2019-04-15
«Un San Siro nuovo e hi tech lancerà Milano tra le grandi d’Europa»
Il rettore del Politecnico Ferruccio Resta: «Siamo in un'era neotecnologica. Un tempo erano gli Stati a disegnare le strategie, ora le città».«È una doppia scommessa, e a me le scommesse piacciono». A Milano il Fondo americano Hines ha appena acquistato gli oltre 140.000 metri quadri dell'ex ippodromo del trotto, a San Siro, con l'idea di trasformarli in area commerciale e residenziale. Si parla di 250-300 milioni d'investimento. Ferruccio Resta, 50 anni e da due rettore del Politecnico, non ha dubbi: «Non conosco i progetti di Hines per l'area, ma mi sembra un messaggio chiaro. Un grande fondo internazionale scommette che lo stadio alla fine non si muoverà da San Siro, e in realtà punta anche sul futuro di Milano. Io concordo in pieno, sono convinto che le due giocate siano vincenti. Ma sono convinto anche che non ci si possa limitare a ristrutturare il vecchio stadio: serve una struttura nuova di zecca».Il rettore del Polimi entra così con forza nel dibattito sul domani di San Siro: lo fa in questa intervista con La Verità, lanciando una proposta innovativa, ad alta tecnologia, che è parte di una strategia per dare a Milano gli strumenti per competere con le grandi metropoli, europee e mondiali.Perché uno stadio nuovo e non la ristrutturazione di quello vecchio?«San Siro appartiene al Milan e all'Inter, quindi di per sé è il simbolo della Milano che “fa squadra". Oggi le due società e la città devono decidere se vogliono fare una grande operazione, anche d'immagine: sono davvero convinte che domani il calcio sarà un settore con regole sempre più spettacolari e commerciali? Allora devono disporre di una struttura con caratteristiche tecnologiche innovative e con un'estetica futuribile».Un addio al passato?«Al contrario: parte del vecchio stadio può benissimo diventare un oggetto “di culto", al servizio del nuovo impianto e di tutte le strutture commerciali che sorgeranno nell'area. Dovrà però trasformarsi in qualcosa capace di attrarre pubblico sempre, sette giorni su sette e a ogni ora, non solo quando si gioca una partita. Le idee sono tante».Ne dica una.«Teniamo in piedi una delle grandi torri di San Siro, e da lì proiettiamo una grande, spettacolare olografia dello stadio abbattuto. Una cosa mai vista, suggestiva, capace di modificare tutte le prospettive. Ricordando anche che oggi i costi dell'olografia sono elevati, ma in pochi anni caleranno. È proprio questo che Milano deve capire: che la tecnologia le offre un trampolino sul futuro. Nei prossimi anni, grazie alla tecnologia e all'intelligenza artificiale, qui cambierà tutto, dai trasporti agli ospedali, dalla burocrazia alle imprese».Lei è un fan della tecnologia. Per forza: è il rettore del Politecnico.«Parlo da ingegnere, lo so. Ma è innegabile che negli ultimi 20 anni abbiamo vissuto un'era prevalentemente finanziaria, con risultati spesso poco positivi. Oggi, a Milano come nel resto d'Europa, siamo invece entrati in un'epoca neo-tecnologica. Quindi, in effetti, potremmo dire che da un'era “bocconiana" stiamo passando a un'era… “politecnica". Del resto, se è vero che Milano deve attrarre sempre più professionisti e imprese da ogni parte del mondo, è vero anche che il Politecnico già oggi ha 6.000 studenti stranieri su 40.000, il 15%».E dal Politecnico lei come vede la Milano del futuro?«La partita è cruciale. Se Milano vuole continuare a essere la città più europea d'Italia, se vuole battersi ad armi pari con le metropoli concorrenti, deve usare al meglio le tecnologie già disponibili e quelle in arrivo per migliorare velocemente nei trasporti, nell'ambiente, nella sanità».Un esempio concreto?«Prendiamo proprio i pur buoni e ottimi ospedali milanesi. Oggi l'alta tecnologia è già in sala operatoria: tra robot, automazione e strumenti avanzatissimi siamo già nel futuro. In corsia, invece, siamo fermi a regole e metodi di trent'anni fa. Eppure, nelle corsie, l'infermiere spesso ha un ruolo importante come quello del medico. È a lui che il malato si appoggia, psicologicamente e fisicamente. Pensiamo allora cosa potrebbero diventare le corsie se i lavori più banali e ripetitivi, dalla scelta dei pasti alla loro distribuzione, dalla copiatura delle cartelle cliniche alla loro archiviazione, venissero affidati a macchine e computer. L'infermiere sarà liberato da un 80% di compiti poco nobili, e potrà dedicarsi interamente all'assistenza. Possiamo guadagnare qualità nelle professioni senza perdere occupazione».E Milano che cosa deve fare, per giocare al meglio la sua partita?«La parola d'ordine, per tutte le metropoli vincenti, è “attrattività". Oggi la competizione tra territori è accesa, e vince solo chi riesce a diventare meta. Chi non coglie il cambiamento, invece, si trasforma in “stazione di partenza" e perde lavoro, intelligenze, ricchezza. Da sempre, le grandi migrazioni della storia corrono là dove il lavoro c'è».Ma una città, per quanto grande, che cosa può fare?«È vero, un tempo erano gli Stati a disegnare le strategie. Oggi però le metropoli come Milano scoprono di avere il destino tra le mani. Se vogliono crescere, devono diventare creatrici di nuove imprese e favorire l'insediamento di grandi aziende. È così perché inevitabilmente è l'impresa che crea lavoro e ricchezza: due elementi fondamentali per determinare l'attrattività di una metropoli. È il classico circolo virtuoso. Se una città cresce non si ferma; e solo se non si ferma le imprese investono e restano, e a loro volta fanno crescere la città. Certo, per attrarre le imprese e gli uomini che le fanno e che ci lavorano, poi servono anche l'ambiente, l'efficienza, la velocità. Occorre un'amministrazione pubblica che dia risposte tempestive e coerenti. Rispetto al passato, c'è almeno il vantaggio che le imprese di oggi non hanno bisogno di grandi spazi e non creano inquinamento».L'ambiente, comunque, è fondamentale per l'attrattività. O no?«Certo. Ma anche in questo campo la politica deve dare risposte veloci e non smentirsi ogni due anni. Serve progettazione. Al Politecnico, dal 2008, abbiamo installato solo impianti di trigenerazione, molto poco inquinanti, che producono energia elettrica e usano l'energia termica per produrre freddo e caldo: sistemi tecnologicamente avanzati, studiati dai nostri esperti di energia sostenibile. Abbiamo investito 4,5 milioni, e già ora risparmiamo 1,3 milioni all'anno: l'investimento si ripaga in meno di quattro anni. Ecco: interventi del genere dovrebbero fare anche gli enti locali con i loro edifici. Invece lì siamo molto indietro».Quali sono le città concorrenti di Milano?«Quelle dove scappano i nostri giovani: Londra, Parigi, Berlino e Monaco di Baviera, ma anche Lione e Barcellona. I tedeschi sono un ottimo modello. La Germania, per i suoi Politecnici a Monaco e ad Aquisgrana, ogni anno investe 15-16.000 euro a studente senza fargli pagare nulla in tasse. Noi dallo Stato riceviamo meno di 5.000 euro a studente, e altri 2.000 in tasse universitarie. Per fortuna abbiamo le attività di ricerca e innovazione con le imprese private e la Commissione europea, ma anche così il nostro modello non sempre è sostenibile. Per essere competitivi e attrattivi dobbiamo puntare sulla qualità, che ha un costo. Se non si vuole investire, le università devono avere più autonomia».Avete progetti per attrarre nuove imprese, le start up?«Milano potrebbe diventare un crogiuolo di start up. Oggi al Politecnico ne abbiamo 120, realizzano 70 milioni di fatturato e danno lavoro a 700 persone. Il limite alla loro crescita è solo lo spazio. Così abbiamo ideato un piano per trasformare due grandi gasometri dismessi, che sorgono nel quartiere della Bovisa accanto ai nostri dipartimenti. Vogliamo che diventino la “casa" per le nuove start up, potremmo contenerne più del doppio di oggi, fino a 300. Con il Comune stiamo valutando una concessione pluriennale, con la Regione un supporto all'innovazione. Abbiano creato un primo fondo di venture capital di oltre 50 milioni e stiamo lavorando a un secondo con altre università europee».Quanto tempo servirà?«Un anno per la progettazione, due per trasformare i gasometri in edifici utilizzabili. Ma siamo convinti che un'impresa del genere, lavorando su quella che diventerà un'icona architettonica spettacolare e di forte richiamo, porterà a Milano start-up da tutta Europa. A catena, poi, arriveranno le imprese più grandi, attratte dall'accoppiata tra la ricerca del Politecnico e i progetti innovativi delle start up. Milano non può fermarsi».Sorge un dubbio, rettore: non è che con tutti questi progetti su Milano la vedremo candidato sindaco?(ride) «Io faccio il rettore del Politecnico, il mio mandato finisce nel 2022. Ho fatto il ricercatore, ho lavorato con le industrie, e ora gestisco questa fetta importante di pubblica amministrazione. È un onore, inoltre mi diverto e continuo a divertirmi. E poi penso che servano precise competenze per ogni figura professionale, quindi anche per la politica».Appunto…