
Niente inviati, niente inchieste, niente notizie. La trasmissione di Lerner su Rai 3 è la solita cantilena ritrita sul Carroccio xenofobo. Per fare ascolti Gad gioca la carta del vittimismo e attinge al pubblico di Report.Michele Anzaldi, deputato del Pd e segretario della Comissione di vigilanza Rai, ieri era al settimo cielo: «Gli ottimi ascolti per la prima puntata de L'approdo di Gad Lerner su Rai 3 sono la miglior risposta a tante inutili polemiche», ha dichiarato. «Giornalismo e informazione sono graditi al pubblico. La Rai servizio pubblico farebbe bene a ricordarlo più spesso». In effetti, gli ascolti sono stati molto buoni: 1.174.000 spettatori, con il 7,4% di share. Di «giornalismo e informazione», però, se ne sono visti davvero pochissimi. Lerner ha senz'altro beneficiato del traino di Report, che gli ha lasciato in eredità un bel numero di spettatori. Soprattutto, però, ha approfittato di quello che si potrebbe chiamare «effetto Santoro». Attaccando pesantemente Matteo Salvini e i giornalisti «nemici», Lerner ha creato attesa e si è fatto parecchia pubblicità. Lo sappiamo: il giochino televisivo funziona così. Michele Santoro, tuttavia, appariva piuttosto pieno di sé, ma teneva lo studio come pochi. Era fazioso oltre ogni limite però non annoiava. I servizi dei suoi collaboratori erano puro cinema, quelli di Lerner semplicemente non esistono. Dopo aver visto da cima a fondo L'approdo, viene da chiedersi: ma come diavolo li hanno spesi migliaia e migliaia di euro? Niente inviati, niente inchieste, niente esclusive. Giusto un paio di ospiti che rispondevano a domande già sentite e risentite.La trasmissione era sostanzialmente un riciclo degli ultimi articoli firmati dal caro Gad su Repubblica: identiche idee, stessi contenuti. La tesi della puntata di ieri, già ampiamente illustrata sul quotidiano progressista, era la seguente: la Lega di oggi è di fatto identica a quella degli inizi, faceva schifo allora e fa schifo oggi.Gad, invece, rispetto a trent'anni fa, sembrava leggermente più inacidito. Ha iniziato il suo viaggio nella Lega dal pratone di Pontida, sai che novità. Poi ha scodellato un servizio in cui giustapponeva immagini dell'Umberto Bossi dei tempi d'oro a quelle del Matteo Salvini delle ultime settimane. Il concetto è stato ribadito ancora e ancora: i vertici del Carroccio erano populisti una volta e lo sono pure oggi, hanno soltanto cambiato il metodo per imbonire gli elettori.Lo studio era buio, allietato dalla presenza di un barcone mezzo sfasciato a scimmiottare una scenografia. Gli ospiti erano autorevoli e gallonati: Luciano Canfora e Marco Tarchi. Gad li ha spremuti senza sosta al fine di farsi dire che la Lega è da un lato ridicola, dall'altro pericolosa. Ovviamente il contraddittorio era inesistente, entrambi i professori di cui sopra non sono esattamente simpatizzanti del movimento salviniano.In queste condizioni, persino il solitamente brillante Canfora - marxista d'acciaio poco amante della correttezza politica - è riuscito a scadere nella banalità. Lerner gli ha chiesto come mai Salvini indichi come «nemici» tanto i migranti quanto i banchieri. Lo studioso ha risposto paragonando la visione leghista a quella nazionalsocialista che additava il banchiere ebreo e se la prendeva pure con il proletario politicizzato. I leghisti sarebbero una versione leggera del nazismo? Grande idea, originale soprattutto...Tarchi, per fortuna, era molto più moderato. Ma appena si permetteva di giustificare qualche atteggiamento di Salvini, Lerner lo bacchettava, e tentava di riportarlo sulla retta via.Possiamo dire la verità? Meno male che, ogni tanto, Gad ha riproposto filmati più o meno datati di Bossi, Borghezio e altri (ovviamente impegnati a inveire nei comizi). Queste immagini sono state l'unico antidoto alla noia mortale che esalava dallo studio. L'intero programma era un lentissimo e mortifero processo in contumacia. Il conduttore se ne compiaceva, forse la sua intenzione era quella di ricreare una discussione accademica, al fine di stuzzicare chi se la prende con «gli intellettuali radical chic». A seguire la lezioncina di ieri, però, non s'imparava nulla: erano le stesse baggianate che si leggono ogni giorno sul Web, solo ripetute con un linguaggio un po' più elevato.L'orologio scandiva minuti interminabili e - smisurato secondo dopo smisurato secondo - Lerner ha snocciolato tutte le consuete accuse. I leghisti sono bugiardi; i leghisti non amano l'Italia e si fingono patrioti per interesse; i leghisti sono volgari; i leghisti sono violenti; i leghisti sono xenofobi, anzi razzisti; i leghisti creano nemici per alimentare la paura. A metà trasmissione, finalmente, sono arrivati i fascisti. Su uno schermo gigante troneggiava la fotografia di Madeleine Albright, l'ex segretario di Stato americano che, non dovendo più bombardare nessuno, ha trovato il tempo di scrivere un libro per gridare al pericolo nero. Pensate un po': per dire che la Lega fa schifo va bene persino l'ex Grande Satana a stelle e strisce...Marco Tarchi, che il fascismo lo conosce a fondo (fu lui a portare in Italia la Nuova destra), ha spiegato che la Lega non è fascista, e nemmeno «di estrema destra». Ma Lerner non si è scomposto, e ha proseguito con la fanfara, occupandosi di un altro tema davvero inedito: gli amici europei di Salvini. Cioè i vari Orban e Le Pen, i quali ovviamente sono brutti, cattivi e nemici della democrazia. L'eroico Tarchi, a tratti, ha cercato di opporsi al martellamento di Lerner, ma senza grande successo. Il professore - uno dei massimi esperti di populismo al mondo - provava a smussare gli angoli Gad quando le sparava troppo grosse, ma ne ha ottenuto in cambio battutine e sberleffi. Chiaro: il professore universitario piace solo quando la sua scienza e le sue distinzioni ti danno ragione. Ma se il luminare distingue e approfondisce senza portare acqua al mulino progressista, ecco che dà fastidio, e gli si può rispondere con toni da bar. Poco dopo le 24.00 il programma è finalmente giunto al termine. Gad ha voluto concluderlo con una bella poesia di Primo Levi, utilizzato per l'ennesima volta allo scopo di gridare al fascismo in arrivo. Titoli di coda, pubblicità. E allo spettatore che cosa resta? Della noia mortale abbiamo detto, ma forse è il caso di ripeterlo. Se questa è informazione, siamo messi bene. Non abbiamo visto un servizio giornalistico che sia uno. A parte una mezza intervista a Francesco Speroni, tutto il resto del materiale era roba d'archivio. Niente notizie, niente approfondimento. Solo le tesi, gli insulti (tra cui un rinnovato saluto alle classi subalterne) e le vanterie di Lerner sottoposte a due ospiti chiamati a dargli ragione (e rimproverati se non lo facevano).Seriamente: speravamo almeno di divertirci. Speravamo che Gad fosse all'altezza delle aspettative, confezionando un gioiello di faziosità. Invece gli abbiamo dato 13.600 euro circa (il compenso per la puntata di ieri, stando alle fonti ufficiali) per riproporre i commenti già usciti su Repubblica e per ravanare nelle teche Rai, magari in cerca dei suoi programmi di una volta. Strano contrappasso: il Lerner di trent'anni fa, rivisto adesso, è comunque più fresco di quello attuale: il Gad di oggi campa ancora sul lavoro del Gad di ieri.Buoni ascolti, verissimo. Ma, per la prima volta dopo tanto tempo, abbiamo provato nostalgia di Santoro.
Ansa
Il generale Fabio Mini: «Qualsiasi attacco contro la Russia impatta solo sul breve periodo».
Nella roccaforte ucraina del Donetsk, a Pokrovsk, si fa sempre più concreto il rischio che l’esercito di Kiev abbia i giorni contati, nonostante le varie rassicurazioni dei vertici militari ucraini.
A confermare la situazione drammatica sul campo è il generale di corpo d’armata dell’Esercito italiano, Fabio Mini, che ne ha parlato con La Verità. «Zelensky sa benissimo che le unità del suo esercito sono state circondate» ha detto il generale. Non sono state «ancora eliminate» perché i russi «stanno sempre contrattando e trattando per un ritiro, visto che non hanno bisogno di fare prigionieri». Dunque «le sacche sono chiuse», ha proseguito Mini, sottolineando che dalle fonti «dell’intelligence statunitense e inglese» è evidente «che non ci sia più la grande speranza di una vittoria». Quel che resta è la possibilità «di una sconfitta onorevole».
Bruxelles: «Chiediamo tolleranza zero sulla corruzione». Lo scandalo agita pure il governo. Matteo Salvini: «I nostri soldi vanno ai criminali?». Guido Crosetto: «Non giudico per due casi». E Antonio Tajani annuncia altri aiuti.
«Mi sembra che stiano emergendo scandali legati alla corruzione, che coinvolgono il governo ucraino, quindi non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si andasse ad alimentare ulteriore corruzione»: il leader della Lega, Matteo Salvini, pronuncia queste parole a Napoli a margine di un sopralluogo al porto, a proposito dell’acquisto di ulteriori armamenti dagli Usa da inviare in Ucraina. «La via di soluzione», aggiunge Salvini, «è quella indicata dal Santo Padre e da Trump, ovvero dialogo, mettere intorno a un tavolo Zelensky e Putin e far tacere le armi. Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema e mi sembra che quello che sta accadendo nelle ultime ore, con l’avanzata delle truppe russe, ci dica che è interesse di tutti, in primis dell’Ucraina, fermare la guerra. Pensare che mandare armi significa che l’Ucraina possa riconquistare i terreni perduti è ingenuo quantomeno».
Volodymyr Zelensky
Pronto un altro pacchetto di aiuti, ma la Lega frena: «Prima bisogna fare assoluta chiarezza sugli scandali di corruzione». E persino la Commissione europea adesso ha dubbi: «Rivalutare i fondi a Kiev, Volodymy Zelensky ci deve garantire trasparenza».
I nostri soldi all’Ucraina sono serviti anche per costruire i bagni d’oro dei corrotti nel cerchio magico di Volodymyr Zelensky. E mentre sia l’Ue sia l’Italia, non paghe di aver erogato oltre 187 miliardi la prima e tra i 3 e i 3 miliardi e mezzo la seconda, si ostinano a foraggiare gli alleati con aiuti economici e militari, sorge un interrogativo inquietante: se il denaro occidentale ha contribuito ad arricchire i profittatori di guerra, che fine potrebbero fare le armi che mandiamo alla resistenza?
2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.
Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.





