2020-06-13
Un’impresa su due senza cassa integrazione
Donato Fasano / Getty Images
Secondo un'indagine Confcommercio, il 48% delle aziende iscritte a Milano non ha ancora visto un euro. Ad aprile addirittura il 96%. Per il 90% degli imprenditori, dopo tre mesi di «lockdown», l'esecutivo è da bocciare. E solo il 32% è riuscito ad avere un prestito.Il dato fa spavento, quasi un'impresa del terziario su due a giugno non ha visto il becco di un quattrino in arrivo dalla cassa integrazione. Il dato emerge dalla nuova indagine di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza (risultati elaborati dall'ufficio Studi) che ha monitorato le risposte di 982 imprese, l'86% delle quali ha fino a nove addetti. Hanno in particolare risposto all'indagine le imprese della ristorazione (26%) e il dettaglio non alimentare (20%).Come spiega lo studio, a giugno, per il 48% delle imprese del terziario, nessun pagamento di cassa integrazione è arrivato ai dipendenti. Non resta che vedere il bicchiere mezzo pieno: il dato è comunque migliore rispetto a fine aprile, quando la percentuale di persone non pagate dagli ammortizzatori sociali era del 96%. Ad ogni modo, c'è poco da essere felici: a tre mesi dall'inizio del lockdown per l'emergenza Covid-19, gli ammortizzatori sociali non sono ancora arrivati per molte imprese. Nella nota diffusa da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza, si legge che resta fortemente negativo il giudizio da parte degli imprenditori intervistati sugli aiuti previsti attraverso i vari provvedimenti governativi, non ritenuti sufficienti dal 90% degli intervistati. Secondo lo studio, il 78% ha usufruito di un qualche sostegno: soprattutto gli indennizzi di 600 euro di marzo e di aprile (82 e 77%) mentre solo il 32% è riuscito a ottenere un finanziamento bancario fino a 25.000 euro. Il 65% delle imprese indica come prioritaria l'erogazione di contributi a fondo perduto, il 18% la riduzione del costo del lavoro e il 12% lo spostamento delle scadenze fiscali a fine anno.La situazione, anche sotto il profilo finanziario, continua a essere difficile. A più di un mese dall'avvio della fase 2, secondo Confcommercio ha riaperto il solo 64% delle attività, il 21% non l'ha mai sospesa, ma il 15% delle imprese non ha ancora ripreso il lavoro. Fra chi non ha ripreso l'attività la maggioranza - il 51% - prevede di aprire nei prossimi mesi, mentre il 49% non sa se potrà riaprire (37%) o se dovrà chiudere definitivamente (12%). Il 58% delle imprese che hanno riaperto lo ha fatto con l'organico completo. Fatto 100 il numero di clienti di un giorno normale (senza Covid-19), nella prima settimana di giugno l'affluenza è stata del 70% per il dettaglio alimentare, del 54% per i servizi alle imprese, del 51% per distributori carburanti e ingrosso alimentare, del 47% per il commercio di autoveicoli, del 46% per il dettaglio non alimentare, i trasporti e la logistica. Peggio ancora per i servizi alla persona (33%), la ristorazione (31%), mentre le più colpite restano le agenzie di viaggio (8%) e gli alberghi (6%).Nella prima settimana di giugno, spiega ancora Confcommercio, rispetto al volume di lavoro della settimana dal 18 al 24 maggio, «linea piatta» per alberghi e agenzie di viaggio aperti, ma è in discesa anche il dettaglio non alimentare. È andata leggermente meglio ai distributori di carburante, ai servizi alle imprese, trasporti e logistica e dettaglio alimentare.Da notare che, nonostante le precauzioni imposte dal governo, sono ancora diverse le imprese che non riescono a garantire la sicurezza richiesta. Secondo la Confederazione, solo il 93% delle imprese ha potuto garantire i livelli di sicurezza richiesti: un dato pur sempre in crescita rispetto alla precedente rilevazione di un mese e mezzo fa (83%). Va detto, però, che per il 59% delle imprese l'applicazione di queste misure non è compatibile con l'esigenza di realizzare un volume di ricavi sufficiente a coprire i costi. In parole povere, ciò significa che i costi necessari per garantire la sicurezza dei lavoratori sono superiori rispetto al vantaggio di riaprire un'attività. Il tema dei ritardi nel pagamento della cassa integrazione resta dunque cruciale e attuale. Nei giorni scorsi il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, aveva indicato proprio per il 12 giugno, ieri, la data in cui si sarebbe iniziato a evadere una percentuale importante delle richieste di cassa integrazione in deroga per l'emergenza coronavirus. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, aveva fatto eco a Tridico sottolineando che entro giugno i 600.000 lavoratori ancora in attesa di essere pagati sarebbero stati accontentati. Con il decreto Rilancio, il governo aveva cercato di snellire i meccanismi di controllo ed erogazione del sostegno ai lavoratori. L'idea contenuta nella norma prevede che ora la domanda venga presentata direttamente all'Inps senza passare dalle Regioni e riducendo i tempi di elaborazione delle richieste. Se dunque sarà vero che d'ora in poi l'erogazione degli importi sarà più veloce, resta da capire fino a quando sarà estesa la cassa integrazione. Durante un recente intervento a Porta a Porta, il ministro Roberto Gualtieri ha specificato che ogni intervento di sostegno a favore dei lavoratori sarà garantito dal governo fino a quando sarà necessario, lasciando intendere che il supporto ai lavoratori potrebbe essere esteso fino a dicembre.
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