2025-10-08
Hanno usato la Segre per zittire il dissenso. Ora i dem osannano la donna che la insulta
Francesca Albanese e Liliana Segre (Ansa)
I progressisti hanno a lungo brandito la senatrice a vita come arma contro la destra. Con la Striscia invece la scaricano.Nel 2019, quando fu proposta l’istituzione della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, il Partito democratico si sciolse i che fu chiamata a presiederla. Erano così entusiasti della Commissione Segre da chiederne la moltiplicazione: segretari comunali e regionali da tutta Italia proposero di realizzare analoghe commissioni sul territorio. La senatrice a vita era stata scelta come emblema della sinistra «nemica dell’odio», e in suo nome - facendo leva su insulti online che la stessa Segre disse di non avere nemmeno visto, non avendo i social - si organizzò l’ennesimo tentativo di controllo digitale delle opinioni. Con la scusa di combattere razzismo e antisemitismo, si puntava a reprimere ogni opinione contraria all’accoglienza indiscriminata di stranieri e ogni forma di critica alle minoranze rumorose e politicamente battagliere. In poche parole, la Segre veniva brandita come un’arma per attaccare le destre emergenti, e per accusare di avere alimentato (oltre alla solita recrudescenza dell’estremismo nero) anche l’astio per gli ebrei. È dunque piuttosto sorprendente notare come oggi il quadro sia radicalmente cambiato. Esemplare, a tale riguardo, il caso di Bologna. Nel 2019, il Pd si mobilitò a sostegno della senatrice impegnando le istituzioni locali a prendere posizione: «Il Consiglio comunale di Bologna», si leggeva nel comunicato istituzionale, «esprime ferma condanna per gli insulti (almeno 200 al giorno) rivolti alla senatrice Liliana Segre, prevalentemente a sfondo antisemita e razzista; manifesta a Liliana Segre la più piena solidarietà, insieme con il riconoscimento del suo impegno contro il razzismo e l’antisemitismo». Sempre i dem chiesero l’istituzione di una commissione territoriale contro razzismo e odio. Lunedì, però, lo stesso consiglio comunale bolognese che anni fa celebrava la Segre ha concesso la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati. E l’ha concessa proprio mentre l’Albanese dichiarava che «il dolore di Liliana Segre non la rende lucida sul genocidio a Gaza». Tesi suggestiva, questa. Se chi è stato vittima di un genocidio non può parlare di genocidio, allora la Segre non dovrebbe occuparsi nemmeno di razzismo, avendolo subito, dunque non dovrebbe guidare o ispirare una commissione sul tema. Il cortocircuito è più che evidente e esplosivo. E infatti sta provocando a sinistra deflagrazioni e contorcimenti di vario genere. A Bologna alcuni consiglieri dem hanno dovuto esibirsi in tripli carpiati per giustificare il voto a favore della cittadinanza per la Albanese e hanno dovuto ammettere alla fine di avere approvato per ordine di scuderia. Notevole imbarazzo anche Genova, dove la Albanese è stata invitata a parlare ieri. La comunità ebraica aveva chiesto di spostare l’evento in altra data, il Comune sinistrorso guidato da Silvia Salis ha invece deciso di togliere la disponibilità della sala a Palazzo Ducale, e la stessa prima cittadina prima ha detto che avrebbe partecipato poi ha cambiato versione sostenendo di avere molti impegni. Se non altro il consiglio comunale genovese è riuscito a trovare un accordo sul minuto di silenzio in ricordo delle vittime del 7 ottobre voluto da Forza Italia e approvato dai capigruppo. Cosa che non è riuscita in Consiglio regionale, dove i rappresentanti di Lista Orlando, M5s e Avs hanno lasciato l’aula quando il presidente Stefano Balleari ha chiesto un momento di raccoglimento per le vittime dell’attacco di Hamas. Ne è seguito un ruvido scambio di accuse e la seduta, finita in caciara, è stata sospesa. Uno spettacolo che si poteva evitare, se non altro per rispetto dei morti di ogni colore e provenienza. Salendo di livello il quadro si fa perfino più imbarazzante. Simona Malpezzi, capogruppo pd in commissione Segre, ha licenziato un comunicato surreale in cui spiega che la senatrice a vita «lavora da sempre per tenere insieme il tessuto democratico e culturale del nostro Paese, opponendosi con forza all’imbarbarimento del discorso pubblico. Proprio per questo», dice Malpezzi, «trovo davvero sbagliato e grave ogni tentativo di strumentalizzazione della sua persona e del suo impegno. Utilizzare o piegare la sua immagine a fini di polemica politica è un gesto squalificante, che svilisce il valore profondo della sua testimonianza e la sua funzione civile. Liliana Segre è un patrimonio inestimabile dell’Italia: non merita di essere tirata per la giacchetta in una battaglia che nulla ha a che vedere con i valori che lei incarna». In tutta questa bella tirata, la Malpezzi non cita mai la Albanese ma se la prende con Raffaele Speranzon di Fratelli d’Italia che aveva preso la parti della Segre. In buona sostanza il Pd si schiera con la Segre senza se e senza ma e al tempo stesso conferisce la cittadinanza onoraria a chi giudica la Segre poco lucida e si alza quando questa viene nominata. Il punto, qui, non è che il Pd o la sinistra tutta debbano scomunicare la Albanese, censurarla o spedirla al rogo. Semmai il punto è che si dovrebbe mostrare un minimo di coerenza. Se santifichi Liliana Segre perché ti fa comodo usarla come baluardo contro le destre incombenti e poi la scarichi perché ti mette in imbarazzo sulla Palestina, allora dimostri di essere per lo meno ipocrita. La commissione Segre era e resta una pessima idea, utile a controllare le opinioni e non a combattere il razzismo. E ora i secondi fini dei dem si disvelano platealmente, proprio perché gran parte dei movimenti pro Palestina che essi oggi appoggiano dicono cose che per i canoni della commissione andrebbe registrate nella categoria «discorsi di odio» o «antisemitismo». Tanto la Segre quanto la Albanese non hanno mutato opinione nel tempo: il problema è tutto del Pd che prova a cavalcarle entrambe. Il risultato (con isolate eccezioni tipo Emanuele Fiano, uno dei pochi fedeli a sé stessi) è un pietoso balbettio. Lo stesso balbettio visto sulle labbra di Marco Massari, sindaco pd di Reggio Emilia, mentre consegnava alla Albanese il primo Tricolore simbolo della sua città e intanto il pubblico lo fischiava e insultava perché aveva citato gli ostaggi israeliani. L’Albanese, bontà sua, gli ha detto «ti perdono». Ma non è a lei che i dem devono rendere conto, semmai ai loro elettori e a quel che resta della loro coscienza.
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