2024-04-18
Ultimo sgambetto di Bonomi al governo: «Senza Superbonus la crescita frenerà»
Prima del cambio di leader, Confindustria critica lo stop al 110, malgrado il deficit causato. Bocciate le rinnovabili: non bastano.«Il graduale depotenziamento del Superbonus, già in scadenza a fine 2023 in termini di aliquota al 110%, e degli altri incentivi all’edilizia» rappresenta un «freno» alla crescita. Il passaggio è sottolineato nel rapporto di previsione di primavera del Centro Studi di Confindustria. L’ultimo, della gestione di Carlo Bonomi, che sta per lasciare il vertice dell’associazione passando il testimone a Emanuele Orsini. Lo stesso Bonomi che apprezzava il bonus 110% (perché «l’edilizia è il motorino di avviamento dell’automobile Italia»), ne chiedeva la proroga dopo che la spesa è esplosa e che ha protestato a ogni stretta, salvo poi criticarlo ferocemente quando il governo Meloni l’ha abolito («È incredibile aver speso tutti quei soldi»). Una giravolta simile a quella fatta sul salario minimo: nell’estate del 2023, Bonomi aveva aperto la porta al cavallo di battaglia di Pd e Cgil assicurando che non c’era alcun veto da parte dell’associazione, poi a metà settembre aveva cambiato idea e agli industriali riuniti in assemblea aveva detto che «il salario minimo non serve, serve un salario giusto». Adesso, prima che Bonomi spenga la luce e chiuda la porta, il centro studi della «sua» Confindustria evidenzia che «le costruzioni a uso residenziale, in termini di valore aggiunto e quindi di contributo al Pil, dovrebbero risentire fortemente di tale prevista riduzione degli incentivi, già nel 2024 e in misura ancora maggiore nel 2025. Nel 2023, invece, il contributo maggiore alla crescita degli investimenti in Italia, sebbene non l’unico, è stato fornito proprio dalle abitazioni». Posizione che - non ci sorprende - ieri è stata subito cavalcata dai 5 stelle in una nota dei rappresentanti grillini delle Commissioni bilancio e finanze di Camera e Senato. Il problema è che se il governo Meloni non avesse fermato l’effetto palla di neve dei bonus edilizi, l’impatto sui conti pubblici sarebbe stato ancor più devastante. Oltre al depotenziamento del Superbonus, però, secondo Confindustria, ci sono «vari fattori che tenderanno a frenare il Pil italiano nel biennio. L’effetto netto - osserva il Csc - è atteso essere comunque positivo. Ma chiaramente ciò significa anche che ci sarebbe spazio nel 2024-2025 per una crescita economica ancora più forte di quella oggi prevedibile». Tra i freni alla crescita, il costo dell’elettricità pagato dalle imprese che «resta più alto in Italia rispetto ai principali Paesi Ue e anche rispetto agli altri grandi competitor internazionali, come Usa e Giappone». Anche il centro studi degli industriali si sta dunque rendendo conto che le rinnovabili non bastano. Con il balzo dei prezzi del gas nel 2021-2022, secondo il Csc, «il divario si è allargato ed è rimasto più ampio nel 2023». Il mix di generazione dell’elettricità, viene spiegato, in Italia è legato in gran parte alla generazione termoelettrica da gas naturale, mentre in altri Paesi si riscontrano tecnologie come il nucleare (in particolare in Francia), il carbone (per esempio in Germania) o una combinazione di nucleare e fonti rinnovabili (come nel caso della Spagna), che coprono maggiori volumi e riducono i prezzi. Ma contano anche le regole di mercato, dove il prezzo (cosiddetto Pun) è formato dalla tecnologia marginale, in Italia rappresentata dalle centrali a gas nella maggioranza delle ore ogni anno, con conseguente volatilità in funzione degli andamenti del valore della commodity. Al prezzo di mercato si aggiungono i costi infrastrutturali per il mantenimento in sicurezza e adeguatezza del sistema e le politiche pubbliche, con oneri legati all’incentivazione delle energie rinnovabili, alla promozione dell’efficienza energetica e alle quote di emissione del sistema Ets. Il nucleare può essere una tecnologia utile per la diversificazione delle fonti elettriche in Italia, ma si può realizzare sul lungo periodo, non nel breve termine, sia per motivi tecnologici e di costi degli impianti, sia per la tendenziale opposizione della popolazione italiana, preoccupata della sicurezza degli impianti nucleari, evidenzia il Csc. Tale fonte copre invece quote importanti in Germania (6,0%), Uk (14,6%) e Spagna (20%) e soprattutto in Francia, che ne è il leader mondiale (63%).In generale, il centro studi di via dell’Astronomia, diretto da Alessandro Fontana vede una economia italiana che «resta in crescita»: rispetto alle previsioni di autunno, dello scorso ottobre, con il rapporto pubblicato oggi la stima del Pil per il 2024 è stata rivista al rialzo di 0,4 punti percentuali, al +0,9%, «in linea con la dinamica osservata nel 2023». Più 1,1% la previsione degli economisti di via dell’Astronomia per il Pil 2025. Oltre al miglioramento della domanda globale che «darà nuovo impulso all’export» vengono sottolineati «due potenti stimoli alla crescita»: la prospettiva dei tassi in calo e il Pnrr. Mentre a frenare potrebbero essere «le strozzature mondiali nei trasporti e il loro impatto negativo per l’industria italiana.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)