2021-07-30
Vaccinazioni da record tra i docenti ma Speranza invoca ancora l’obbligo
A questi ritmi, presto il 95% del personale scolastico sarà immunizzato. Eppure, il ministro minaccia «iniziative forti». Assenti però nel piano del Miur, dove compare solo l'invito a partecipare alla campagna.Sembra essere Roberto Speranza l'ultimo giapponese dell'imposizione dell'obbligo vaccinale a livello scolastico. Saggiamente, Mario Draghi, anche dopo l'incontro dell'altro giorno con Matteo Salvini, ha invece scelto di decelerare. Non solo: lo stesso generale Francesco Paolo Figliuolo ha realisticamente preso atto di numeri già molto incoraggianti, come la Verità ha più volte ribadito ancora questa settimana: in base ai dati di qualche giorno fa, risulta vaccinato l'85,5% del personale scolastico, e al ritmo attuale è prevedibile che la soglia del 95% sarà ampiamente sfondata nelle prossime settimane, ben prima della ripresa delle lezioni prevista per il 12-13 settembre. E ieri il sottosegretario all'Istruzione Rossano Sasso (Lega) ha evocato come traguardo già raggiunto il 90% di docenti vaccinati, parlando di «risultato straordinario» e ribadendo il no all'obbligo. E in effetti, con cifre di questo tipo, che altro si vuole? Non a caso, Figliuolo ha fatto sapere che attende dalle regioni gli ultimi dati sullo stato delle vaccinazioni di tutto il personale entro il 20 agosto. Ma ogni osservatore ragionevole comprende che ci si troverà dinanzi a percentuali di non vaccinati assolutamente fisiologiche e non ulteriormente comprimibili. Certo, colpisce il silenzio sul tema del ministro Patrizio Bianchi. Avendo perso la partita, almeno per ora, Speranza continua tuttavia a fare la faccia feroce: «La ripresa in presenza e in sicurezza della scuola è l'obiettivo del governo, e il governo non farà mancare iniziative forti per garantire tale obiettivo». Però, più che iniziative «forti», servirebbero iniziative serie su aule, trasporti, ingressi scaglionati, turni pomeridiani: tutti temi su cui - invece - anche questo governo, come il precedente, sembra piuttosto in affanno. E inevitabilmente si torna anche qui al ruolo di Bianchi. Intanto, per ciò che riguarda un adempimento obbligato, e cioè il cosiddetto «piano scuola» elaborato dal ministero dell'Istruzione, non si procede a ritmi acceleratissimi, anzi. Il piano è pronto, ed è di fatto conoscibile da ieri. Ma la sua illustrazione a regioni ed enti locali è slittata alla prossima settimana: ci si è voluti prendere alcuni giorni in più per un lavoro politico e organizzativo preparatorio tra il ministero e gli altri livelli territoriali. Com'era del tutto prevedibile, il piano si dà un obiettivo prioritario, e cioè allontanare lo spettro della didattica a distanza: «Per l'avvio dell'anno scolastico 2021/2022 - si legge nel documento - la sfida è assicurare a tutti, anche per quanto rilevato dal Comitato Tecnico Scientifico, lo svolgimento in presenza delle attività scolastiche, il recupero dei ritardi e il rafforzamento degli apprendimenti, la riconquista della dimensione relazionale e sociale dei nostri giovani». A questo fine, la vaccinazione viene sì evocata, ma con modalità e terminologie accettabili, ragionevoli, che sembrano già aver preso atto di una copertura molto vasta: «Per garantire il ritorno alla pienezza della vita scolastica - si legge infatti più avanti - è essenziale che il personale docente e non docente, su tutto il territorio nazionale, assicuri piena partecipazione alla campagna di vaccinazioni, contribuendo al raggiungimento di un'elevata copertura vaccinale e alla ripresa in sicurezza delle attività e delle relazioni proprie del fare scuola». Più avanti, c'è una concessione alla retorica, ma - rispetto ai toni infiammati dei pasdaran dell'obbligo - si tratta del minimo sindacale di ciò che ci si poteva attendere: «È necessario - si legge ancora - che la comunità scolastica, dopo aver svolto un ruolo fondamentale nel promuovere la conoscenza ed il rispetto delle regole anti-Covid, operi per far comprendere il valore della vaccinazione, sia nella sua dimensione di prevenzione del contagio e tutela della salute soprattutto dei soggetti più fragili, sia quale veicolo per la piena ripresa della vita sociale del paese e, in particolare, della normale vita scolastica». Abbandonando le evocazioni teoriche e scendendo al terreno concreto, sono al momento esclusi «test diagnostici o screening preliminari all'accesso a scuola»: si conferma cioè quel che era accaduto l'anno scorso. E questa non è davvero una buona notizia: uno screening ben organizzato e non invasivo (anche e soprattutto facendo ricorso ai tamponi salivari) poteva essere la chiave di volta per la messa in sicurezza della partenza dell'anno scolastico. Confermata anche la linea (in questo caso di obbligo) sulle mascherine «di tipo chirurgico o di comunità» nelle situazioni in cui non possa essere rispettato il distanziamento, secondo i suggerimenti del Cts. A questo obbligo non sono naturalmente sottoposti i bambini al di sotto dei 6 anni. Veniamo alle situazioni (inevitabili) in cui si riscontreranno dei casi di positività. In questa evenienza, la sanificazione «va effettuata se non sono trascorsi 7 giorni o meno da quando la persona positiva ha visitato o utilizzato la struttura» e potrà essere svolta direttamente «dal personale della scuola già impiegato per la sanificazione ordinaria». Nelle mense, non sarà necessario utilizzare stoviglie monouso e gli operatori dovranno indossare le mascherine. Restano tuttavia un buco nero e una nube da spazzare via. Il buco nero è la questione dei protocolli relativi alla scuola elementare, quando - di tutta evidenza - trattandosi di bimbi tra i 6 e i 10 anni, la vaccinazione non è nemmeno ipotizzabile (e speriamo che a nessuno vengano in mente strane accelerazioni su questo fronte). La nube da spazzare via riguarda, per i ragazzi più grandi, non solo la didattica a distanza in sé, ma l'ipotesi - chiaramente discriminatoria - di riservarla agli alunni non vaccinati. Ci auguriamo che venga presto abbandonata l'idea di percorrere questa strada.