2022-03-19
Dagli Usa soldi, armi e addestratori. Così Kiev tiene testa all’invasore
Volodymyr Zelensky e il comandante generale americano Allan M. Pepin (Getty Images)
Negli ultimi anni, gli States hanno investito 5,6 miliardi di dollari nella causa ucraina: in California oggi c’è il centro di collegamento con l’esercito della resistenza. Arrivano i foreign fighters: 10.000 in campo.Lo scorso due settembre il premier ucraino Volodymyr Zelensky è atterrato all’aeroporto di Moffet in California. Ad attenderlo il generale David Baldwin della Cal Guard, che altro non è che la guardia nazionale della California. Non una visita casuale. I californiani, che hanno tra le fila esperti cecchini e soldati addestrati alle tattiche di guerriglia urbana, hanno una lunghissima relazione con la controparte ucraina. Da 28 anni portano avanti addestramenti congiunti, ma è dal 2014 che le relazioni si sono fatte più strette fino ad arrivare al 2021, quando i soldati californiani hanno intensificato la loro presenza. A centinaia verso novembre e dicembre si sono dedicati a sostenere la logistica dell’esercito ucraino, le attività cyber e quelle aria terra. Il tutto mentre gli altri soldati americani lasciavano il Paese. A febbraio quando poi si è scatenata l’invasione dei russi, nessun militare della Cal Guard è rimasto in Ucraina, ma a Sacramento è stato allestito un Joint force headquarter, come si chiama in gergo. Un base attiva 24 ore su 24 con la quale la guardia nazionale resta in contatto con gli ufficiali formati negli anni precedenti. E formati bene. Lo si comprende da come stanno rallentando l’avanzata dei russi e da come maneggiano le armi contro carro e pure la contraerea. Ma lo si capisce anche dalla cifra che gli Usa hanno speso per rimettere in piedi l’esercito ucraino che, alla data del 2014, era classificato come «decotto». Stando al dipartimento di Stato Usa, che lo scorso 3 marzo ha pubblicato i dati aggiornati della cooperazione con Kiev, dal 2014 in avanti sono stati inviati per armi, per assistenza e per attività di training 5,6 miliardi di dollari. Ben 3 miliardi direttamente per equipaggiamenti e per rendere le forze armate di Kiev interoperabili con la Nato. Una lista lunga che comprende gli Humvee, i gipponi, droni, visori notturni, radar e fucili da cecchino. Quest’ultimi molto usati negli ultimi giorni. Nel 2020 gli ucraini hanno ricevuto motovedette per 600 milioni di dollari. Nei due anni precedenti 360 missili javelin, munizioni per 130 milioni. Ovviamente la lista non è completa ma rende l’idea del livello di preparazione che molti militari ucraini avrebbero raggiunto. Almeno una bella fetta dei circa 190.000 operativi sul campo. Le armi più vecchie e provenienti dal Patto di Varsavia sono invece state distribuite a migliaia di civili nelle ultime due settimane. Nel complesso, nel 2021, Kiev ha investito per armarsi 4,7 miliardi di dollari contro i 45 della Russia. Dieci volte di meno, ma pari percentuale rispetto alla consistenza del Pil. A tale fiume di denaro si è aggiunto il miliardo destinato in due tranche dall’Ue. Lo stesso budget da cui attinge anche l’Italia per l’invio di mitragliatrici, missili, munizioni e qualche blindato leggero o la Germania per i suoi 500 Stinger. Gran Bretagna fa un capitolo a sé stante. L’intelligence Uk è impegnata da almeno due anni ad addestrare militari e a gestire le attività cyber. Da notare che l’Italia e con essa altre nazioni Ue hanno inviato dallo scoppio della guerra fondi anche per ammodernare Pa ucraina. Nel nostro caso poco più di 110 milioni di euro. Capire che se ne farà il governo di Zelensky non è facile, certo non per digitalizzare l’emissione di documenti. È invece interessante sapere che a marzo del 2021 è stato distribuito un software basato sul sistema estone Xroad. Serve per scambiare i dati della pubblica amministrazione. Ma da e-government a sicurezza nazionale il passo è breve. Insomma, probabilmente i russi avevano sottovalutato le potenzialità ucraine e le numerose attività avvenute per procura. Il che non basta però a rassicurarci sulla possibile breve durata della guerra. All’esercito regolare si stanno sommando anche altre filiere. Quelle provenienti dalla Siria sono chiamate mercenari. Quelle in arrivo dai Paesi occidentali volontari. Entrambi sono foreign fighters. Stando ai dati forniti dal ministero della Difesa ucraino gli uomini che hanno fatto domanda per unirsi alla Legione internazionale sarebbero 20.000, di cui il 60% da Paesi occidentali e India. Molti, dopo il primo inquadramento a Leopoli, avrebbero cambiato idea, operativi sarebbero poco più di 10.000. Paga bassa e un contratto che prevede un arruolamento fino a quando finirà lo stato di emergenza. Il che potrebbe incastrarli in loco anche per anni. Certo, immaginare che bastino 120 dollari al mese è arduo. Non si può escludere che qualcuno tenti triangolazioni per pagarli extra e su conti esteri. Ieri sul sito di silent professional, una piattaforma per scambiare lavoro nel mondo della sicurezza privata, era online l’offerta di una società Usa per ex militari da impiegare in attività di esfiltrazione e protezione.D’altronde, il Time il 7 luglio del 2021 ha pubblicato un interessante scoop. Erik Prince, il fondatore di Blackwater, ha lavorato per un piano da 10 miliardi finalizzato a creare una compagnia militare in Ucraina. Secondo il magazine, l’elezione di Joe Biden avrebbe fatto saltare il piano. Non è da escludere che il celebre mercenario abbia trovato il modo di bazzicare l’area. Magari a Sud, vicino al Donbass. Dove potrebbero essere diretti quei 16.000 mercenari che in passato hanno operato in Siria. Da lì arriverebbero anche miliziani anti russi. E quindi il rischio di uno scenario ceceno o siriano resta molto probabile. Possiamo sperare che che si trovi una mediazione. E si eviti magari escalation chimica modello Siria, con cui Vladimir Putin potrebbe alzare il tiro e fissare una spartizione del Paese.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco