2021-01-21
L’Ue non ci chiede progetti ma tagli e tasse
Ursula von der Leyen (Ansa)
La discussione sul Recovery fund non si basa su chissà quali riforme, idee o task force. Eurogruppo e Commissione hanno ribadito al governo le condizioni degli aiuti Ue (con soldi nostri): Fornero, patrimoniale, Imu, imposta di successione. Come scritto da Mario Monti.Come scriviamo da mesi sulla Verità, il Recovery fund (che per non si sa quale bislacco motivo viene spesso chiamato «found», che in inglese significa «trovato», anziché «fondo») altro non è che una partita di giro. Soldi che entrano - di cui tutti straparlano - e che escono - ma di questi nessuno mai parla - da investire in progetti che decide qualcun altro, a termini e condizioni che decide qualcun altro e secondo tempistiche che decide sempre qualcun altro. Questo «qualcun altro» è l'Unione Europea. Del resto, è indicativo il fatto che Giuseppe Conte abbia dovuto sottoporre a Bruxelles - prima ancora che alle Camere - le linee guida cui attenersi per presentare in via definitiva il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un documento di 168 pagine che pomposamente raccoglie 47 «linee di intervento per progetti omogenei» e su cui ha fatto finta di incaponirsi Matteo Renzi. Sul fatto che poi a decidere su cosa si debba investire sia qualcun altro, è illuminante la lettura del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, secondo il quale dalla Commissione Ue sarebbe già arrivato un primo altolà comunicato al Quirinale. Il documento è stato letto e non è piaciuto, dal momento che la Commissione riterrebbe che Conte voglia «spendere i soldi di Bruxelles in base a calcoli politici e clientelari».Ci sarebbe da ridere o piangere, a seconda dei punti di vista, nel ricordare che i soldi non sono di Bruxelles ma soprattutto nostri, dal momento che l'Italia si troverà a versare nei prossimi sette anni qualcosa come 201 miliardi per riaverne indietro più o meno 180. Come ben documentato da Giuseppe Liturri, qui dentro ci sono i tanto sbandierati sussidi nel Next Generation Eu, che di fatto migliorano - ma non mutano in modo radicale - il nostro status di Paese contribuente netto. Noi finanziamo e continueremo a finanziare l'Unione europea ancora fino al 2027. Paghiamo, dunque, eppure subiamo comunque l'umiliazione della ramanzina del consigliere economico tedesco Lars Feld, che dalle colonne di Repubblica ribadisce che «l'Italia riceve i soldi dalla Ue (falso, come detto, ndr) e continua a fare i suoi giochini politici» per proseguire con uno «stiamo aspettando il documento dal governo», per poi dirci che «l'ha visto solo in parte» ma ha l'impressione che «contenga ben pochi investimenti nel futuro e troppi in settori in perdita». In finale, la testa di cavallo mozzata dentro al letto. «La Bce sarebbe sempre più sotto pressione per smettere di comprare titoli del debito pubblico italiano, cioè di fare l'operazione che protegge l'Italia da un'impennata sui rendimenti dei titoli». Feld ci sta in pratica raccontando quello che succederà una volta che al governo vi sarà il centrodestra. Chi credesse che a Bruxelles interessino davvero gli investimenti che abbiamo in programma, prenderebbe un serio abbaglio. Per quanto si possa criticare l'abborracciato piano di Giuseppi con il suo ministro Roberto Gualtieri per fronteggiare le critiche del leader di Italia viva, a Bruxelles interessa anzitutto sapere quali riforme intendiamo fare prima di spendere i nostri soldi. Ce lo dicono in tre. Prima di tutto, il nostro stesso esecutivo che, a pagina 7 del Piano, annota che quello che abbiamo fra le mani è «anche un piano di riforma, perché le linee di investimento sono accompagnate da una strategia di riforme come elemento “abilitante"». Ovvero: niente riforme, niente investimenti. Ma di che riforme stiamo parlando? Basta leggere le carte: provvedimenti che siano in linea con le «Country Specific Recommendations», ovvero le «raccomandazioni Paese» rivolte all'Italia dall'Unione europea». Cosa del resto confermata anche dalle indicazioni riportate nel report dell'Eurogruppo del 18 gennaio. Il Piano, secondo Bruxelles, deve essere coerente con le «sfide identificate nelle raccomandazioni del Semestre europeo». E infatti il presidente dell'Eurogruppo formula una domanda precisa al termine del rapporto: «Come intendete riflettere all'interno del Piano le riforme individuate nelle raccomandazioni e nelle conclusioni del Consiglio?». Un documento di 47 pagine dove si parla di politiche di spesa, entrate fiscali, bilanci sostenibili, procedure più veloci per l'escussione dei crediti verso i debitori privati, riforma del mercato del lavoro volte ad incrementare la flessibilità e così via. In pratica tutto l'arsenale evocato da Mario Monti nel suo ultimo editoriale sul Corriere. «Un fisco friendly ma non troppo verso i contribuenti», senza trascurare argomenti che il senatore a vita ritiene essere ingiusti tabù: «imposta ordinaria sul patrimonio, imposta di successione, imposizione sugli immobili e aggiornamento del catasto» per finire con la ciliegina finale. Ma ha veramente senso, termina Monti, continuare a ristorare settori in perdita, cioè i ristoratori? Che prima vengono chiusi per legge e poi giustamente manco devono essere indennizzati? Guarda caso, le stesse parole dette in contemporanea da Lars Feld. Quando l'ex premier parla - o scrive - non lo fa mai a caso.