2024-11-05
«I trumpisti snobbano i sondaggi: sballa tutto»
Nel riquadro il politologo Luigi Curini (Ansa)
Il politologo Luigi Curini: «Spesso ha risposto solo l’1%, pochi i repubblicani. Le agenzie preferiscono sbagliare insieme».Ci siamo. Oggi, negli Stati Uniti, è l’Election day. Per cercare di capire cosa potrebbe succedere, La Verità ha deciso di intervistare Luigi Curini, professore di Scienza politica presso l’università degli Studi di Milano. Alcuni esperti negli Usa cominciano a mettere in dubbio l’attendibilità dei sondaggi negli Stati chiave. Per quale ragione?«Il primo punto da sottolineare è che il tasso di risposta ai sondaggi statali è sceso dall’8% del 2020 all’1% del 2024 in più di un caso. Questo implica che il risultato finale riportato nei sondaggi rischia di essere distorto dal tasso di non risposta, soprattutto laddove tale tasso è correlato alle preferenze politiche o alle probabilità di votare un certo candidato rispetto a un altro. Il punto non è banale ed è stato notato anche da Nate Cohn, che è lo stratega dietro ai sondaggi del New York Times. Quest’ultimo ha detto di aver avuto grossi problemi nei tassi di risposta con un tipo particolare di elettore: quello che probabilmente voterà Donald Trump». E il secondo punto?«A fronte di un tasso di non risposta così elevato, il fatto che tutti i sondaggi statali producano risultati sostanzialmente simili l’uno all’altro, è sospetto. È particolarmente sorprendente. In presenza di un così alto tasso di non risposta, la probabilità che il risultato finale di un sondaggio sia molto diverso da un sondaggio all’altro dovrebbe crescere esponenzialmente. Il fatto che continuino a produrre risultati simili è probabilmente dovuto anche al fatto che i sondaggisti, per prevenire possibili critiche, hanno fatto herding: ovvero come il gregge, seguendo la logica del “se si sbaglia tutti, non sbaglia nessuno”». Infatti di recente sono usciti due sondaggi in Iowa, che non è considerato uno Stato chiave, assai diversi: uno dava avanti la Harris di 3 punti, un altro Trump di 10.«Esattamente: quello è un tipico caso dove l’enorme differenza è dovuta a come vengono classificate le persone che decidono di non rispondere. In un caso si sceglie un certo tipo di metodo, in un altro un’altra tipologia. La differenza rischia di essere il prodotto delle scelte fatte dalle agenzie di sondaggi in termini di pesatura sui propri dati. Il risultato è influenzato molto dal tipo di assunzioni e dal tipo di pesatura che si decide di effettuare sui dati che vengono pubblicati».Quali sono gli elettori storicamente dem che Trump sta conquistando?«I dati mostrano che Trump sta prendendo di più dagli ex elettori di Joe Biden rispetto a quello che Kamala Harris riesce a prendere dagli ex elettori di Trump: il delta è del 3% a favore di Trump. E questo è un dato importante. Quali sono questi elettori? Da un lato, sono elettori più bideniani che democratici, cioè erano molto vicini a Biden e sono rimasti disillusi dal tipo di procedura che ha portato alla defenestrazione dello stesso Biden. Il secondo gruppo è tutta quella fetta di elettori che aveva intercettato Robert Kennedy jr: elettori storicamente dem ma che erano rimasti scottati dal periodo del Covid. Una fetta di dem è rimasta turbata dalle limitazioni adottate dall’amministrazione Biden verso chi non era vaccinato. Il terzo gruppo è quello della working class. Per la prima volta, potremmo avere una working class identificata come tale, indipendentemente dalla razza di chi vi appartiene. Questo aspetto potrebbe far entrare in crisi decenni di identity politics portata all’eccesso: potrebbe crearsi un gruppo elettorale che trova il suo fattore coesivo nel lavoro o nel grado d’istruzione e non nel fatto di essere bianchi, afroamericani, ispanici».Che cosa mi dice degli elettori di Nikki Haley? Mi pare abbiano varie caratteristiche che li accomunano agli elettori di Forza Italia. «Sono d’accordo nel dire che gli elettori della Haley somigliano ai forzisti: sono elettori di centrodestra o del campo repubblicano, che vivono appena fuori dai grandi centri urbani e che dispongono di alta capacità economica. Hanno inoltre un elemento di congiunzione con l’elettorato dem: di solito sono persone con un alto livello d’istruzione. Vedono inoltre in Trump qualcuno di molto diverso rispetto a loro: l’opposto di quello che accade con la working class. Avrebbero voluto qualcun altro a rappresentare il Partito repubblicano. Detto questo, non credo proprio che gli elettori repubblicani della Haley decidano di votare per la Harris. I dati, se li riteniamo affidabili, lo mostrano: non c’è alcuno smottamento verso la Harris di quel 30% o 20% di elettori repubblicani che avevano votato la Haley alle primarie». Qual è la differenza di fondo tra Trump e la Harris sul fronte della politica estera? «La differenza è tra un’America pragmatica, ma non isolazionista, nella sua relazione con il mondo e un’America che punta a continuare una politica estera non fondata sul pragmatismo ma, a volte, su basi ideologiche. La prima America è quella di Trump, la seconda quella della Harris».
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