalta proprio con i vaccini anti Covid. Dimitrios Bitounis oggi lavora con il gigante farmaceutico francese Sanofi, ma ha partecipato alla stesura della review mentre era ricercatore post-dottorato della Northeastern University con una borsa di studio sponsorizzata da Moderna; Eric Jacquinet è stato direttore senior presso Moderna fino a gennaio, oggi è vicepresidente presso SalioGen Therapeutics; Maximillian Rogers era direttore associato in Moderna e adesso lavora con Intellia Therapeutics. La rivista che ha pubblicato la review è del gruppo Springer Nature, di proprietà dell’Holtzbrinck Publishing Group consociato con il World Economic Forum (Wef). «Da veterano - ha commentato Robert Malone, considerato l’inventore della tecnologia mRna - è per me inconcepibile che questi autori non abbiano dovuto sottoscrivere, lasciando Moderna, clausole restrittive di non divulgazione con l’azienda e quindi è molto probabile che Moderna abbia pre-approvato questa revisione». Malone offre due letture: «Nel migliore dei casi, Moderna vuole che siano riassunte e rappresentate le informazioni sui rischi e sulla tossicità mRna per migliorare la sua reputazione», scrive Malone. «Un’interpretazione meno generosa - continua - è che questo articolo sia una raffinata strategia di propaganda, comunemente definita limited hangout, tecnica che consiste nel concentrarsi su informazioni meno rilevanti e implica la rivelazione deliberata di alcune informazioni per cercare di confondere e nasconderne altre. Non è ancora chiaro cosa ci sia dietro l’uscita di una pubblicazione che, di fatto, evidenzia preoccupazioni sulla tossicità dei vaccini esplicitamente espresse da chi ha lavorato proprio su quei preparati, oltre che abbastanza evidenti dai dati del Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System, il sistema di farmacovigilanza americano). Resta però il fatto che Pfizer-BioNTech e Moderna continuano a operare sotto lo scudo del Public readiness and emergency preparedness (Prep) Act, nonostante l’emergenza Covid sia finita da tempo e, con le varianti da Omicron in poi, il virus sia diventato più lieve. Non solo: comportandosi come se ci fosse ancora un’emergenza legata al Covid, i Centers for disease control (Cdc), la Food and drug administration (Fda) e le agenzie di salute pubblica americana continuano a raccomandare il vaccino anti Covid a chiunque abbia più di sei mesi, nonostante i preparati mRna, per la fascia d’età compresa tra i sei mesi e gli 11 anni, non abbiano mai ottenuto l’autorizzazione definitiva, rimanendo allo stadio di autorizzazione all’uso di emergenza (Eua). Secondo Malone, la vera finalità dello studio è incoraggiare nuovi investimenti sulla tecnologia mRna e «spendere un sacco di soldi sorvolando sulle criticità di base che ancora devono essere risolte». Un indizio interessante lo ha dato proprio l’unico autore della revisione non legato a Moderna, il professor Amiji. Lo scienziato, distinguished professor e direttore del dipartimento di scienze farmaceutiche e ingegneria chimica presso la Northeastern University, ha voluto specificare che le criticità non riguardano i vaccini anti Covid - «l’approvazione della Fda supporta la premessa che questi siano sicuri ed efficaci», ha detto - e ha sviato l’attenzione sui futuri vaccini: «Se dobbiamo considerare l’mRna in altri contesti come i vaccini contro il cancro- ha dichiarato Amiji - la questione della sicurezza dovrà essere attentamente valutata». Scurdammoc’o passato, insomma, per l’orgia vaccinale anti Covid, ma attenzione a non ripetere gli stessi errori con il vaccino anti cancro, già annunciato trionfalmente da Ursula von der Leyen nell’ambito del lancio del nuovo Beating cancer plan dell’Unione europea: la nuova frontiera del business mRna è questa.
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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