2023-12-08
Università Usa in tilt: «Sbagliato invocare l’Olocausto? Dipende»
Claudine Gay (Getty Images)
Cortocircuito nei templi woke. I rettori di Harvard, Penn e Mit rifiutano di dire che auspicare il genocidio degli ebrei è vietato.Il quesito era semplice: «Invocare il genocidio degli ebrei è hate speech, è violenza?». È su questa semplice domanda che i rettori delle più prestigiose università del mondo - Harvard, Massachusetts Institute of Technology (Mit) e University of Pennsylvania (Penn), tutte americane - convocati al Congresso Usa per rendere conto delle manifestazioni pro-Intifada avvenute all’interno degli atenei statunitensi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, sono inciampati rovinosamente. «Sì, è violenza, ma»: sono bastati i distinguo e le ambiguità per far crollare in un colpo solo la curvatura ideologica che ha caratterizzato i principali centri di pensiero dell’Occidente, sulla quale questi hanno costruito la loro presunta autorevolezza, per decenni. E, ancora una volta - come sulla gestione pandemica, sul clima e sui segreti di casa Biden - sono stati i repubblicani a voler fare chiarezza nel corso di un dibattito pubblico al Congresso, ottemperando al mandato conferito dai loro elettori che hanno le tasche piene del pattume woke nei templi dell’istruzione mondiale, dove mandano a studiare i loro figli. La performance più imbarazzante è stata quella della rettrice di Harvard, Claudine Gay. «Le faccio una domanda cui deve rispondere soltanto con un sì o con un no», l’ha incalzata la deputata repubblicana Elise Stefanik, «è giusto che gli studenti possano invocare ad Harvard l’omicidio di massa degli afroamericani, in nome della libertà di parola (free speech)»? La citazione degli afroamericani, anziché degli ebrei, non era casuale: la Gay è la prima rettrice afroamericana di Harvard, le è stato conferito l’incarico a luglio. Alla domanda, Gay ha balbettato, per poi essere nuovamente sollecitata da Stefanik: «Presumo che lei abbia familiarità con il termine intifada e capisca che l’uso della parola intifada nel contesto del conflitto arabo-israeliano è un appello alla resistenza armata violenta contro lo stato di Israele e contro i civili. Ne è consapevole? Questo tipo di incitamento all’odio è contrario al codice di condotta di Harvard o è consentito?». La risposta di Claudine Gay è stata surreale: premettendo che «questo tipo di discorsi sono personalmente (sic) ripugnanti, per me», la rettrice di Harvard ha dichiarato che, siccome l’ateneo «abbraccia l’impegno a favore della libera espressione di opinioni anche discutibili, offensive e odiose, è quando quel discorso si trasforma in una condotta d’odio che viola le nostre politiche contro la violenza e l’incitamento all’odio». Stesse identiche parole ripetute, nel corso dell’audizione, dalla rettrice della Penn Liz Magill, che ha aggiunto: «È una decisione che dipende dal contesto». Il punto, per questi professori universitari, è che gli studenti vadano puniti soltanto se trasformano i discorsi d’odio in «comportamenti» veri e propri, ossia se traducono in fatti ciò che hanno «liberamente» espresso a parole. Un distinguo molto scivoloso, dopo anni di cancel culture nata proprio dentro quelle stesse mura in cui non si è esitato a stravolgere i libri di storia cancellando Cristoforo Colombo perché «colonialista» o mettere al bando Jean-Paul Sartre per i suoi presunti stereotipi di genere sul patriarcato. Il Campus cancel culture database conta circa 190 episodi di cancel culture ogni anno accademico, quattro a settimana. Eccolo, il cortocircuito e l’implosione del politically correct di fronte alla realtà: la condanna contro l’hate speech e il razzismo, ma a giorni alterni. Se gli studenti inneggiano al genocidio degli ebrei, va bene. Se invece affiggono una bandiera russa sono espulsi dall’università. L’obiettivo è sempre quello: creare gli strumenti per legittimare la censura, per poi usarla soltanto nei giorni dispari. Anche i dem hanno reagito sdegnati alle risposte date dai tre rettori: «È incredibile - ha detto un portavoce della Casa Bianca, Andrew Bates - che si debba ribadire che l’apologia del genocidio degli ebrei è mostruosa e antitetica rispetto a ciò che rappresentiamo come Paese». Alla Penn, i maggiori finanziatori hanno chiesto le dimissioni di Magill e le pressioni sono state talmente forti che alla fine la presidente ha ritrattato la sua testimonianza. «La Costituzione dice che le opinioni non sono punibili. Non ero concentrata sul fatto inconfutabile che una richiesta di genocidio del popolo ebraico è una delle violenze più terribili che gli esseri umani possano perpetrare». Lacrime di coccodrillo, dettate molto probabilmente dalla fuga dei finanziatori, capitanati dall’imprenditore Marc Rowan. Sui contributi è intervenuta anche Stefanik. «Le atrocità del 7 ottobre sono state accolte con insensibile crudeltà nelle università di tutta l’America e sfacciatamente difese dalla presidente di Harvard per cui, oltre a chiedere le sue dimissioni, faremo in modo che ad Harvard sia vietato raccogliere i dollari dei contribuenti». Come già raccontato su La Verità ai tempi delle prime manifestazioni di violenza all’interno delle università Usa dopo il 7 ottobre, gli atenei americani godono non soltanto dei finanziamenti pubblici ma anche di quelli privati che, da decenni, sono appannaggio delle élites ebraiche americane. Negli ultimi anni, però, molti Paesi stranieri, a cominciare dal Qatar, hanno cominciato a elargire generose donazioni a queste università, condizionando l’orientamento non soltanto degli studenti ma anche dei docenti. «Vogliamo fare trasparenza rispetto alla forte propaganda progressista sugli studenti americani, pagata dai nostri avversari stranieri. Garantiremo - ha assicurato Stefanik - che i nostri nemici stranieri non possano comprare le menti degli studenti americani».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)