
Uno studio commissionato con Lyft evidenzia che nelle città dove è diffuso il ride-hailing si fa un utilizzo maggiore dell'auto.Ebbene sì. Alla fine sono le stesse Uber e Lyft ad ammetterlo: il ride-hailing (il business del mezzo di trasporto on demand) starebbe significativamente contribuendo all'aumento del traffico. A renderlo noto è un recente studio, commissionato dai due colossi del settore alla società di consulenza Fehr & Peers: l'analisi si concentra sui contributi di chilometraggio combinati di Uber e Lyft, nel corso degli ultimi mesi nelle aree di Boston, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Seattle e Washington Dc, prendendo in considerazione sia i centri cittadini che le zone di periferia.Secondo la ricerca, le due società risulterebbero responsabili di circa il 2% di «miglia percorse da veicolo» (unità di misura definita Vmt) nelle aree che circondano queste sei città: una cifra, in sé stessa, abbastanza modesta. Ciononostante l'impatto aumenta sensibilmente, se si guarda alle zone urbane principali: nella contea di San Francisco, Uber e Lyft rappresentano per esempio il 13,4% di Vmt complessive, mentre a Boston risultano responsabili dell'8% e a Washington del 7,2%.Come nota il magazine CityLab, queste cifre mostrano che, a livello generale, la pratica del ride-hailing stia determinando un notevole incremento del traffico cittadino. Basti pensare che una ricerca condotta due anni fa dall'Autorità dei trasporti di San Francisco, avesse ravvisato come - sul finire del 2016 - i servizi di ride-hailing costituissero circa il 6,5% di Vmt totali nell'area: un dato che saliva al 10% durante i fine settimana. Questa situazione contribuisce ovviamente a congestionare determinate aree cittadine, con conseguenze spiacevoli per il trasporto pubblico. Anche perché a farne le spese risultano soprattutto i pendolari. Questo poi non significa che in tutte le città prese in considerazione Uber e Lyft stiano esercitando il medesimo peso: la ricerca mostra infatti come nelle zone di Seattle e Chicago la quota complessiva di Vmt da addebitare alle due società risulti tutto sommato abbastanza contenuta.Manca tuttavia nello studio una panoramica su New York, che rappresenta il mercato più florido per questi due colossi. Un rappresentante di Lyft ha giustificato l'apparente stranezza, affermando che la Grande mela costituisca un caso unico sia per la bassissima presenza di automobili di proprietà, sia per i costi elevati del sistema di trasporto. Basti pensare che una ricerca condotta dal consulente per i trasporti, Bruce Schaller, ha evidenziato come il traffico di Manhattan sia oggigiorno costituito per più della metà da taxi e veicoli di ride-hailing.Pur mettendo in luce le responsabilità dei due colossi, lo studio indica i veicoli privati come i principali colpevoli per la congestione del traffico, sostenendo che proprio questi ultimi rappresenterebbero dall'87% al 99% di Vmt totali nelle aree prese in considerazione. L'utilizzo dell'automobile privata è del resto ancora particolarmente diffuso negli Stati Uniti (soprattutto per andare al lavoro): si pensi solo che, nonostante una breve contrazione nei primi anni della Grande recessione, il numero complessivo di Vmt sia progressivamente cresciuto dal 1975 a oggi. Tutto ciò però non esenta certo i colossi del ride-hailing. Non solo - nota sempre CityLab - questa ricerca mostra inequivocabilmente l'impatto significativo che i due giganti hanno determinato (e continuano a determinare) nella vita di svariate città statunitensi. Ma l'ammissione di colpa che viene fatta risulta, in definitiva, piuttosto tardiva: come ricorda infatti il magazine, Uber e Lyft si sono spesso opposte in passato a fornire propri dati a istituti, ricercatori o istituzioni che miravano a studiare le conseguenze delle loro attività sulle reti di trasporto cittadine. Senza poi trascurare come il notevole incremento del traffico da parte di questi colossi sia stato certificato anche da ricerche condotte in passato da varie università Usa (come la University of Kentucky e la DePaul University).La questione rappresenta da sempre un evidente problema di immagine per le due aziende. In tal senso, l'anno scorso Lyft collaborò con il Rocky Mountain Institute per produrre uno studio, che descriveva - guarda caso - i veicoli da ride-hailing come più efficienti delle automobili private in svariate città. Una conclusione che si attirò qualche critica, spingendo il think tank a fare una parziale marcia indietro, dichiarando di non poter fornire «una risposta assoluta» sulla questione. Tanto che - sospetta CityLab - questa nuova ricerca, commissionata a Fehr & Peers, potrebbe avere lo scopo di una strategia low profile: evitare i trionfalismi, fotografando - di contro - una situazione ben più complessa (e veritiera). D'altronde, è la stessa società di consulenza a sostenere che la sua analisi dovrebbe aiutare Lyft e Uber a «formare narrazioni appropriate per la comunicazione sia interna che esterna».Del resto, studi critici in questo senso non sono nuovi. Come per esempio riportato dal sito The Verge, lo scorso maggio la rivista Science Advances pubblicò una ricerca secondo cui, tra il 2010 e il 2016, il traffico di San Francisco sarebbe aumentato di circa il 60%: un incremento, di cui oltre la metà sarebbe imputabile proprio a Lyft e Uber.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





