2021-09-15
Non ci siamo opposti alla richiesta di registrare il vino balcanico che ci può fare concorrenza sleale. Il Carroccio in rivolta.È la Sarajevo dell'agroalimentare italiano: l'Europa ci dichiara guerra. Smentendo sé stessa sferra un attacco al Prosecco, lo spumante più venduto al mondo che per noi vale oltre 3,2 miliardi di fatturato di cui 2,3 dall'estero, ma vuole colpire tutto l'agroalimentare. Cinquanta miliardi di export del made in Italy sono difficili da mandar giù per le multinazionali della nutrizione che hanno a Bruxelles due potenti alleati: i paradisi fiscali olandesi e lussemburghesi, protetti dal vicepresidente europeo Frans Timmermans, e la grande distribuzione francese. Per strada questa lobby trova inaspettati alleati come gli onorevoli «pidistellati» che in commissione agricoltura votano a Strasburgo il via libera al «farm to fork», il programma di sostenibilità agricola dell'Ue. Paolo De Castro che se ne intende e Paola Picerno che va sul sentito dire - entrambi Pd - spiegano che quel voto rimette al centro il reddito degli agricoltori, la biodiversità. La verità come ha fatto notare l'eurodeputata leghista Silvia Sardone è molto più pericolosa: «Pd e 5 stelle danno il via libera al Nutriscore (l'etichetta a semaforo, ndr) e agli insetti commestibili». De Castro fa capire che si arriverà a un compromesso: sì al Nutriscore che piace da matti alla Nestlé, e ci sarà un perché, ma etichetta d'origine per salvaguardare Dop e Igp. Se è così sono comunque a rischio due terzi dei 150 miliardi di fatturato del nostro agroalimentare. Lo scopriremo tra il 17 e il 23 settembre quando tra Firenze e New York si tengono prima il G20 poi l'assemblea generale dell'Onu sul cibo con l'Oms che ha già detto: «Il Nutriscore è la manna dal cielo». Intanto si comincia con lo spumante che è comunque una Dop. I croati producono un vino dolce nella zona di Zagabria da uve Bogdanuša, Maraština, Vugava e Plavac Mali. Il Prosek è un prodotto tradizionale, la quantità è risibile, la qualità pure. Ebbene i croati hanno scoperto che nel regolamento europeo una denominazione che dimostri tradizionalità può essere tutelata. Hanno avanzato la richiesta di registrazione del Prosek preparandosi poi a trasformarlo in spumante e a farci una concorrenza totale. L'Europa avrebbe dovuto dichiarare irricevibile quella richiesta perché il regolamento continentale vieta che vi siano due denominazioni in concorrenza a maggior ragione se una - come lo spumante italiano che è incardinato a Prosecco, un borgo di confine tra Friuli e Veneto - ha un riferimento territoriale. E invece il commissario europeo all'Agricoltura Janusz Wojciechowski e il presidente Ursula von der Leyen hanno appoggiato la richiesta croata ordinandone la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea, sostenendo che la sola omonimia tra prodotti non è condizione di non ammissibilità. Ora restano meno di 60 giorni per bloccare i croati. Ma ciò che ingigantisce - come se non fosse già abbastanza grosso - il caso Prosecco è che l'Europa ha smentito sé stessa. Nel 2003 dette ragione all'Ungheria che produce il Tokaj (anche quello un vino passito) obbligando i vignaioli del Friuli Venezia Giulia ad abbandonare la denominazione Tocai del loro vino bianco più popolare. Stavolta Bruxelles decide a parti invertite. Basta questo per capire che nel mirino c'è tutto il made in Italy, perché è insopportabile che un Paese che ha lo 0,5% delle terre del pianeta faccia così tanti quattrini con l'agroalimentare. Il ministro agricolo Stefano Patuanelli, pentastellato e più interessato a Giuseppe Conte che ai contadini, si è per ora limitato a una nota di biasimo. Per fortuna che c'è Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista alle Politiche agricole. Ha convocato per oggi il gruppo tecnico del ministero per preparare l'opposizione alla richiesta croata. «Coinvolgiamo», ha detto Centinaio, «le rappresentanze del Friuli Venezia Giulia, del Veneto, i produttori, le associazioni agricole, il sistema vino per fare squadra e rispondere in modo tempestivo. Se Bruxelles sostiene di voler tutelare le eccellenze dell'Ue allora deve tutelare anche il Prosecco che è un'eccellenza non solo italiana, ma europea». Chi è pronto a fare le barricate è Luca Zaia, presidente del Veneto. Da ministro dell'Agricoltura fece il Prosecco Doc per dare base territoriale alla denominazione e dice: «Non ho parole per commentare quanto accaduto. Di questa Europa non sappiamo cosa farcene. Un'Europa che non difende l'identità dei suoi territori e che dovrebbe conoscere storia e valore del Prosecco. Vale la pena ricordare che le colline del Prosecco sono Patrimonio dell'umanità». A gridare forte sono anche il presidente del Prosecco Doc Stefano Zanette, quello di Coldiretti Ettore Prandini, che sottolinea come il Prosecco stia facendo +35% di export nel post Covid, l'eurodeputata della Lega Mara Bizzotto, che bolla come «fraudolenta la richiesta croata», e il suo collega Marco Dreosto, «pronto a portare i vignaioli sotto i Palazzi di Bruxelles». Il Nord Est per l'Europa spuma sì, ma di rabbia.
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La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.
Matteo Lepore (Ansa)
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