2025-01-12
Dentro l’ospedale segreto dell’Azov dove i cuori si rianimano con le mani
Il «punto di stabilizzazione» della brigata Azov sul fronte di Toretsk (Niccolò Celesti)
I soldati feriti vengono portati in una struttura sottoterra. I «medici» in servizio hanno anche 19 anni. Il sangue cola sugli abiti e nelle ciabatte dei soccorritori. Una dottoressa si toglie i guanti di lattice e prepara la cena.L'articolo contiene un reportage fotografico.Di Niccolò Celesti da KramatorskEntrare nel «punto di stabilizzazione», in linguaggio militare un ospedale da campo, della controversa brigata Azov (secondo i suoi detrattori sarebbe un covo di nazisti) che opera sul fronte di Toretsk è come fare un salto al Purgatorio. Da qui le direzioni sono due: la morte, l’Inferno, o l’ospedale più vicino, che è il Paradiso anche se non è sicuro che rimarrai vivo. Questo è il punto dove i soldati feriti al fronte davvero hanno la loro più grande chance di sopravvivere, se presi in tempo. Il percorso che devono coprire dalla linea zero, dal campo di battaglia, è articolato e pieno di ostacoli.Lo possiamo immaginare come se fosse un film di guerra. Il soldato che viene ferito in combattimento, se riesce a spostarsi sulle sue gambe, deve farlo fino al punto più sicuro per i blindati che fanno su e giù con munizioni e uomini. Se l’uomo è, invece, grave sono i compagni a trascinarlo o a portarlo in spalla oppure con una speciale barella di plastica semi rigida che funge da slitta. Queste operazioni si effettuano in mezzo a fumo, esplosioni, dislivelli, alberi e rami, sparsi dappertutto, pezzi di ferro, di bombe, fuoco e droni. Le immagini truculente che vediamo dalle GoPro dei soldati sono assurde anche per i nostri occhi allenati al peggio. I soldati arrivano al punto dove vengono caricati sui blindati, spesso buttati dentro in fretta come sacchi di patate. Tra fischi di pallottole, l’autista urla, sprona tutti a scendere e salire il più in fretta possibile. È il caos. Poi scende il buio. Quello dentro ai mezzi che portano, sbatacchiandoli, i corpi feriti lontano dal combattimento. I droni arrivano a 4-8 km dalle linee quindi, ci spiegano, non è sempre possibile andare a recuperare velocemente i feriti, possono passare ore, in cui si rimane in una buca, da soli coscienti o incoscienti, mentre gli altri combattono. Una volta che ti hanno messo il laccio emostatico e ti hanno dato il cosiddetto pill pack devi resistere da solo.Si pensa che i soldati abbiano pillole speciali, siringhe di morfina o gadget tecnologici per trattare le ferite. In realtà il pill pack contiene una pillola di paracetamolo, una di antibatterico per le infezioni causate dalla terra e dal resto che finisce dentro le ferite e un antinfiammatorio. Questo è il kit che ogni soldato ingoia se ha un taglio di qualsiasi entità. La medicina migliore è, però, l’adrenalina, è lei che aiuta ogni soldato. Sono il fisico e la mente che permettono di sopportare il dolore e il panico.Quando vieni scaricato al punto di incontro, di solito, c’è già un’ambulanza blindata in attesa ed è lì che trovi i primi medici attrezzati, è lì che iniziano a tagliarti i vestiti, infilarti aghi e cannule e a operare sul tuo corpo senza far caso alle tue urla di dolore. Sei sul mezzo che ti porta qui da dove scriviamo e dove, forse, sopravviverai. È uno dei luoghi più segreti nelle retrovie, sottoterra, all’interno di una vecchia fabbrica, un deposito. È in questi scantinati che vengono allestite le sale operatorie d’emergenza, di stabilizzazione appunto.Lisa è una collega, prima della guerra faceva la fotoreporter per Suspilne media, poi si è arruolata nella brigata Azov come addetta stampa ed è lei che ha il compito di controllare quello che fotografiamo e di aiutarci con le domande ai medici, alcuni giovanissimi.Quando varchiamo la soglia, sul tavolo operatorio, c’è un soldato in condizioni tragiche, anzi è morto da 30 minuti, ma la procedura prevede che provino a rianimarlo per 50 prima di arrendersi. Un chirurgo, anzi uno studente di medicina di 19 anni, ha le mani dentro lo sterno del soldato e prova a far ripartire il cuore, pompandolo con le mani. La circolazione è garantita da una macchina cui vengono attaccate sacche di sangue.Si danno il cambio in tre perché bisogna tenere il ritmo giusto e non è facile; altri cercano di tamponare le ferite sul collo e sul cranio. Sotto il tavolo operatorio il sangue gocciola copioso sul pavimento. Fa caldo: ci sono due grandi riscaldatori elettrici e i medici sono in pantaloncini e maglietta, con il sangue dei soldati sulle gambe, sui piedi, dentro le ciabatte. Non lasciano trasparire alcuna emozione, neanche quando allo scadere dei 50 minuti dichiarano la morte e iniziano a smontare tutte le attrezzature che avevano applicato al corpo di questo ragazzone di più di 100 chili che viene trasferito in un sacco bianco. In un angolo di una stanza adiacente alla sala operatoria una ragazza piccolina, accucciata, scrive al cellulare. È appena uscita dal bagno, dove ha lavato il sangue dalle mani e dal corpo. Aspetta di capire se rianimeranno quel soldato che, poco prima, le è morto tra le braccia, mentre correvano qui in ambulanza. Anna ha 29 anni, il piercing al naso e due occhi scuri e intensi. Ci dice di venire da Khmelnytskyi, nell’Ovest del Paese, ma quando è scoppiata la guerra faceva servizio sulle ambulanze a Odessa e così, avendo una buona esperienza, è entrata nella brigata più acclamata e famigerata (all’estero) dell’Ucraina.Il corpo del soldato ora viene lavato con cura, lo sterno che era stato aperto per arrivare al cuore viene richiuso e ricucito da quel «medico» adolescente che, con pazienza e dedizione, cerca di sistemargli per bene il corpo da restituire ai familiari.Ci chiedono di non fare fotografie al cadavere, dal momento in cui viene staccato dalle macchine e dichiarato morto. Una volta che è stato riposto nel sacco bianco, l’infermiera scrive con il pennarello il cognome del militare e un codice, altri puliscono il sangue che è rimasto sul pavimento e sugli strumenti medici. Nella stanza accanto una dottoressa cambia i guanti di lattice e inizia a tagliare il pollo e le patate per la cena che mangeranno solo se non arrivarono altri soldati. Vivi o morti.
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