2021-10-21
Un romanziere «pieno di donne» alla ricerca di una fede da uomini
Tradotta per la prima volta in italiano la novella «Intermezzo romano» di Pierre Drieu La Rochelle. Il pellegrinaggio dello scrittore nel cuore dell'Occidente, fra l'antichità dei latini e la grandezza medievaleÈ l'inverno del 1926, Pierre Drieu La Rochelle ha 33 anni, e per qualche mese ha abbandonato la sua Francia in decomposizione per trasferirsi qualche mese in Italia. Da non molto ha pubblicato un romanzo intitolato L'uomo pieno di donne, e in effetti la compagnia femminile non gli manca. Pol Vandromme, nel bel saggio Pierre Drieu La Rochelle (pubblicato in Italia da Oaks), sostiene che le donne furono sempre un «lento e grave corteo» che accompagnava l'opera dello scrittore. Egli le cercava «in un desiderio senza fine», le amava «grandi, slanciate, bionde, silenziose, immagini viventi di quella razza dorica che egli adorava». Nel 1926 Drieu si ferma a Firenze e Roma, è al seguito della contessa Cora Caetani, definita «bella ma esangue». Non è però di lei (o, comunque, non è solo di lei) che egli scriverà molti anni dopo (nel 1943) in un'altra novella autobiografica intitolata Intermezzo romano, che viene tradotta ora per la prima volta in italiano da Marco Settimini, e pubblicata dall'editore Aspis in un volume che contiene anche altri due scritti: La Voce (1934) e Appunti per un romanzo sulla sessualità (che Gallimard ha dato alle stampe nel 2008). È proprio in quest'ultima opera che il grande scrittore francese, con la consueta punta d'amarezza, si definisce «votato al bordello per tutta la vita». Le donne gli stanno intorno, sì, ma non riescono a riempire la sua esistenza, non sono loro a farlo vibrare, a dargli ciò che cerca, anche quando sono molto belle, forti e originali. In Intermezzo romano c'è Edwige, che secondo Marina Valensise sarebbe ispirata proprio all'italiana Cora, conosciuta a Parigi nel 1925. Settimini dà però una versione diversa: il personaggio sarebbe modellato su Suzanne de Vibray, che altrove Drieu definirà «tipo meridionale, viso volgare, corpo non bello». L'altra apparizione femminile, Marianne, sarebbe invece Liliane Roditi. Viene infine citata - ennesima evocazione - una certa Dora, probabilmente la stessa che appare in Gilles, ovvero l'americana Constance Wash, con cui lo scrittore non fu esattamente tenerissimo: «Brutta, veramente brutta, fronte bassa, occhi piccoli, naso schiacciato, seni avvizziti, ma il grande tipo dell'americana, splendide gambe e spalle dritte». Donne, donne dappertutto. E in effetti Drieu è un tipo affascinante, già risplende come astro della letteratura francese, proprio brutto non è, ed è pure tormentato il giusto, o almeno quanto basta per affascinare più o meno chiunque. Come dicevamo, tuttavia, è altro che il francese va cercando. E in Italia, per un momento, sembra trovarlo. Egli s'aggira per Roma e si lascia gonfiare i polmoni dal respiro dell'antichità. «Il suo punto di vista sui monumenti e in particolare sulle rovine è quello espresso ne Il giovane europeo a proposito del Medioevo mediterraneo», scrive Marco Settimini. «Quegli uomini erano circondati da rovine, ricorda Drieu, ma in quel caso seppero raccogliere e farsi carico della loro bellezza, del loro significato, e ricrearono una civilizzazione tornando dunque giovani, mentre nel XX secolo gli europei si rivelano vecchi, e poveri al punto di svendere le loro cattedrali, dimore del loro Dio e del loro Spirito, al turismo, e la loro storia a dei barbari solo economicamente più ricchi». In Intermezzo romano, nota il curatore, non mancano pagine che potrebbero suonare ruvidamente anticlericali. Ma non si tratta di banale polemica anticristiana, anzi. «La sua è più che altro una critica alla decadenza della Chiesa che s'inscrive in quella ben più ampia e generalizzata che affligge tutto ciò che lo circonda», spiega Settimini. «Mentre il cristianesimo, perlomeno quando non implica il disprezzo del corpo, ma anzi la sua resurrezione incarnata dal trionfo del “Cristo delle cattedrali, il grande dio bianco e virile" del finale esaltato di Gilles, affiancato dalla Vergine madre, non poteva che avere un senso del tutto positivo. Quelle figure giovani, vigorose e possenti del Cristo e della Vergine non avevano infatti per lui nulla di meno di quelle degli dei Greci, così come la liturgia a confronto della tragedia greca, e fu sempre ammiratore del Medioevo cattolico, creativo, guerriero, santo». Non è un caso che proprio le pagine di Gilles sulla Vergine e il Cristo siano state riprese da Michel Houellebecq (un altro delicato che molto ha in comune con Drieu) in Sottomissione. Solo che la Francia dipinta da Houellebecq è ancora più marcescente di quella che intravvedeva Drieu, e durante la sua visita alla chiesa di Rocamadur il protagonista di Sottomissione non trova una religione «virile» e forte, ma solo un gruppetto di ragazzini che canticchiano e si cimentano in attività umanitarie, dunque se ne va sconsolato. Il personaggio di Houellebecq cercava dentro le cattedrali lo stesso spirito che affascinava il nostro Pierre. Come ha notato Paul Sérant in Romanticismo fascista, infatti, Drieu ripeteva: «Ho sempre ammirato e venerato, nel cattolicesimo, un sistema ideologico completo che fa fronte a tutte le difficoltà intime degli uomini e fornisce loro sempre una squisita e insostituibile soluzione psicologica». In Appunti per comprendere il secolo (Edizioni all'insegna del Veltro), Drieu rincara la dose. Descrive il Medioevo come «una magnifica epoca di giovinezza». Egli vi trovava lo splendore della cavalleria, era ammirato dal cristianesimo eroico e virile che permeava l'intera civiltà europea. Un cristianesimo che, molti anni dopo, appare quasi totalmente scomparso, tanto da far immaginare a Houellebecq una Francia dominata dall'islam. Forse Drieu questa decadenza l'aveva presagita: due anni dopo aver scritto del suo soggiorno romano, si fece trovare morto a Parigi, col tubo del gas in mano.