2022-02-05
Un fumetto sugli esuli istriani per ricordare una strage impunita
La graphic novel «Una vita per Pola» è l’adattamento di «Quando ci batteva forte il cuore» del professor Stefano Zecchi. Le vicende di una famiglia di esuli come paradigma di un orrore che la nostra politica ignora.Pubblichiamo un estratto dall’introduzione di Una vita per Pola, storia di una famiglia istriana, primo romanzo a fumetti del professor Stefano Zecchi, edito da Ferrogallico. La graphic novel (le tavole sono a cura di Giuseppe Botte) è un adattamento di Quando ci batteva forte il cuore, romanzo dello stesso Zecchi dedicato all’esodo istriano, una tragedia della storia italiana a cui i nostri politici non hanno mai voluto rendere giustizia. Quando, più di 10 anni fa, uscì il mio romanzo Quando ci batteva forte il cuore (Mondadori) - da cui trae ispirazione questo graphic novel - lo dedicai al mio giovanissimo figlio: «A Federico per ricordare. La vera grande infedeltà è dimenticare».Ricordare persone e cose, grandi storie e piccoli avvenimenti: si dimentica perché si ritiene che non ci sia niente di importante da ricordare oppure si fa questa scelta per non soffrire. Comunque, il più delle volte si tratta di un’infedeltà, grande o piccola che sia. Se l’infedeltà riguarda la persona, sarà lei, la sua coscienza, a risponderne; talvolta, però, dimenticare è un atteggiamento che oltrepassa il sentimento soggettivo per diventare politico, sociale, culturale: allora dimenticare è una colpa, è un’infedeltà che coinvolge la memoria collettiva, e la colpa diventa responsabilità di un’intera società, di una nazione.Perché la storia che ha coinvolto le popolazioni - i nostri connazionali - che vivevano sulle coste orientali del mar Adriatico, sulle terre istriane, giuliane, dalmate, fiumane è stata dimenticata? Oppure travisata, deformata, mistificata, negata? Perché si trattava di una storia che non doveva esserci, e tutte le volte che, con difficoltà, riaffiorava si doveva cancellare con gli espedienti più violenti, volgari, falsi, banali… Cos’era accaduto nelle terre orientali italiane dell’Adriatico dopo la guerra?Niente di rilevante, avrebbe voluto rispondere chi governava allora l’Italia e chi, da sinistra, faceva l’opposizione. Soltanto un nuovo confine che era stato segnato con un tratto di penna sulla carta geografica dell’Europa. Vite negate, amori, amicizie, speranze sconvolte, sentimenti calpestati che, per pudore, in silenzio, lontano da occhi inquisitori, l’esule arrivato dalle terre giuliano-dalmate, dall’Istria, da Fiume chiudeva nel dolore, forse sperando che quel dignitoso comportamento lo aiutasse ad essere accolto da chi non ne gradiva la presenza. Si chiudeva così il cerchio dell’oblio, e una pesante coltre di omertà si distendeva sopra le sconvenienti ragioni degli sconfitti.[...] A migliaia, gli italiani che vivevano sulle terre dell’Adriatico orientale, senza nessun processo, senza nessuna accusa - se non quella di essere italiani - venivano prelevati di notte, fatti salire sui camion e infoibati o annegati. Non si saprà mai quanti furono ammazzati. A decine di migliaia: una stima approssimativa è stata fatta sulla base del peso dei cadaveri che venivano recuperati dalle foibe. Nulla si sa degli annegati: le foibe azzurre.E, poi, gli esuli: oltre 350.000 che lasciarono tutto pur di rimanere italiani e vivi. Accolti in Italia con diffidenza, spesso con disprezzo, poiché solo dei ladri, assassini, malfattori fascisti potevano desiderare di abbandonare il paradiso comunista jugoslavo. [...] Tito aveva messo a punto una macchina di dissuasione violenta, terrorizzante, affinché gli italiani lasciassero le terre che sarebbero state consegnate alla Jugoslavia dai vincitori della guerra. Doveva trionfare l’idea che quelle terre fossero da sempre jugoslave, si doveva convincere sia la politica internazionale, sia il semplice abitante slavo che gli italiani fossero degli usurpatori. Voglio raccontare un aneddoto, divertente, eloquente, culturalmente drammatico. Quando ancora non si era dissolta ed esisteva la Jugoslavia come Stato nazionale con Tito suo presidente, per una serie di motivi personali e professionali mi trovavo a Pola. Ritornavo, durante il tempo libero di quei giorni, a visitare la città e, ovviamente, il suo monumento più rappresentativo: l’arena, un grande anfiteatro costruito durante l’impero di Augusto. Mi trovavo lì, ero solo: sentii parlare italiano, mi avvicinai a un gruppetto di turisti che ammirava l’arena, ascoltando le spiegazioni di una guida, una ragazza jugoslava che parlava discretamente la nostra lingua. A un certo momento, dopo aver illustrato il periodo della storia di Roma con argomentazioni che noi apprendiamo durante le elementari, alla peggio durante le medie, la sentii chiaramente affermare, con assoluta convinzione, che l’arena di Pola era stata costruita dagli jugoslavi. I nostri turisti non fecero una piega nell’ascoltare le sue parole; io mi avvicinai di più al gruppetto e, molto educatamente, contestai alla guida la sua affermazione. «Costruita dagli jugoslavi?», le chiesi, «non ha appena detto che è di epoca romana, augustea?»; «Certo», mi rispose, «ma gli scalpellini, i muratori erano gente del posto, erano jugoslavi. Dunque, l’arena di Pola è stata costruita dagli jugoslavi».Quella guida turistica non era affatto ignorante, era una sistematica mistificatrice indottrinata dai governanti del suo Paese per cercare di diffondere, sostenere un’identità storica e culturale della Jugoslavia in opposizione a quella italiana, che non aveva bisogno di nessuna menzogna per essere compresa nella sua evidenza. Pola era italiana; con la falsità più banale, gli jugoslavi volevano rinnegare questa semplice verità. Si è cercato di dimenticare per non affrontare le responsabilità, per non guardare in faccia una scomoda realtà che avrebbe messo in difficoltà, politica ed economica, la giovane Repubblica italiana.[...] Ho scritto un romanzo che oggi si può leggere anche in questo graphic novel, semplice, diretto, immediato nella sua scelta di campo e per la verità che vuole raccontare. La storia di una famiglia di Pola che è vissuta nel periodo di una grande Storia tragica - durante la guerra e un interminabile dopo guerra senza fi ne carico di incertezze e di paure - che ha avuto la sventura di venire travolta da sopraffazioni e lutti, proprio come migliaia di persone che là vivevano, di cui miei personaggi sono soltanto un piccolo esempio.Ho cercato di raccontare cosa potesse aver vissuto una famiglia «normale» nella tragedia di quel tempo, quando Pola stava per essere consegnata a Tito e stava per diventare una città jugoslava dopo millenni di civiltà romana, italiana. Negli anni tra la f ne della guerra e il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 e dopo ancora, la mistificazione della verità storica era diventata per gli italiani che abitavano le terre consegnate agli jugoslavi una crudele sottomissione a torture e martirii. Ho voluto raccontare queste torture, questi martirii attraverso le vicende di un padre, una madre, un piccolo figlio che abitavano a Pola. E, insieme alle loro, le storie degli amici che frequentavano, dei compagni di scuola, della gente di una comunità italiana senza le colpe del fascismo, con la sola colpa di essere italiani, di essere orgogliosi di essere gli italiani che vivevano in quelle terre. Talvolta accade che il cammino trionfale della Storia dei vincitori si distragga e la verità incominci ad affiorare. Non si dice, con ottimismo, che il tempo è galantuomo? Stavolta sembra di sì. Nel marzo 2004 viene istituita la «Giornata del ricordo» per celebrare la memoria dei trucidati nelle foibe e di coloro che patirono l’esilio dalle terre istriane, dalmate, giuliane. Ci sono voluti sessant’anni per incominciare a restituire un po’ di verità alla Storia.Il tempo è galantuomo, dicevo, e mi pare che nei testi di storia per le scuole non si dica più che le foibe siano fenditure carsiche dove i fascisti gettavano i partigiani comunisti, sostenendo, con uno stravolgimento della realtà storica impressionante per la sua grossolanità, una crudele menzogna. E così, almeno per quello che riguarda gli omicidi e il terrore diffuso tra gli slavi contro gli italiani, i negazionisti di questa verità sono rimasti in pochi, patetiche caricature di storici.Rimane aperta la ferita dell’esodo, anche perché questa triste vicenda appartiene a una storia del dopo guerra dell’Italia repubblicana. Perché i nostri connazionali costretti all’esodo? Perché non sono stati difesi dalla politica della Repubblica italiana? Perché non sono stati accolti in patria come si sarebbe davvero dovuto fare, memori delle loro sofferenze?Le risposte a queste domande difficilmente evitano di mettere in luce le responsabilità del governo italiano sul modo in cui esso ha gestito il dramma dell’esodo delle popolazioni giuliane, istriane, dalmate. [...] La mia storia, quella di una semplice famiglia di Pola, ha l’ambizione di continuare a testimoniare ciò che accadde in quel tempo, per non dimenticare, per non abbandonare all’oblio quella tragedia.
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
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