2022-10-22
Una donna sola al comando
Consultazioni lampo, già questa mattina il giuramento. Antonio Tajani (Esteri) e Matteo Salvini (Infrastrutture) vicepremier. L’Economia va Giancarlo Giorgetti, l’Interno al prefetto Matteo Piantedosi, la Difesa a Guido Crosetto. Giorgia Meloni non cede a Silvio Berlusconi: Carlo Nordio alla Giustizia, Adolfo Urso al Mise. Creati i ministeri del Mare, della Natalità e della Sovranità alimentare. Dopo anni di conformismo, si ritorna alla realtà.Giorgia Meloni è il 31° presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Anche se non ha ancora ottenuto la fiducia, e noi siamo certi che l’avrà, il suo nome figurerà nell’elenco dei premier che si sono succeduti dal 1946 alla guida del Paese. Infatti, una volta giurato nelle mani del presidente della Repubblica, la procedura prevede che la leader di Fratelli d’Italia sostituisca Mario Draghi, subentrandogli con pieni poteri. Il che sicuramente è un fatto storico per svariati motivi. Il primo è che Giorgia Meloni è la prima donna a varcare la soglia di Palazzo Chigi nelle vesti di premier. Nessuno dei 67 governi della Repubblica (più di due a testa per ogni premier, ma questo è un altro discorso) ha mai avuto un primo ministro di sesso femminile. Ci sono stati molti ministri in gonnella, alcuni dei quali hanno ricoperto ruoli chiave, con responsabilità anche dell’ordine pubblico, ma donne a capo dell’esecutivo nessuna. Il secondo motivo che ci spinge a dire che la sua nomina è «rivoluzionaria» si deve al fatto che mai nessun esponente di destra è riuscito a occupare quella casella. Dal 1945 in poi, il governo del Paese è stato inibito a chiunque provenisse da movimenti e partiti che non fossero di centro o di sinistra. Gianfranco Fini, che aveva militato nel Fronte della gioventù ed era stato segretario del Movimento sociale, nonostante si fosse risciacquato nell’acqua di Fiuggi fondando Alleanza nazionale, riuscì a diventare vicepremier e presidente della Camera, ma presidente del Consiglio no. Per anni il Parlamento fu diviso da un muro invalicabile: di qui l’arco costituzionale, composto da comunisti, democristiani e partiti centristi, di là i «fascisti». La sola volta che si provò a dare vita a un esecutivo con i voti del Msi, ovvero il governo Tambroni, l’Italia fu messa a ferro e fuoco dal Pci e dai sindacati. Durò quattro mesi, poi l’esponente democristiano che lo guidava fu costretto a gettare la spugna e dal 1960 fino alla discesa in campo di Silvio Berlusconi i voti della destra, ma soprattutto i loro rappresentanti, furono messi nel congelatore. Ovviamente, quando capitarono questi fatti Giorgia Meloni non era neppure nata, tuttavia attorno a lei e alla sua squadra di giovani affacciati al mondo negli anni Settanta c’è sempre stato un cordone sanitario. A dire il vero, il Pd e i suoi alleati hanno provato a stenderlo anche durante la campagna elettorale per il voto del 25 settembre, evocando lo spauracchio fascista, ma né la questione dei diritti Lgbt+, né la mobilitazione contro i presunti sostenitori di Vladimir Putin sono serviti.Giorgia è riuscita a diventare la leader del primo partito d’Italia e anche il primo presidente del Consiglio di destra, rompendo il soffitto di cristallo, cosa che a tante altre signore di sinistra non è riuscito. A questo si aggiunge un altro piccolo primato, ovvero di aver semplificato la liturgia istituzionale che precede ogni formazione di governo. Avendo assistito alla nascita di diversi esecutivi, possiamo dire che il parto è quasi sempre preceduto da complicazioni e, soprattutto, da lungaggini. Consultazioni, trattative, incarichi accettati con riserva, appuntamenti reiterati con il presidente della Repubblica per discutere la lista dei ministri. La gestazione quasi sempre è un’impresa e a volte ci vogliono giorni se non settimane prima che il governo sia messo al mondo. In questo caso sono bastate poche ore. Gli incontri di Mattarella si sono conclusi in mattinata, dopo appena un giorno e mezzo e già ieri sera abbiamo avuto l’annuncio. Il governo giurerà in mattinata e a differenza di altri casi pare che il capo dello Stato, di fronte alla lista, non abbia storto il naso, approvando le scelte. Tuttavia, se da un lato ci sembra giusto riconoscere i meriti e i primati di Giorgia Meloni, dall’altro non possiamo nascondere che il fardello di cui è fatta carico è difficile da portare. Nelle ultime settimane ci è capitato di ascoltare le lamentazioni degli italiani e la maggioranza delle persone ascoltate si aspetta, se non un miracolo, almeno un aiuto. Dalle bollette al lavoro, dagli interventi a favore delle imprese messe in difficoltà dalla crisi, alle misure per evitare il ritorno alla legge Fornero, l’elenco dei provvedimenti attesi è lungo. Soprattutto, credo che chi ha votato per il centrodestra, avendo deciso di mettere la croce per evitare altri anni di guida a sinistra, si aspetti meno conformismo e più decisionismo. Non è il momento di pensare ai diritti delle persone Lgbt+, ma di garantire quelli delle persone, intesi come italiani. A forza di inseguire le minoranze che tanto piacciono ai compagni, si è persa di vista la maggioranza. E forse questa è la grande novità rappresentata da Giorgia Meloni: dopo anni di conformismo di sinistra, si torna alla realtà. Auguri. Doppi perché oltre a difendersi dai nemici probabilmente dovrà guardarsi anche dagli amici.