2022-07-21
Gli ultimi sgarri di Mr Bce ricompattano l’alleanza. E Salvini stacca la spina
Matteo aspetta invano una mano tesa dal premier. Ma l’appello di Massimiliano Romeo in Aula cade nel vuoto. E pure Giancarlo Giorgetti si convince. Roberto Calderoli: «Tirata troppo la corda».Giorgia Meloni attacca il capo dell’esecutivo: «Ha chiesto i pieni poteri. Le nostre piazze sono “sovversive” e le loro “popolari”?». E in serata prevede: «Si vota in due mesi».Lo speciale contiene due articoli.«La legge sul Superbonus è stata fatta male». Dai banchi della Lega parte un applauso convinto in direzione di Mario Draghi. Sono le 17.15 del giorno più lungo, è l’unico momento di sincera sintonia fra il partito di Matteo Salvini e il premier. Ma è una briciola e non evita il divorzio. È finito il governo degli Infallibili, è finita l’agonia di un partito che giorno dopo giorno si è convinto di non essere un alleato ma un maggiordomo, una stampella, un voto ambulante a prescindere. «Mai tirare troppo la corda, si spezza», chiude la pratica Roberto Calderoli. E sancisce l’eclissi di Mario Draghi. La giornata è surreale ma comincia con una ferrea certezza: gli schiaffi del premier alla Lega, che sarebbe il gruppo parlamentare più numeroso. «Ad andarsene sono stati i grillini, ma lui se la prende sempre con noi», sbotta un senatore di lungo corso. Non il modo migliore per rientrare nei giochi, visto che Supermario si era sfiduciato da solo pur avendo la maggioranza, ma è difficile far capire a un banchiere i fondamentali della politica. Nel discorso della corona non c’è un accenno alle istanze del centrodestra, Palazzo Chigi non accoglie nessuno dei punti della coalizione (flat tax, delega fiscale) e neppure apre alla più scontata delle richieste: lasciar fuori il Movimento 5 stelle, definito all’unisono «inaffidabile».Al mattino, quando Draghi finisce di parlare, nessun leghista applaude. Il solo Giancarlo Giorgetti va a complimentarsi, Salvini è scuro in volto. C’è l’ulteriore conferma di un’evidenza: il premier risponde al Pds (il Partito di Sergio, nel senso di Mattarella) e ha l’unico scopo di ricucire con Giuseppe Conte per dare continuità elettorale al campo largo arato da Enrico Letta. «I vecchi democristiani stanno ponendo le condizioni per il Papeete 2 e vogliono intestarcelo», è il mood dentro la Lega. Parte un comunicato: «Il Movimento 5 stelle ha rotto il patto di fiducia alla base del governo di unità nazionale, che pure ha affrontato gravi emergenze e avviato un lavoro prezioso sul Pnrr. Il centrodestra di governo è disponibile a un nuovo patto e darà il suo contributo per risolvere i problemi dell’Italia. Ma solo con un nuovo governo, guidato da Draghi ma senza il M5s e profondamente rinnovato». Via i ministri grillini, via la sciagura Roberto Speranza, via l’inconcludente Luciana Lamorgese nel gestire l’emergenza migranti.La posizione viene ribadita in Senato nell’unico intervento consentito, quello del capogruppo, Massimiliano Romeo: «Serve un nuovo governo o il voto. Dal suo discorso iniziale sembrava che l’unico intento fosse sostenere il campo largo del Pd. Se è così non ci interessa, dobbiamo rendere conto ai nostri elettori e alla base. Se l’obiettivo è invece salvare il Paese vediamo un paio di scenari all’orizzonte. Il primo è che il M5s non faccia più parte della maggioranza. Il secondo che le tematiche vadano affrontate in modo diverso, ad esempio quelle sull’energia: possiamo affrontarle con chi dice no alle trivelle e no all’aumento della produzione di gas? Si prenda atto che è nata una nuova maggioranza, serve dunque un nuovo governo con obiettivi più ambiziosi». Quindi, prosegue Romeo: «Con tre paletti. No al reddito di cittadinanza, tutela degli interessi italiani e non delle multinazionali, limiti all’immigrazione con discontinuità riguardo a ciò che il suo governo ha portato avanti. Se questi saranno i limiti la Lega c’è».La dichiarazione viene sintetizzata nella risoluzione di Roberto Calderoli, che il governo non metterà mai ai voti preferendo quella di Pierferdinando Casini; avanti così madama la marchesa. Il pomeriggio è convulso, Salvini è in riunione permanente con Silvio Berlusconi anche per marcarlo stretto e non farlo cadere fra le spire sinuose di Gianni Letta, che lavora per il consueto «volemose bene». Si vocifera di una telefonata con Conte, di sicuro il leader del Carroccio si tiene in contatto con Giorgia Meloni che invita il centrodestra a staccare la spina. La pancia del partito è di questa idea per evitare sei mesi di agonia, una palude utile al Pd per presentarsi al voto con alle spalle vecchi arnesi della propaganda come l’Europa, lo spread e la narrazione dell’«emergenza democratica». Magari con lo stesso Draghi candidato premier. La scelta di rompere è contrastata, Giorgetti e i governatori vorrebbero portare il governo a scadenza naturale ma si rendono conto che la richiesta del Draghistan di accontentarsi di un ruolo ancillare sarebbe un suicidio. Salvini riceve una telefonata dal Quirinale; Mattarella insiste per avere la Lega nell’esecutivo (forse gli serve un punching ball), ma la trappola non scatta. Matteo decide - d’accordo con il Cavaliere - di non votare la risoluzione Casini e uscire dall’Aula. La replica al Senato viene affidata a Stefano Candiani, che chiude la partita: «La lealtà della Lega non è mai venuta meno, ma un Parlamento di trasformisti non è in grado di dare stabilità. Non si può continuare dicendo che nulla è successo, spiace che lei abbia ascoltato i cattivi consigli del Pd nonostante le trappole su ius scholae e cannabis. Eravamo pronti a dare un contributo con un governo rinnovato. Spiace che non sia stata scelta la nostra risoluzione e che questo ci metta nelle condizioni di non votare la fiducia». Game over, a meno di qualche trovata da mago Otelma dei fantasiosi «responsabili». Questa volta il «whatever it takes» l’ha alimentato Salvini dall’alba al tramonto. Poiché Draghi e il Partito di Sergio non avevano bisogno di alleati ma di maggiordomi, non poteva funzionare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ultimi-sgarri-draghi-ricompattano-centrodestra-2657703472.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fdi-tiene-il-punto-e-si-gode-il-tracollo" data-post-id="2657703472" data-published-at="1658347670" data-use-pagination="False"> Fdi tiene il punto e si gode il tracollo «Legislatura conclusa, anche se qualcuno vorrebbe trovare qualche altra via d’uscita. Ma è ora di andare al voto, si può farlo tra due mesi, io sono pronta, il centrodestra abbastanza pronto». La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ieri sera in piazza Vittorio a Roma, alla Festa del Patriota, dopo una telefonata con il presidente Silvio Berlusconi e più di qualcuna con il leader della Lega, Matteo Salvini, ha ribadito quello che dal giorno della mancata fiducia del M5s al dl Aiuti, andava ripetendo battendo sul tasto dello stop ai «giochi di Palazzo» e intensificando il pressing sul Colle affinché fosse ridata la parola agli italiani. Ma ieri mattina la Meloni era anche riuscita a far innervosire il premier, Mario Draghi, commentando il suo discorso al Senato sulla crisi di governo: «Draghi arriva in Parlamento e di fatto pretende pieni poteri, sostenendo che glielo hanno chiesto gli italiani. Ma in una democrazia la volontà popolare si esprime solo con il voto, non sulle piattaforme grilline o con gli appelli del Pd. Sono le autocrazie che rivendicano di rappresentare il popolo senza bisogno di far votare i cittadini, non le democrazie occidentali», aveva aggiunto la Meloni, leader dell’unica forza d’opposizione, «Fratelli d’Italia non intende assecondare questa pericolosa deriva. Decidano gli italiani del proprio futuro, non questo Parlamento delegittimato e impaurito. Elezioni subito». Una reazione inevitabile considerato lo sbilanciamento a sinistra di un discorso che non ha convinto il centrodestra che si aspettava dal premier una sensibilità maggiore rispetto al senso di responsabilità mostrato da Lega e Forza Italia. Quella responsabilità che la sinistra andava chiedendo come un ritornello, perché secondo la Meloni «al Pd interessa solo il potere e allora la responsabilità la chiede quando gli fa comodo», mentre gli italiani «non devono aver paura di andare alle urne, perché il voto è la vera volontà popolare e il voto è libero e segreto, non come le raccolte indotte di firme o le manifestazioni di 100 persone a sostegno di un premier». «Quando noi protestammo in 20.000 davanti Montecitorio contro il Conte bis ci dissero che eravamo sovversivi, loro invece fanno mobilitazione popolare», ha incalzato la Meloni. Il presidente del Consiglio, nella sua irritata replica al Senato, aveva voluto rispondere proprio alla leader di Fdi: «Niente richiesta di pieni poteri, va bene?». Anche se la stessa chiarezza l’aveva ribadita il capogruppo di Fdi in Senato, Luca Ciriani, nella sua dichiarazione di voto: «Credo che abbiate superato ogni limite. Adesso basta, tiriamo una riga e andiamo oltre. Quello che accade, presidente, noi glielo avevamo anticipato mesi fa, una maggioranza troppo litigiosa. Quello che è accaduto presidente era inevitabile. È apparso evidente stamattina che il suo discorso è stato costruito per compiacere il Pd e la sinistra, non una parola sul centrodestra. Quello che è a rischio oggi non è l’Italia ma un sistema di potere, che il Pd ha costruito per conservare sé stesso. Non credo presidente alla sincerità dei suoi amici e dei suoi alleati, che la applaudono solo per paura. Sono persone che la elogiano in pubblico e la criticano in privato. Non le daremo la fiducia presidente. Noi lavoriamo per un nuovo governo», aveva concluso.