2025-03-21
Usa e Russia trattano su Kiev e Mar Nero e tengono la Turchia fuori da tutti gli affari
Lunedì a Riad (non più a Gedda) si parlerà di sicurezza e grano, temi cari ad Ankara. Crimea contesa.Pressing americano su Teheran: intesa sul nucleare entro due mesi. L’obiettivo è coinvolgere il Cremlino nei negoziati in cambio di un ammorbidimento su Zelensky.Lo speciale contiene due articoli.L’Arabia Saudita sta diventando sempre più centrale nel processo diplomatico sull’Ucraina. Ieri, Volodymyr Zelensky ha annunciato che lunedì il Paese mediorientale ospiterà nuovi colloqui tra americani e ucraini. Mosca ha inoltre confermato che, sempre lunedì, ci sarà un altro incontro tra russi e americani a Riad: un incontro in cui, secondo il Cremlino, si dovrebbe discutere della sicurezza di navigazione nel Mar Nero, nonché di un possibile ripristino della Black Sea Initiative, l’accordo sul grano che era stato negoziato nel luglio 2022 da Ucraina e Russia attraverso la mediazione della Turchia e da cui Mosca si è ritirata nel luglio 2023.Difficilmente Ankara sarà troppo contenta del fatto che russi e americani si accingano ad affrontare i temi della sicurezza nel Mar Nero e del ripristino della Black Sea Initiative in Arabia Saudita. I turchi hanno compreso che Riad sta aumentando a loro spese il proprio ruolo di mediazione nella crisi ucraina. E attenzione: si tratta di una questione geopolitica rilevante. La costa meridionale del Mar Nero appartiene infatti alla Turchia: quella Turchia che, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, ha chiuso i propri stretti al transito di navi militari sulla base della Convenzione di Montreux. Più in generale, Recep Tayyip Erdogan sta facendo sempre più fatica a toccare palla nel processo diplomatico ucraino. Sembrerebbe infatti che Mosca e Washington vogliano, se non proprio tagliar fuori Ankara, ridurre comunque sensibilmente il suo peso in questo ambito. Trump aspira probabilmente a ritagliarsi il ruolo di mediatore principale. Vladimir Putin, dal canto suo, punta forse a vendicarsi dell’ascesa al potere in Siria di Mohammed al Jolani: un’ascesa che è stata spalleggiata da Ankara e che ha inferto un duro colpo all’influenza russa in Medio Oriente. D’altronde, anche Trump, così come gli israeliani e i sauditi, è preoccupato dal rafforzamento di Erdogan in Siria. Che il sultano stia cercando di rientrare in gioco è forse testimoniato dal fatto che ieri il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha detto che il diretto interessato ha avuto una telefonata «altamente positiva» con l’inquilino della Casa Bianca.Ecco che quindi la questione della Crimea potrebbe tornare centrale: ricordiamo infatti che la penisola, annessa militarmente nel 2014 dalla Russia, si affaccia sul Mar Nero. La scorsa settimana, Ankara ha ribadito di considerare la Crimea, come fa anche la comunità internazionale, territorio ucraino e ha criticato la sua conquista da parte di Mosca. Lunedì, è invece circolata l’indiscrezione, secondo cui Trump avrebbe intenzione di riconoscere la sovranità russa sulla penisola come parte delle trattative di pace. D’altronde, già a febbraio il capo del Pentagono, Pete Hegseth, aveva detto di ritenere «irrealistico» che Kiev potesse rivendicare i confini antecedenti al 2014. Non a caso, proprio ieri, Zelensky ha parlato del destino della Crimea. Quando gli è stato chiesto se ne avesse discusso con Trump, ha replicato: «Quella è una penisola ucraina, il presidente Trump non ne ha parlato con me». «Ci si possono fare tante cose. Hotel a cinque stelle, tanti edifici diversi», ha proseguito, lasciando forse intendere di voler proporre a Trump un piano per la Crimea in parte simile a quello che lui ha avanzato per Gaza. Probabilmente spera di rendere economicamente attrattiva la penisola agli occhi dell’inquilino della Casa Bianca, per convincerlo a sostenerne la sovranità ucraina.Dall’altra parte, nelle ultime settimane Kiev non ha mai nascosto di guardare con particolare interesse ad Ankara per ottenere delle garanzie di sicurezza. Quella stessa Ankara che, dal canto suo, non ha escluso di schierare proprie truppe di peacekeeping in territorio ucraino: un modo con cui la Turchia punta a rafforzare la propria influenza geopolitica nell’area. In tutto questo, ieri Zelensky ha smentito di aver parlato con il presidente americano della possibilità di cedere la proprietà delle centrali nucleari ucraine agli Stati Uniti. «Tutte le centrali nucleari appartengono al popolo ucraino. Si tratta di centrali nucleari di proprietà statale, non di proprietà privata», ha detto. Sembra quindi che, almeno per ora, la Turchia sia stata marginalizzata anche sul tema delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina. Ricordiamo che, nel settembre 2022, Erdogan si propose a Putin come mediatore sulla questione della centrale nucleare di Zaporizhia. Frattanto, lo zar si è confrontato telefonicamente sul processo diplomatico ucraino con il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, mentre Zelensky ha definito un «regalo alla Russia» la mancata adesione di Kiev alla Nato. Resta comunque il fatto che, almeno per ora, dietro le quinte della diplomazia ucraina si sta giocando un duello serratissimo: quello tra Riad e Ankara. Un duello che avrà profonde ripercussioni sugli equilibri mediorientali: dalla Siria a Gaza, passando per l’Iran.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-russia-ucraina-trattative-2671376537.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-usa-liran-per-blandire-mosca" data-post-id="2671376537" data-published-at="1742552164" data-use-pagination="False"> Trump usa l’Iran per blandire Mosca Donald Trump sta aumentando la pressione sull’Iran. Secondo quanto riferito da Axios, il presidente americano ha inviato una lettera all’ayatollah Ali Khamenei, fissando a due mesi la scadenza per concludere un nuovo accordo sul nucleare. La testata ha specificato che «non è chiaro se il termine di due mesi inizi dal momento in cui è stata consegnata la lettera o da quando iniziano i negoziati». Come che sia, in caso di rifiuto da parte del regime khomeinista, Washington sarebbe pronta ad attacchi militari contro i siti nucleari iraniani. Nonostante in un primo momento Teheran si fosse irrigidita rispetto alla linea di Trump, ieri si è registrata una cauta apertura. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, non ha chiuso del tutto la porta in faccia alla missiva del presidente americano. «La lettera di Trump era più una minaccia, ma afferma di avere delle opportunità. Abbiamo prestato attenzione a tutti i punti contenuti nella lettera e considereremo sia la minaccia che l’opportunità nella nostra risposta», ha detto, per poi aggiungere: «C’è un’opportunità dietro ogni minaccia». Insomma, dopo settimane di rigidità, Teheran sta iniziando ad ammorbidirsi. Le ragioni di questo cambio di passo sono molteplici. Innanzitutto, va ricordato che, nel corso del 2024, il regime khomeinista si è notevolmente indebolito sia a causa della decapitazione di Hezbollah attuata da Israele sia per la caduta di Bashar al Assad in Siria. In secondo luogo, la strategia coercitiva della Casa Bianca sta probabilmente funzionando. A febbraio, Trump ha ripristinato la politica della «massima pressione» sul regime khomeinista. Inoltre, pochi giorni fa, il presidente americano ha ordinato dei bombardamenti contro gli Huthi nello Yemen: quegli Huthi che, notoriamente, sono spalleggiati dagli ayatollah. «Ogni colpo sparato dagli Huthi sarà considerato, da questo momento in poi, come un colpo sparato dalle armi e dalla leadership dell’Iran, e l’Iran sarà ritenuto responsabile e ne subirà le conseguenze, e queste conseguenze saranno terribili», ha, in tal senso, tuonato Trump sabato scorso. In terzo luogo, è probabile che dietro l’ammorbidimento degli ayatollah ci sia anche lo zampino russo. A inizio marzo, Reuters ha riportato che Mosca si sarebbe offerta come mediatrice tra Washington e Teheran per stipulare un nuovo accordo sul nucleare iraniano. Non solo. Secondo una nota della Casa Bianca, durante la telefonata tra Trump e Putin martedì, «i due leader hanno condiviso l’opinione che l’Iran non dovrebbe mai essere in grado di distruggere Israele». E qui arriviamo a un punto centrale. Trump sta cercando di ottenere un ammorbidimento russo sulla questione ucraina. In cambio, è disposto ad aiutare lo zar a recuperare terreno in Medio Oriente sia permettendogli di riprendere influenza in Siria sia riconoscendogli un ruolo di mediazione negli eventuali colloqui sul nucleare tra Washington e Teheran. Israeliani e sauditi vedono di buon occhio questa strategia. Entrambi vogliono contenere l’influenza turca in Siria ed entrambi sperano in un nuovo accordo sul nucleare che renda l’Iran inoffensivo dal punto di vista degli armamenti atomici. Non solo. Gerusalemme e Riad puntano anche a coinvolgere Mosca nel sostegno al piano per Gaza, proposto dalla Casa Bianca. Uno scenario, questo, osteggiato dalla Turchia che sta cercando entrare in concorrenza con l’Arabia Saudita nell’ambito del processo diplomatico sull’Ucraina. Ma non è tutto. Il dossier iraniano, per Trump, rientra anche nella competizione con la Cina per l’influenza sul Medio Oriente. In tal senso, Pechino sta cercando di correre ai ripari: la settimana scorsa, la Repubblica popolare ha ospitato russi e iraniani per dei colloqui sul programma nucleare di Teheran. Inoltre, alcuni giorni fa, Pechino ha tenuto delle esercitazioni navali congiunte con Iran e Russia nel Golfo di Oman. Insomma, la Casa Bianca è decisa a dare battaglia per contendere alla Cina l’influenza sullo scacchiere mediorientale. È anche su questo punto che si giocheranno le trattative sulla crisi ucraina.