L'opa lanciata da Musk su Twitter
Su Twitter è di casa e ha messo su famiglia: è lì che ha sedotto l’ormai ex fidanzata, la cantante canadese Grimes, la madre dei suoi figli. È lì che saetta, provoca, annuncia, insulta, si sfoga.
Elon Musk pone un insistente affetto e una smisurata dedizione per il social network dell’uccellino blu, al punto di aver deciso di prenderlo sotto la sua ala: ha messo sul piatto la cifra record di 54,2 dollari ad azione, l’equivalente di 43 miliardi di dollari, per comprarlo per intero. Un passo lungo che segue la prima mossa di pochi giorni fa, quando si era accaparrato il 9,2% della società. L’idea, a cose fatte, sarebbe sottrarre Twitter alle oscillazioni della borsa, renderlo una creatura del tutto privata. All’uomo più ricco del mondo, che cova il sogno di colonizzare Marte, i capitali per tali imprese non mancano.
L’annuncio è arrivato nella maniera più coerente possibile: un sincopato cinguettio dal suo scranno ossequiato da quasi 82 milioni di follower. «I made an offer», «ho fatto un’offerta». Un telegramma secco, senza un segno d’interpunzione. Più giù un link al documento ufficiale della proposta, in cui se ne leggono le motivazioni esondanti retorica: «Credo nel suo potenziale di essere la piattaforma per la libertà di parola in tutto il mondo e credo che la libertà di parola sia un imperativo sociale per una democrazia funzionante». Meno chiaro perché un accentramento di sapore dittatoriale rappresenti un moto libertario, ma tant’è.
Arzigogoli verbali a parte, l’imprenditore è tanto istrione quanto pragmatico. Sa che nell’era delle storie che scompaiono, dell’umoralità della Gen Z, dei brevi video gonfi di effetti speciali su TikTok, resiste ancora l’opportunità di parlare a un target adulto affezionato ai vecchi brevi testi. Un pubblico che s’ingrossa: gli utenti attivi ogni giorno su Twitter sono stati 25 milioni in più nel 2021 rispetto a dodici mesi prima (217 milioni in totale). Musk cova la sua idea per attrarne altri: un maturo modello di sottoscrizione a un prezzo accessibile, in cambio di uno stop alle pubblicità inquinanti sullo schermo, che oggi da sole fanno il 90% dei 5 miliardi di dollari di entrate annuali della piattaforma.
Soprattutto un’enfasi sulla provvisorietà, la stessa di Instagram, Snapchat ed epigoni. Attraverso un sondaggio lo scorso 5 aprile Musk aveva chiesto ai suoi seguaci se volessero o meno un tasto «edit», un meccanismo per i pentiti della tastiera, per modificare quanto scritto anziché affidarlo all’imperitura fissità della rete. L’affluenza all’urna di bit è stata esondante, il responso quasi plebiscitario: su circa 4,5 milioni di votanti il 73,6% ha risposto «yes», anzi «yse». Perché quel burlone di Elon ha inserito un doppio refuso di proposito («on» al posto di «no» era l’altra opzione) per dimostrare quanto la fallibilità umana abbia bisogno di essere emendata. Specie in un’arena pubblica.
C’è di più: il ceo di Tesla vuole catturare l’uccellino blu per tenere al sicuro da qualsiasi potenziale falco, per salvaguardare uno straordinario strumento di autopromozione. «La principale piattaforma pubblicitaria di Tesla è l’account di Musk», scrive il magazine americano Fortune, ricordando come la casa automobilistica spenda 14 centesimi di pubblicità per vettura venduta, mentre altre come Hyundai arrivino a picchi di 2 mila dollari per veicolo. Dopo avere occupato in modo ingombrante gli spazi di Twitter Musk tenta di rinchiuderlo in una gabbia dorata di cui è l’unico a possedere la password.
Nel quadro del Business Forum Italia-India, in corso a Mumbai, SIMEST e Indian Chamber of Commerce (ICC) hanno firmato un Memorandum of Understanding per consolidare la cooperazione economica tra i due Paesi e facilitare nuove opportunità di investimento bilaterale. La firma è avvenuta alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro indiano del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal.
A sottoscrivere l’accordo sono stati l’amministratore delegato di SIMEST, Regina Corradini D’Arienzo, e il direttore generale della ICC, Rajeev Singh. L’intesa punta a mettere in rete le imprese italiane e indiane, sviluppare iniziative comuni e favorire l’accesso ai rispettivi mercati. Tra gli obiettivi: promuovere progetti congiunti, sostenere gli investimenti delle aziende di entrambi i Paesi anche grazie agli strumenti finanziari messi a disposizione da SIMEST, facilitare lo scambio di informazioni e creare un network stabile tra le comunità imprenditoriali.
«L’accordo conferma la volontà di SIMEST di supportare gli investimenti delle imprese italiane in un mercato chiave come quello indiano, sostenendole con strumenti finanziari e know-how dedicato», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. L’ad ha ricordato che l’India è tra i Paesi prioritari del Piano d’Azione per l’export della Farnesina e che nel 2025 SIMEST ha aperto un ufficio a Delhi e attivato una misura dedicata per favorire gli investimenti italiani nel Paese. Un tassello, ha aggiunto, che rientra nell’azione coordinata del «Sistema Italia» guidato dalla Farnesina insieme a CDP, ICE e SACE.
SIMEST, società del Gruppo CDP, sostiene la crescita internazionale delle imprese italiane – in particolare le PMI – lungo tutto il ciclo di espansione all’estero, attraverso export credit, finanziamenti agevolati, partecipazioni al capitale e investimenti in equity.
La sostituzione delle vetrate di Notre-Dame «s’ha da fare», lo ha deciso Emmanuel Macron. E così, da ieri, è possibile vedere il modello a grandezza naturale delle sei future vetrate realizzate dall’artista Claire Tabouret. Le opere sono esposte al Grand Palais sugli Champs Elysées.
Macron cerca di ottenere un po’ di visibilità visto che, in patria, è apprezzato solo dall’11% dei suoi concittadini e, all’estero, pare non imbroccarne una. D’altra parte, la visibilità offerta da quello che è uno dei più famosi monumenti del mondo non ha prezzo. Lo si è visto un anno fa, in occasione della riapertura della cattedrale. In quell’occasione, Macron aveva accolto in pompa magna, e a favor di telecamere, i grandi della Terra e aveva benedetto un concerto con varie star internazionali, che aveva come sfondo la facciata gotica della madre di tutte le chiese parigine.
Ma la voglia di modernità a Notre-Dame non è un pallino presidenziale recente visto che, fin dai primi giorni dopo l’incendio che ha distrutto la cattedrale parigina, Macron ha fatto e sbrigato pur di lasciare una sua impronta nella famosissima chiesa, a futura memoria.
Già il 5 maggio 2019 però, contro Macron c’era stata una levata di scudi da circa 1.000 docenti universitari, architetti ed esperti di restauro che gli avevano rivolto un appello, in una tribuna pubblicata da Le Figaro. Questo perché, mentre fumavano ancora le ceneri di Notre-Dame, Macron aveva già auspicato un «gesto architettonico contemporaneo» per la nuova guglia che sarebbe stata costruita al posto di quella, ideata dall’architetto Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc, in occasione del restauro della cattedrale parigina, avvenuto a partire dal 1843. Fortunatamente per Notre-Dame, alla fine il presidente francese aveva mollato la presa. Tuttavia, a calmare la voglia di modernità dell’inquilino dell’Eliseo non è riuscita nemmeno la legge approvata dal Parlamento transalpino il 29 luglio 2019 intitolata «Per la conservazione e il restauro della cattedrale Notre-Dame di Parigi», ma anche l’istituzione di «una sottoscrizione popolare per questo scopo». Che tradotto, per gente meno intelligente del leader parigino, vorrebbe dire che la ricostruzione della cattedrale deve avanzare solo sui binari del restauro e della conservazione, invece che su quello della creazione ex-novo, anche perché c’è chi ha fatto donazioni proprio per i primi due scopi. All’inizio dell’anno scorso, poi, DIdier Rykner, fondatore del sito La tribune de l’art ha raccolto oltre 130.000 firme con una petizione contro le vetrate moderne. Il sito ha anche scritto in vari articoli che la sostituzione dell’opera di Violet-le-Duc, non rispetterebbe la Carta di Venezia del 1964, che tratta proprio del restauro e della protezione dei siti storici, artistici e monumentali, nonché la stessa legge del 2019. La Carta invita i Paesi firmatari (come la Francia, nel 1965) a non distruggere monumenti o opere d’arte sostituendoli con creazioni contemporanee. Va ricordato anche che, sempre nel 2024, la Commissione nazionale del patrimonio e dell’architettura francesi (Cnpa) ha espresso parere negativo al progetto delle vetrate e che, per essere pignoli, quelle di Violet-le-Duc sono uscite praticamente intatte dall’incendio che ha distrutto la chiesa madre di Parigi, il 15 aprile 2019. La Cnpa aveva presentato un ricorso all’equivalente del Tar parigino che, però, è stato respinto ed è previsto un appello.
I sostenitori del progetto di Macron non sono molti. Tra questi, quello di maggior peso è l’arcivescovo parigino, monsignor Laurent Ulrich che, come scriveva Vatican News nell’aprile 2024, auspicava che le nuove vetrate lasciassero «nell’edificio restaurato una traccia di questo evento» che ha distrutto la cattedrale. Non sono mancati sostegni alle vetrate moderne anche da parte di alcune voci del cattolicesimo progressista come l’ex direttore del quotidiano cattolico La Croix, Guillaume Goubert.
In ogni caso, anche senza le nuove vetrate, da quando è stata riaperta al pubblico, Notre-Dame sembra più un museo, per non dire un luna park, nel quale scorre quasi ininterrottamente un fiume di turisti. Gente che ha tutto il diritto di venire ad ammirare Notre-Dame, se non fosse che i fedeli parigini sono costretti a fare fatica per raccogliersi in preghiera nella loro cattedrale. Per questi frequentatori locali della chiesa madre parigina è complicato anche venire venerare le reliquie, come la Santa Corona portata da Gesù Cristo durante la sua Passione. In effetti, sia questa pratica sia la partecipazione alle messe deve essere prevista con un certo anticipo e bisogna anche essere pronti a fare la fila per lassi di tempo variabili, prima di accedere all’edificio di culto.
Vicino all’uscita di Notre-Dame c’è anche un chiosco che vende souvenir legati alla cattedrale, un punto vendita che fa venire alla mente i mercanti nel tempio. Chissà come finirà con il mercanteggiare sulle vetrate.
È caccia agli stupratori della studentessa di 23 anni violentata a Roma nella notte del 7 dicembre all’uscita della metro Jonio della linea B1. Proseguono le indagini dei carabinieri, alla ricerca di ulteriori telecamere e di eventuali testimoni dopo il racconto agghiacciante della giovane, che ha denunciato di essere stata bloccata da due uomini e violentata da un terzo.
Gli accertamenti dei militari puntano a raccogliere elementi utili per chiarire la dinamica di quanto avvenuto. La vittima, sotto choc, è riuscita a raccontare agli investigatori la violenza subita indicando come stupratori almeno «tre africani» che l’avrebbero immobilizzata e violentata. Ha vissuto un incubo: due la tenevano ferma e uno la stuprava. Poi, è sempre il suo racconto, i tre si sarebbero dileguati tra i vicoli deserti nel cuore della notte, mentre le sue urla disperate sono giunte a un passante che l’ha accompagnata in ospedale.
Lì, la ragazza è stata presa in cura e ha subito denunciato l’accaduto. Gli inquirenti stanno valutando ogni elemento utile che li possa portare a individuare i tre responsabili «africani». Quanto accaduto a Roma ha generato un mare di indignazione e di preoccupazione, tanto che ieri pomeriggio davanti alla metro Jonio si è svolto «un presidio silenzioso» organizzato da associazioni transfemministe del quartiere che sono intervenute portando avanti il messaggio del loro slogan: «Se toccano una toccano tutte». «Siamo stanche di leggere ogni giorno notizie di stupri, femminicidi e soprusi di matrice patriarcale», lo sfogo delle promotrici, «questa volta è successo al Tufello, nel nostro quartiere, ma troppo spesso la violenza attraversa le nostre città, le nostre strade, i nostri corpi».
Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire anche i momenti precedenti lo stupro per provare a dare una risposta a tante domande. Bisognerà accertare se i tre si trovavano sulla metro assieme alla ragazza e se l’hanno poi seguita per violentarla, o se hanno deciso di pedinarla dopo averla vista fuori dalla metropolitana. Si tratta di interrogativi importanti ai fini investigativi.
Quanto accaduto a Roma è solo l’ultimo di diversi episodi di violenza sessuale, ragion per cui si è riacceso il dibattito politico sul problema della sicurezza. Sul caso sono intervenuti i rappresentanti delle istituzioni e della politica. I consiglieri capitolini di Azione, Antonio De Santis e Flavia De Gregorio, in una nota, hanno sottolineato l’allarme sicurezza: «La violenza avvenuta alla stazione Jonio, ai danni di una ragazza di 23 anni, è l’ennesimo fatto grave che mostra una volta di più quanto la città sia priva dei presidi di sicurezza necessari a tutelare le persone, soprattutto le più vulnerabili. Da tempo sosteniamo che servano interventi strutturali e immediati: postazioni fisse di polizia locale nelle stazioni della metro e nei nodi principali del trasporto pubblico, un presidio reale del territorio che possa prevenire e tutelare cittadini». Il problema sicurezza rimane e rappresenta un’emergenza. Infatti, si allunga l’elenco degli stranieri arrestati perché ritenuti responsabili di gravi episodi. Ieri, i carabinieri della Stazione di Roma viale Eritrea hanno fermato un ventitreenne egiziano, accusato del tentato omicidio di un coetaneo romano, avvenuto il 1° dicembre scorso nei pressi di una barberia in viale Eritrea.





