2025-04-20
Unicredit e benzina: Mosca torna decisiva
Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit (Imagoeconomica)
Il governo ha imposto ad Andrea Orcel di tagliare i ponti con la Federazione. Tuttavia, se il conflitto finisse e si riaprisse il business lì, noi saremo privi di una banca in loco. Al contrario, la raffineria di Priolo, di nuovo in crisi, potrebbe ritrovare ricchi investitori.Un legame che non fu spezzato nemmeno dalla guerra di Crimea e dall’Unità d’Italia. Poi ci sono stati la Fiat, l’Eni di Mattei e la dacia di Berlusconi e Putin. Quasi azzerato il gas dopo l’invasione dell’Ucraina, come tutti sanno i rapporti di business hanno lasciato spazio alle sanzioni. Oggi, mentre si discute di pace tra Trump e Putin, Mosca torna centrale per la finanza e per l’industria italiana. Con logiche e obiettivi diversi, la Russia sarà l’ago della bilancia per la scalata di Unicredit sul Banco Bpm di Giuseppe Castagna e per il futuro di Priolo, il più grande asset della raffinazione di petrolio. Direte voi: sono mele e pere, che c’entra il Cremlino? C’entra, anche se nel primo caso è il macigno tirato fuori dal cassetto dal Mef e dal governo e messo sulla testa di Andrea Orcel; e nel secondo caso, è l’elefante nella stanza, che tutti vedono ma di cui nessuno vuol parlare. Venerdì sera, giornata di Via Crucis, in occasione del Consiglio dei ministri, Palazzo Chigi ha partorito il dpcm applicando il Golden power sull’Ops di Unicredit. C’è stato il via libera con una serie di prescrizioni. I poteri speciali vincolano di fatto l’operazione al mantenimento di un rapporto stabile tra prestiti e depositi e dell’attuale rete di filiali in Lombardia e Veneto, senza quindi razionalizzazioni e chiusure di sportelli, preservando sedi ed equilibri di governance, specie in vista di una possibile integrazione tra Unicredit e la tedesca Commerzbank. Ma soprattutto, il comitato del Golden power ha chiesto a Orcel di vendere gli asset russi entro 9 mesi. Su questo aspetto, a latere del cdm, l’altra sera si è consumata la frattura tra Forza Italia e gli altri due partiti di maggioranza. Antonio Tajani non ha gradito l’obbligo da imporre sugli sportelli russi. Avrebbe anche alzato la voce, ottenendo che gli iniziali 90 giorni chiesti da Giancarlo Giorgetti diventassero 9 mesi. Nel complesso i vincoli li ha intesi come un cul de sac nel quale infilare Unicredit per farla desistere dalla scalata su Banco Bpm. In effetti, anche se Orcel potrà chiedere alla Commissione e alla Bce un intervento a sua difesa, nella speranza che l’Europa valuti inapplicabile quel pezzo di Golden power, nel frattempo è evidente che mentre esso resta fermo, il tempo scorre. Se cerca di vendere rischia di trovare solo acquirenti (russi o del blocco Brics) sgraditi all’Ue. Figuriamoci che succederebbe se il compratore fosse un oligarca. Non solo, il paradosso - se invece riuscisse a superare questo percorso a ostacoli - è che se Trump e Putin convincessero l’Ue a partecipare alla pace, l’Italia si ritroverebbe a riallacciare i rapporti con Mosca senza una banca sul territorio. Pronti, via: si torna a fare affari e noi, intesi come una banca con la testa soprattutto in Italia, avremmo lasciato spazio ad altri. Magari ne approfitterebbe qualche partner europeo. Ovviamente è tutto scritto sulla sabbia. Vedremo che cosa sceglierà Orcel e come reagirà. La cartina al tornasole potrebbe già essere giovedì prossimo in occasione dell’assemblea di Generali. Unicredit, col suo pacchetto di azioni, per chi voterà? Assogestioni o magari Orcel, usando una delle carte che si è apparecchiato, voterà con Mediobanca per creare un blocco anti Roma? Domande le cui risposte non cambiano comunque il quadro geopolitico e il ruolo che dovrà avere la finanza una volta terminata la guerra in Ucraina. Esattamente lo stesso scenario che sta all’origine dei problemi della Isab di Priolo, acquistata dalla società greco-cipriota (in partnership con il colosso Trafigura) quando abbiamo dovuto tagliare i punti con i russi di Lukoil, per via delle sanzioni. L’operazione all’epoca è passata sotto il vaglio del Golden power. Ci fu l’ok del governo con prescrizioni. L’analisi fu approfondita perché dietro a Goi c’erano soci con solide relazioni russe. Adesso, a distanza di due anni, Goi si dichiara in difficoltà finanziarie e imputa a Trafigura di far lavorare la raffineria sicialiana in perdita. Goi vuole vendere. Il rischio è che l’orologio torni indietro, tanto che che si sono affacciati al sito due potenziali acquirenti. Si tratta degli azeri di Socar, la oil company interessata anche agli asset di Ip, e gli svizzeri di Gunvor, il cui ceo si chiama Torbjörn Törnqvist. Uno svedese che ha fatto i soldi assieme a Gennady Timchenko, prima che, al tempo dell’operazione in Crimea, finisse sotto sanzione Usa. Giusto per dare una idea che il mondo attorno alla raffinazione del petrolio, alla fine, punta sempre in qualche modo alla filiera che garantisce ritorni più alti. La stessa filiera che fornisce prezzi più bassi. Sia gli azeri che gli svizzeri sarebbero una toppa. Ecco perché tutti sanno che se domani finisse la guerra e il petrolio russo uscisse dalla black list, Priolo tornerebbe a macinare soldi e ci sarebbe la fila di investitori. Stiamo chiaramente semplificando, ma il tema gira attorno alla pace e a quei fili mai interrotti tra Italia e Russia, un po’ come avvenuto durante la guerra di Crimea 172 anni fa. È chiaro così che finanza, energia e industria si intrecciano con la geopolitica. Per fare filotti bisogna azzeccare i tempi. Confondere le esigenze del breve periodo con quelle del lungo può essere pericoloso anche per lo strumento del Golden power.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.