2023-03-29
Un miliardo per le aziende fregate. Ma il buco di Speranza è più grande
L’ex ministro ha imposto ai fornitori della sanità di partecipare agli sforamenti delle Regioni per 3,6 miliardi. L’imprenditore Gennaro Broya de Lucia: payback introdotto per il Covid. Il governo ha messo una toppa ma non basta.Il governo corre ai ripari per disinnescare la mina lasciata dalla sinistra sul payback. Una eredità che si voleva scaricare tutta sulle spalle delle imprese. Per rinfrescarci la memoria ricordiamo che il sistema di «tassazione», noto come payback, rimasto quiescente per molti anni, è stato rianimato dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, con il decreto legge «Aiuti bis» di agosto scorso, nel quale si definivano le regole per l’applicazione del sistema di compartecipazione delle imprese fornitrici di dispositivi medici, allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria, obbligando l’industria del settore a un esborso che viene stimato in oltre 3 miliardi di euro. «Era un modo per spostare dal pubblico al privato le spese delle Regioni che hanno ricevuto a monte un budget inferiore alle reali necessità. Si sono inventati questo meccanismo che è una vera e propria estorsione, per scaricare sulle nostre spalle e quelle dei cittadini, le spese del Covid che lo Stato non ha mai rimborsato» spiega il fondatore e ora consulente alle vendite di Eukon (fornitore di circa 400 ospedali), Gennaro Broya de Lucia, una delle oltre 4.000 imprese coinvolte in questo girone infernale, che Speranza ha messo a rischio di fallimento, trascinandosi dietro più di centomila posti di lavoro. Il decreto attuativo di questo meccanismo obbligava le aziende del comparto sanità a rimborsare il 50% delle spese effettuate in eccesso dalle Regioni. È opportuno fare un passo indietro. Il payback è uno di quei marchingegni finanziari usciti dal cappello della sinistra per svincolarsi da qualsiasi responsabilità sullo sforamento dei budget. La trovata è opera dell’inventiva di Matteo Renzi. Nel 2015 l’allora premier, stabilisce che, in caso di sforamento da parte di una Regione, una parte (pari al 40% nel 2015, al 45% nel 2016 e al 50% dal 2017) della spesa in eccesso dovesse venir rimborsata dalle imprese fornitrici (ciascuna pro-quota, verosimilmente in base all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa nella regione in questione). Dovevano però essere varati i decreti attuativi. Tutto tace finché nell’agosto del 2022 Daniele Franco, ministro dell’Economia, in accordo con Speranza, rianima il payback rimasto fino a quel momento solo sulla carta, certifica i disavanzi delle Regioni dal 2015 al 2018, impone a queste di metterli a bilancio per non essere commissariate, e di richiedere entro il 15 gennaio 2023 a tutte le aziende fornitrici dei dispositivi medici, la partecipazione al ripiano. «Solo per i primi 4 anni la cifra da rimborsare per le aziende è pari a 2,1 miliardi, ma se si includono anche il 2019 e il 2020 si arriva a circa 3,6 miliardi. La batosta arriva dopo 7 anni quando il governo Draghi si sveglia e ci presenta il conto», commenta Broya de Lucia che è anche presidente di Pmi Sanità, associazione che conta oltre 100 piccole e medie imprese fornitrici di dispositivi medici, vittime di questa mostruosità normativa.Il governo Meloni è corso ai ripari, compatibilmente con i vincoli di bilancio, perché l’eredità lasciata è pesante. Così dopo aver spostato al 30 aprile la scadenza del pagamento, ieri con un decreto legge ha introdotto misure che dovrebbero alleviare l’onere per le imprese e ha messo mano alle risorse pubbliche (ciò che non hanno fatto i governi precedenti) in aiuto alle Regioni. Per ripianare il superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici, è stato istituito un fondo di 1,1 miliardi per il 2023, dal quale prelevare una quota per ciascuna Regione che sarà utilizzata per gli equilibri dei servizi sanitari del 2022. «Quindi per ripianare le maggiori spese per il Covid che lo Stato avrebbe dovuto versare e non l’ha mai fatto» spiega Broya de Lucia. Le aziende fornitrici che non hanno attivato un contenzioso, o rinunciano a farlo, dovranno comunque contribuire al ripiano ma con importi più bassi e avranno due mesi in più per questo obbligo, fino al 30 giugno prossimo. Inoltre possono portare in detrazione l’Iva, se sono produttori, scorporandola dall’ammontare dei versamenti effettuati. Secondo le imprese però il decreto non è risolutivo. «È un onere che tante pmi non riusciranno a sostenere, con il rischio di fallimento. Una volta uscite dal mercato, lo spazio sarà preso dalle multinazionali, che grazie alla minore concorrenza, potranno alzare i prezzi e abbassare la qualità», tuona Broya de Lucia, «nonostante la fissazione di tetti di spesa su base regionale e l’obbligo di ripiano in capo alle regioni e alle imprese fornitrici, il governo (quello passato, ndr) non ha mai verificato la rispondenza dei tetti di spesa ai fabbisogni regionali e la possibilità di un loro innalzamento proporzionale alle esigenze dei servizi sanitari territoriali. Dunque, i tetti di spesa, non rispondendo ai fabbisogni, si sono trasformati in un limite precostituito che il governo sapeva sarebbe stato superato».Sulle barricate anche la Fifo Sanità (quasi 500 pmi). Il vicepresidente vicario, Giacomo Guasone avverte: «Il governo passato ci ha portato nel baratro a caccia di soldi in maniera piratesca. Capiamo che ora la cancellazione totale non è semplice, ma auspicavamo almeno l’annullamento dell’importo degli anni 2019-2022 pari a circa 3,6-4 miliardi. Serve un dialogo concertato».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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